giovedì 28 novembre 2013

Polvere di stelle

Ultimamente, ho poco tempo per aggiornare il blog. Mi rendo conto che passa il tempo quando apro la posta e mi trovo anche cento, centocinquanta messaggi da leggere. Di solito faccio pulizia immediata, è raro che mi si accumuli così tanta posta, in quei momenti divento consapevole che non accendo nemmeno il computer da giorni.

La vita scorre fra lezioni, prove, date, studio, persone. Novembre è agli sgoccioli e conto cinque post pubblicati in questo mese, sei con questo che sto scrivendo. Mi mancano Alice, Morgan, Mistral, Sophie Flare, Aslaath. I miei mondi aridi e i gelidi ghiacci. Le mie bambole e le bambine perverse. I vestiti di pizzo e gli abiti da sposa di nero. Gli specchi, i labirinti... le magie, le mie riflessioni, ma qui c'è la realtà che mi sta risucchiando e dicembre sarà un mese freddo ma cosparso di musica e di brillantini natalizi.

Quello che mi piace del Natale sono i colori: il bianco candido, il rosso vivo e l'azzurro e il blu delle glaciali notti stellate. E tutte le luci! Adoro le luci e le stelle!

E poi magari, in mezzo a tutto questo vortice, queste vicende che si dipanano come gomitoli di lana calda, troverò un angolino tutto mio di serena tranquillità dove scrivere le mie storie e i miei pensieri.

Magari la sera prima di coricarmi. Non troppo tardi però, è bello a volte andare a dormire presto.

martedì 19 novembre 2013

Ricetta

A volte, basta poco per sentirsi sereni. Per me sono le sere d'autunno e d'inverno, quando fuori fa freddo, trovarsi sotto le coperte prima delle undici, dopo una giornata di lavoro. 

Quando visualizzo, nella solitudine, i momenti di serenità, mi capita di immaginarmi intenta a pasticciare in cucina nel tentativo di imparare un nuovo piatto, come quando da piccola volevo fare la sorpresa alla mamma e in sua assenza provavo a fare la pastasciutta, con dentro mezzo panetto di burro e lasciando la cucina sottosopra. Mi divertivo tanto a sperimentare. Mille padelle e padellini, la tavola apparecchiata ordinatamente, tutto quel vapore e gli ingredienti! Mi sembrava di essere una streghetta sul calderone bollente con i sali e le spezie, ma dovevo stare attenta con le dosi per non avvelenare e far star male nessuno. Stavo facendo una pozione, come maga Magò!

In cucina era importante starci anche quando lei preparava la torta e io le ronzavo sempre attorno, offrendomi volontaria per mescolare l'impasto, ed avere così il permesso di mangiare qualche cucchiaiata di crema all'uovo e latte.

Ero piccola, oggi questa stanza con il forno e il lavello per lavare i piatti è solo una tappa per passare dalla camera al salotto e uscire di casa.

Non so come sia avere una cucina, non so cosa significhi organizzare le cose nella dispensa e nel frigorifero e cucinare per il piacere di farlo. Non so come potrei essere come donna di casa. Sono sempre stata una donna "fuori di casa" e la cucina è il luogo in cui è meglio starci il meno possibile. La mia vera "casa" è la mia stanza da letto, quando voglio isolarmi e mi chiudo a chiave dentro. 

Ricordo che mi sembrava più mia la cucinetta immaginaria che avevo da bambina, con i tavolini e le sedie basse, i pentolini di latta, la frutta di plastica, il servizio da tè in miniatura e i cucchiaini rubati dalla cucina (quella vera) della mamma.

Giocavo a fingere di fare la spesa, preparare la tavola e spazzare per terra con la scopa per bimbe. Era molto divertente, specialmente perché avevo sempre la mia compagna di giochi che era la mia sorellina di tre anni in meno, sempre disponibile a recitare la parte dell'amica "mademoiselle", che veniva a bere il tè con i pasticcini, tenendo la tazzina elegantemente con il mignolo steso in fuori e parlando in punta di forchetta: "Come sta, madame?" 
Nel gioco era persino divertente andare a fare la spesa al mercato e scegliere "i prodotti freschi" da cucinare, come faceva la mamma.

Bello era giocare, giocherei sempre. 

Questa sera gioco a preparare una nuova torta nella mia immaginaria cucina magica.

E' una stanza incantata in un luogo segreto, non troppo elegante ma tranquilla ed accogliente. Con le finestre sui sogni, il fuoco acceso, le tendine e il ricettario degli incantesimi aperto.
Sono una strega e mi vengono a cercare per esaudire i loro desideri, in cambio io chiedo fiori di bucaneve, orecchini di vetro e argento, scarpette di cristallo, seta indiana e pizzo di Valenciennes per adornarmi e rimirarmi.


Ed ecco la ricetta di oggi: 

Nel mio calderone, ci metto un pizzico di fatalità, della fantasia e un cucchiaino di fiducia per togliere il sapore della paura, qualche grammo di incoscienza... non troppa, altrimenti poi diventa molto piccante e può bruciare. Ci vuole della speranza per rendere soffice l'impasto, degli obiettivi, dell'impegno e per non esagerare un po' di leggerezza. 
E' importante che nell'impasto lo zucchero sia uniforme, perché se finisce solo in superficie, i primi morsi satureranno, mentre il resto risulterà amaro e difficile da mandare giù, e impreparati sarà difficile affrontare le difficoltà. Ma se le cose dolci finiscono tutte in fondo, ci si stanca e si perde la speranza prima di poter addentare la parte buona e, quando finalmente la si raggiunge, l'amaro in bocca e la stanchezza impediscono di sentirla.
La dolcezza e i momenti di gioia devono invece alternarsi con le prove e le lezioni, uniformemente nel corso della vita, così, il risultato sarà sempre equilibrato e ogni boccone gustato e assaporato.

Ora l'impasto è pronto e bisogna mettere nel forno. La vita non può prendere forma senza il calore dei sentimenti. Ma bisogna regolare bene il fuoco, perché se è troppo caldo rischia di bruciare la parte esterna e di far rimanere cruda quella interna, se invece la temperatura è troppo bassa non cuocerà mai, si rovineranno gli ingredienti e in ambedue i casi bisognerà buttare via. Ci vuole la giusta temperatura, senza paura di alimentare il fuoco, ma al tempo stesso anche pazienza per aspettare che lieviti. 

Questi sono i segreti di uno chef!

Quando il dolce è cotto, lo tolgo dal forno e cospargo di polvere di riconoscenza, lo taglio a fette e incarto ogni fetta con carta rossa che abbellisco con fiori bianchi e blu: un po' di incantesimo per ogni persona a me cara. Una torta mangiata da sola non è buona come quando è condivisa.

Spero abbiate gradito la mia ricetta, se vi piace, potete prepararla anche voi, in fondo siamo tutti un po' streghe e stregoni.

***

La cucina in miniatura. I pentolini di latta, la frutta di plastica e i seggiolini bassi. I cucchiaini rubati alla mamma, i sottobicchieri come piattini e i finti fornellini dipinti. 
"Siete invitata, mademoiselle, ad un tè raffinato da me". 

La mia prima cucina. L'unica cucina che io abbia mai avuto.

Che piccole che eravamo.

venerdì 15 novembre 2013

venerdì 8 novembre 2013

Puntino

C'è un foglio bianco, una penna senza inchiostro.
E c'è una camera senza mobili, una casa senza abitanti.
E c'è un parco per bambini ma senza giochi, c'è un volto senza occhi, con le orbite vuote.
E c'è un cranio senza cervello, un petto senza cuore.
E una bocca senza denti.
E c'è un cielo senza nuvole, un angelo senza ali.
E c'è solo deserto, e poi neanche più sabbia.


Un grido senza suono, una cornice senza tela.
Un viandante senza scarpe. I piedi nudi sanguinano.


E c'è una strada.


E c'è che sparisce, più fugace, e poi lentamente trasparente, e poi invisibile.
Non c'è più.
Sempre sognato.


Invisibile. Nessuna vita.
Nessuno si accorge.
Sempre più piccola, sempre più un puntino.


E c'è quel quadro senza tela.
Senza tela.


Cornice.


Il nulla.



mercoledì 6 novembre 2013

Le colpe di chi?

Se non dormi mai 
e sei pieno di guai
e vuoi dare la colpa a qualcuno
la colpa è di Teddy!

Chi si ricorda questa canzoncina per bambini degli anni Ottanta? Il testo è divertente e pure la musica, ma il contenuto mi fa venire in mente che il mondo è sostanzialmente diviso in tre categorie: quelli che si sentono facilmente e/o sempre in colpa, quelli oggettivi che riconoscono dove e quando sono le proprie responsabilità e quando quelle degli altri, e infine quelli che addossano sempre le colpe agli altri e, quando non ci sono gli altri tirano fuori un "Teddy".

Questa sera ho voglia di parlare dell'ultima categoria, ma non parlo di litigi o discussioni, in quel caso si tratta di aver ragione o torto, parlo invece degli eventi che vanno sempre storti perché qualcun altro ha fatto qualcosa che non va.

Queste persone a mio parere sono le più penose ed irritanti. Penose quando associano al loro ruolo la facciata del vittimismo e, con i piagnistei e il sentirsi sempre attaccati dal mondo, vogliono rovesciare tutte le colpe su parenti, amici, colleghi, vicini di casa, il cane, il criceto, la strada, la iella. Irritanti quando sono pure prepotenti e con la violenza tentano di fare sentire il prossimo un pezzo di idiota, uno stronzo, un incapace.

Ma io non voglio fare discorsi ovvi, potrei andare avanti per ore a parlare di questa gente, ma suppongo che voi tutti nella vostra vita abbiate incontrato e avuto a che fare, almeno una volta, con persone del genere. Potreste fare voi degli esempi di "quella volta che..." e di come vi sentivate, con i loro atteggiamenti, in colpa, incapaci, cattivi, vittime di ingiustizie, furibondi, indifferenti ecc... 

Io invece voglio porre l'attenzione su un aspetto meno evidente: le persone che danno sempre la colpa agli altri, e peggio quando lo credono veramente, non hanno potere, non hanno né fortuna né intelligenza.

Mi spiego meglio: se qualsiasi cosa ti capiti, se gli eventi della tua vita dipendono sempre dagli altri perché ti vadano bene o  male, significa che tu non hai nessun potere decisionale, non puoi e non sai indirizzare le cose. Non sei artefice della tua vita, devi sempre aspettare che gli altri facciano la cosa giusta, altrimenti tu subisci e da solo/a non sei in grado di star bene, devi sempre aspettare qualcosa e qualcuno.

Mi ricordo che quando arrivai a capire questa semplice verità mi fu più facile far scivolare le colpe degli altri, che effettivamente avevano avuto nei miei confronti, in certi casi, nel farmi star male. E' vero avevano sbagliato, ma io avevo deciso di non subire ulteriormente, per tutta la vita, alcune situazioni. Non volevo più permettere che certe persone sbagliassero e commettessero altre colpe. Non volevo più trascinarmi appresso traumi passati. Erano appunto passati. 

Finché io giustificavo il mio star male e la mia vita insoddisfacente a causa degli altri o del passato, mi rifiutavo di riconoscere le mie capacità nel presente e nel futuro di prendere in mano la mia vita e di essere io il principale responsabile dei miei risultati e della mia serenità. Volevo arrivare a stare bene senza aspettare sempre gli altri.

Se una persona si comporta veramente male con te, basterebbe non permetterglielo, o non frequentarla più, se invece vai avanti a far sì che accada, se continua a farti arrabbiare o stare male, è perché in fondo ti va bene quel tipo di relazione, oppure sei un debole e non vuoi, non sai come uscirne. 
Perché permettere a qualcuno di farci star male, arrabbiare? 

Ma sei sicuro invece, che quella persona si è comportata veramente male? Ti sei chiesto se invece ha fatto del suo meglio e sia stata solamente un po' distratta, un po' sbadata, o inesperta? Non basterebbe farglielo notare civilmente o sorvolare?
Perché non riconoscere la buona volontà, perdonare una disattenzione non dettata dalla cattiveria e vivere tutti più serenamente, e permettere a chi ha commesso lo sbaglio di rimediare?

In ogni caso, siamo sempre noi stessi a decidere se la vacanza sarà piacevole, se la serata è andata bene, se gli amici e le amiche sono simpatici. Non è sempre colpa degli altri. Se ti stanno tutti antipatici sei tu che sei intollerante, e piuttosto che criticare guardati: non è che tu sia così perfetto e simpatico a tutti, a ben vedere. Se la vacanza si è rivelata uno stress perché non era come l'avevi prevista, sei tu che non sei partito con lo spirito della vacanza. Se la serata è andata male perché non si è svolta secondo i tuoi piani, sei tu che non hai saputo cogliere in tuo favore gli imprevisti. Se sono tutti stronzi con te, è perché il tuo modo di porti non li invoglia ad essere buoni, le stesse persone che reputi stronze, quando non devono interagire con te, chissà perché invece sono gentili, non è che sei tu a sbagliare qualcosa?

Le persone sono abbastanza semplici, e anche le dinamiche dei rapporti: quando incontri qualcuno che cerca sempre di farti sentire cattivo e incapace per qualcosa, che non riconosce mai di essere in torto, che è perennemente triste e arrabbiato, che gli va continuamente tutto male, guarda bene e da fuori la situazione: nel suo elenco di colpevoli ci sei tu, ci sono tutti, c'è persino un Teddy... manca solo il principale colpevole, il responsabile di tutto... e chi sarà mai?

Nei prossimi post parlerò di quelli che stanno sul versante opposto e che invece si sentono sempre in colpa


venerdì 1 novembre 2013

Diario fotografico - Ottobre 2013

In trentun giorni succedono tante cose. Mi piace la mia vita quando ogni giorno racchiude momenti da raccontare, alcuni spensierati, altri tristi, altri sereni. Mi piace la domenica viaggiare qua e là, mi piace la sera girare la città e cercare i locali con la musica dal vivo, mi piace giocare con le mie piccole, mi piace leggere il destino nel fondo di una tazza, mi piace collaborare con i musicisti, mi piace esibirmi, mi piace travestirmi, mi piace ridere e scherzare.

Anche con le preoccupazioni nel cuore, un sorriso in compagnia ti ricorda che la vita è anche tutto questo.
E che ad ogni risveglio dopo notti di pensieri e di pause, il giorno è sempre là, che ti attende.

Vivi, non arrenderti, mai.