Perché non la invitarono alla festa (il motivo ai bambini non venne mai spiegato) ma fu per questo che si arrabbiò tanto, la fata cattiva nella fiaba de' "La bella addormentata nel bosco". Mentre i grandi narravano la storia, distinguendo nettamente il bene dal male, i buoni dai cattivi, a me, sinceramente, faceva tenerezza: la vedevo originale, ma abbondonata ed emarginata da tutto il regno, ed etichettata come cattiva. Il fatto è, che se ti considerano cattiva, o diversa, perché ti isoli o sei selvatica, poi diventi cattiva per davvero.
Già.
Ma solo io la pensavo così. Le antagoniste mi erano sempre simpatiche, come Milady, per esempio.
La sapete la storia? In breve: lei era la bionda, bellissima e adorata moglie di Athos, un giorno cadendo da cavallo, lui la soccorse e scoprì il marchio del fiore di giglio sul braccio... devo aprire una parentesi a questo punto del romanzo: io mi chiedevo come un marito potesse solo in quel frangente vedere la pelle nuda della moglie, in un posto mica tanto nascosto. Vabbeh che andavo alle medie quando lessi per la prima volta "I tre moschettieri", e di sesso non ne sapevo tanto, ma questa curiosità me la sono sempre portata dentro... come facevano l'amore ai tempi di D'Artagnan in Francia???
Chiusa questa parentesi, quando quindi Athos scoprì il marchio della moglie, adorata fino a cinque secondi prima, sapete che fece?
Come farebbe un uomo innamorato? Beh io chiederei la motivazione, vorrei farmi spiegare, poi capire se la donna si è redenta: tutti possono commettere errori ed avere una seconda possibilità, e cosa più importante: se ti ama. Non c'è mai scritto se Milady avesse amato Athos veramente o no.
Ma lui non fece nulla di quello che farei io, se fossi un marito innamorato e scoprissi la fedina penale sporca di mia moglie che amo tanto.
Lui la ripudiò immediatamente. Forse che lo scrittore Alexandre Dumas era a corto di idee e non si inventò una storia plausibile nella storia, per spiegare l'origine del marchio? Io non ricordo di averla letta, raccontata da Milady, ma solo che dalla delusione, il nobile conte, o duca, quello che era Athos prima di arruolarsi insomma, la cacciò via. Senza rimorsi e rimpianti.
Ricordo poi in qualche punto del libro, dove venne spiegato brevemente che lei aveva raggirato un prete per i suoi vantaggi, tuttavia, nessuna scusa mi parve abbastanza plausibile per la reazione di Athos. Quasi come se nei romanzi di fantasia, il cattivo è sempre cattivo, e il buono sempre buono. Senza tonalità grigie e complicazioni psicologiche.
Uno psicologo ai giorni nostri analizzerebbe, tramite qualche seduta, la testa del'ex consorte del moschettiere e direbbe: "Povera infanzia di Milady! Orfana, povera e cresciuta da sola, senza guida, senza affetto, senza una famiglia. Che poi era pure inglese e come mai stava in Francia? Aveva bisogno di guadagnarsi da vivere, ma voi nobili nati nella bambagia e senza problemi di sopravvivenza non capite un cavolo!"
Allora l'antagonista farebbe pena, capiremmo la sua sete di rivalsa, l'ambizione di sfruttare la bellezza per entrare a far parte della nobiltà, scalare la società e diventare un qualcuno, sentirsi importanti, una volta nella vita! Ci commuoverebbe e diventerebbe un'eroina".
Là verità...
La verità per cui provavo empatia ed attrazione per le cattive delle storie, era che io ero sempre l'antagonista. Forse anche oggi. Gli antagonisti sono cattivi, e il male perde sempre. Infatti, le cose mi vanno sempre difficili.
Non mi sono mai sentita la protagonista della mia vita a lungo, chi ha scritto questo romanzo mi ha designata così: asociale, "piccola e scura come quelli del popolo fatato"... no, quella era Morgana. Morgan le fay era cattiva, brutta perché bassa e scura. Ginevra era la buona. Mamma mia, che donna irritante era Ginevra: bionda, bigotta, timorosa di tutto, ignorante come una capra, principessina. Che poi: lei tradiva Artù con Lancillotto, non è che fosse tutto questo stinco di santo. Però lei era buona perché cristiana (le cristiane tradiscono i mariti?) e faceva la dolce virtuosa.
Io, invece, volevo essere libera da pregiudizi e sapere fare incantesimi come Morgana, volevo conoscere le persone, vivere ed essere bella ed intelligente come Milady, non volevo leccare i piedi del re e della regina per essere la buona della storia. Il prezzo da pagare, cioè le sfide e l'emarginazione era di certo alto, ma cavolo, essere falsi, per me era molto più umiliante che vivere da antagonista.
I miei primi ricordi di diversità, risalgono ai tempi dell'asilo nido. Non che mi ricordi molto, delle mie immagini trovano oggi spiegazione e conferma grazie a quello che mi dice mia madre: cioè che per motivi di logistica, finii alla scuola materna delle suore, benchè fossi in età da asilo nido, con bambini quindi più grandi di me.
Non potendo partecipare alle attività, io ero quella non solo straniera, ma che dormiva nella brandina anzichè giocare, portava il pannolino, doveva farsi imboccare per mangiare e avevo sempre attaccata suor Maria Rosa alle calcagna.
Anche alle recite scolastiche ero sempre truccata (neanche tanto) da straniera venuta da lontano. Nel presepe umano della scuola, alle elementari, non sapendo (o non volendo?) mettermi in camicia da notte della mamma, e mettermi nel mucchio degli angioletti assieme a tutte le altre bambine dalla pelle bianca e gli occhioni da bambola, pensarono giustamente di vestirmi da zingarella e mettermi vicino ai Re Magi.
Le bambina più speciale faceva la Madonna: bionda, fine e spirituale, la bambina più bella della scuola. Perciò io non ero la più speciale: ero la zingarella. L'unica zingarella, con il gilet rosso, la sottana lunga da gitana, il fazzoletto scuro con i fiori in testa e la camicetta bianca.
"Ma che ignoranti! Io ti avrei messo in primo piano fra gli angioletti! Un angelo orientale, sai che bello? Le maestre hanno perso una così bella occasione per insegnare qualcosa di bello a dei bambini!" esclama la mia amica regista, che di lavoro "serio" è una maestra delle scuole elementari. "Che poi, la Madonna non era neppure europea, non doveva essere bionda con gli occhi azzurri!"
Ecco, dai tempi molti remoti, iniziai a vedermi come un'originale, sì, ma originale nel senso di non far parte di un gruppo, come le antagoniste, come le cattive delle fiabe. I miei capelli sono da Lucifero: avete mai visto una fatina celeste o un angiolo, un putto svolazzante nel cielo con i capelli neri e lisci?
A volte però, mi soffermo, e mi chiedo: ma chissà, come ci si sente ad essere le protagoniste delle fiabe? Quelle con il lieto e sospirato finale, quelle che incontrano il principe azzurro e sono felici, amate e buone, benvolute da tutti. Quelle dalle esperienze che finiscono bene, che quando compare la scritta. "The end", vengono fermate nello scatto sorridente.
A volte però, non so se riuscirei ad esserlo, perché si cresce, e si tende a dare quello che si è ricevuto. Ad essere quello che si è abituati ad essere visti. Forse sì, a volte mi sento la protagonista e mi piace tanto, ma poi, credo che sia una breve novella, uno sbaglio, non un romanzo vero, perché subito le cose cambiano. Non rimango mai la protagonista a lungo.
Vorrei riprendere tutti gli antagonisti delle storie, riscrivere i romanzi dal loro punto di vista, cambiare i finali. Sarebbe bello se anche loro avessero la loro rivalsa. Una vita di lotte e di avventure che le principesse si sognano, nella loro monotona realtà.
I buoni, che di solito sono buoni per la società, perché fanno le cose giuste che garbano agli altri. Sono sempre tanto noiosi e ridicoli.
"Sì, sì, sì..." dicono sì. Le principessine bionde, non sanno fare nulla. Sono paurose. Non si buttano.
Ma che c'è di bello a vivere così?
Nessun commento:
Posta un commento