venerdì 27 settembre 2013

Disegni senza contorni


E di notte
passare con lo sguardo la collina 
per scoprire dove il sole va a dormire. 
Domandarsi perche' quando cade la tristezza
in fondo al cuore
come la neve non fa rumore...

Guidava come un pazzo con i fari spenti nella notte. 




Guidare quando c'è buio, una strada dritta e larga. Le macchine che sfrecciano, la radio che non  trasmette nulla di interessante. Interviste che non ti interessano. La giornata al termine. La solitudine, i pensieri, i ricordi, le speranze, la malinconia.


I profili delle colline, che man mano diventano case e tutto si illumina e si allarga all'ingresso in città.
Rimanere in macchina sotto casa, senza voglia di scendere.

Emozioni. 

La chiave che gira nella toppa, la casa buia. Le stanze buie, le stanze che dividono. Le scale al buio, mi sfilo di dosso i vestiti. Pensieri.

Sorseggiare qualcosa di caldo prima di mettersi a letto.
Ma la voglia di dormire non c'è. Il sonno, invece sì.

A volte, ho paura della notte.



Vedo il volto ovale del piccolo Pierrot, la sua lacrima d'argento e il viso truccato. 
Mi ricorda il quadro. Un quadro che dipinse mia madre.
Vedo le emozioni e le paure, le debolezze. Le sensazioni, la luna solitaria che non può amare il sole.
Tante stelle attorno a lei. Ma l'unica stella che vuole è il sole.

Ci sono i gatti randagi e c'è troppo silenzio.
Nel silenzio si sente il cuore battere, il respiro, si percepisce la paura, la solitudine, la stanchezza.
Chi la conosce la sua storia. Chi sa perché cantava e suonava dondolandosi sulla luna. Piccolo menestrello. Un pagliaccio. 

La notte è fatta per dormire abbracciati.
La notte esiste per gli amanti.
Ma per chi è solo ci sono i pensieri, i versi, le canzoni.

I quadri color pastello.


Non ci sono nemmeno i contorni. Ma io coloro per riempire, anche se non ho linee. Secchi di pittura, briciole di pastelli a cera. Gocce di inchiostro che si allargano. Mine spezzate.

Di nuovo.



La notte non fa per me. Io voglio essere sempre brillante, non la voglio questa tristezza.

Non ho domande, non ho dubbi, solo incertezze, solo voglia che arrivi presto il giorno, o il colpo di grazia di Morfeo che alle prime luci dell'alba mi chiude le palpebre e io crollo. E non riesco mai a vedere il sole sorgere.

Non dovrebbe mai esistere la notte. Io di giorno sono forte. 
C'è troppa stanchezza per porsi domande sul mondo, sulle persone, sulla vita. Vorrei solo avere il coraggio di affrontare il sonno.

Sento che il sonno mi sta pian piano avvelenando, come qualcosa di inebriante e pericoloso che invade il mio sangue ed entra in circolo nelle vene.

E così. Io cedo.

Non mi importa più nulla del mondo, nemmeno della tristezza. 


***

Non posso farti compagnia menestrello. Fai ridere tutti tranne te stesso. E non fai ridere neppure me conciato così da pagliaccio. Raccontami perché piangi.
Parla mentre io vado via con la mente e ti lascio solo.
Sei sempre stato solo. Ti lascio con la tua lacrima. Canta la luna, canta la notte stellata. Nessuno ti farà compagnia.
Canta quello che senti, canta per chi non ti vuole. Canta al nulla. Fino all'indomani.

Ora appoggio il capo e chiudo gli occhi.
Ho bisogno di riposare.



Canta, canta un po' anche per me.



martedì 24 settembre 2013

Morgan cammina sulle nuvole


Era il titolo di una pagina che avevo aperto tutta per me. In anonimato, ci scrivevo tutte le cose che mi rendono felice, che mi fanno stare bene.

L'idea mi venne in un gelido pomeriggio di dicembre. Ero in giro con i miei cani, c'era già buio e dai giardinetti pubblici rischiarati dai lampioni osservavo le finestre illuminate delle molte case. Mi è sempre piaciuto fantasticare sulle persone e sulle storie che si incrociano, così guardavo in sù verso le tendine, le lampade e i mobili che si intravedevano e talvolta le casalinghe occupate in cucina a preparare la cena, gli studenti seduti nell'altra stanza davanti ad una scrivania.

Per qualche misterioso motivo il contesto mi rasserenava. Pensai che io ero lì fuori al freddo e al buio ad osservare queste scenette famigliari, pensai a come mi sarei sentita bene, in quel momento, se avessi potuto mangiare un pasto caldo, farmi un bagno rilassante e caldo, e dormire in un letto caldo, cullata dalla mia stanzetta.

Per un secondo, questi desideri mi provocarono una sensazione di profondo freddo,  come se per me tutto ciò non fosse concesso. Ma non era un freddo che proveniva da fuori, era qualcosa di molto remoto, di tanto tempo fa, lo sentii in fondo al mio cuore.

Io dovevo aggrapparmi alla vita da sola.


Quel breve secondo venne spazzato via immediatamente al ricordo che io tutte queste cose le avevo, che le potevo fare. Che potevo riportare a casa i cani, entrare in una casa illuminata e avere il pasto caldo, il bagno e il letto caldo. E mi sentii fortunata e felice, come se rispetto al resto del mondo fossi una privilegiata. Fu una nuova consapevolezza.

Tornata a casa, decisi di fare l'elenco delle mie serenità. Alcune erano cose piccole, altre più pretenziose. Altre sono fortune con cui sono nata. Mentre scrivevo mi resi conto della cosa più importante: la vera fortuna che avevo in più degli altri non erano oggettivamente i successi e i beni materiali in mio possesso. Ma il rendermi conto di averli.

Una volta un mio amico, un mio coetaneo, mi disse che la mia e la sua generazione era piena di bambocci e che stava regredendo rispetto a quella dei nostri genitori, che invece erano cresciuti nel dopoguerra, con la mentalità di fare sacrifici e lavorare sodo per ottenere le cose. Ricordo che gli risposi istintivamente: "Parla per te. IO sono della generazione del dopoguerra. E sono della prima generazione dei bambini cresciuti in un paese straniero".

Ecco. Ad oggi, credo che sia stata proprio questa sfortuna, la mia grande fortuna.

***

Morgan cammina sulle nuvole, ed ogni nuvoletta è in questo elenco numerato. 
Non ho mai molto apprezzato i guru che si ergono ad insegnanti di ottimismo e di felicità, mi verrebbe da rispondere: "Che cavolo hai da essere sempre allegro?"

So che ci sono tante difficoltà nella vita. Non sono una bambina cresciuta in un paese delle meraviglie, ma so anche che la realtà a volte è migliore delle favole.

Questo elenco è per me. Per quei momenti in cui la malinconia pervade, allora verrò qui per ricordarmi di cosa posso fare per assaporare la vita. Spero che possa essere anche una piccola fonte di ispirazione a qualche lettore.


Le cose che mi rendono felice:

1- Passeggiare sotto Natale per il centro con la mia amica. E dopo gli acquisti rifugiarci in una profumata ed accogliente pasticceria a sorseggiare cioccolata calda con tanta panna montata.


2- In estate, esplorare le campagne e le strade in bicicletta.
3- La pioggia che batte forte fuori e io in casa senza nulla da fare, a guardare un film o a leggere un libro avvolta in una calda copertina.
4- Sognare ad occhi aperti o sonnecchiare sotto un ombrellone, al mare, mentre un leggero venticello mi accarezza la pelle.


5- I giorni di completo riposo dopo una settimana di intensa attività lavorativa.
6- Lo stipendio che arriva tutti i mesi, che mi permette di soddisfare i miei capricci.
7- I momenti delle prove e dei concerti condivisi con le persone con cui mi trovo bene.
8- Poter esaudire i desideri materiali delle persone a cui voglio bene.
9- Arrivare a casa, sfilare via i tacchi e camminare a piedi nudi, finalmente!
10- Avere desiderio di mangiare un determinato piatto e la mamma che me lo fa trovare per cena.

11- Sentirsi tristi ed avere qualcuno con cui parlarne.
12- Sentirsi felici ed avere qualcuno a cui raccontarlo.
13- Sentirsi preoccupati ed avere qualcuno con cui condividere le preoccupazioni.
14- Avere delle persone a cui voler bene.
15- Avere delle persone che mi vogliono bene.

16- Ogni mattina, riordinare la cameretta.

17- Avere sonno e poter dormire.
18- Avere fame e poter mangiare.
19- Avere freddo e poter scaldarsi
20- Sentirsi stanchi e poter riposarsi.

21- Cucinare insieme e poi insieme mangiare e riordinare.
22- Farsi coccolare e coccolare. Abbracciare, accarezzare.


23- Giocare con le mie nipotine.
24- Migliorare quando mi impegno ad imparare qualcosa.
25- Imparare qualcosa.
26- Conoscere persone nuove.
27- Il delicato profumo di incenso che accende mia madre quando prega.
28- Annusare i vestiti freschi di bucato e di stiro.
29- Quando faccio shopping, trovare "l'affare".
30- Il fuoco del camino.


31- Le caldarroste acquistate e mangiate in strada, alle fiere.
32- Passeggiare a piedi nudi nel mare.
33- Questo bellissimo sole settembrino che oggi sta entrando dalla mia finestra!

***

Proseguirò.



giovedì 19 settembre 2013

Risultati di ammissione

La mia allieva che ho seguito e preparato per mesi, ha superato l'esame di ammissione al conservatorio. Beh, queste sono piccole, grandi soddisfazioni. Naturalmente io avevo preso l'impegno di prepararla solamente perché avevo visto delle capacità, perciò il grosso del lavoro è suo, ma mi sento importante per aver contribuito un po' al risultato.

E con questa sono a tre aspiranti candidati, su quattro, che sono riuscita a far entrare.

Il primo allievo, quello che non aveva superato l'ammissione, era bravo pure lui, ma ero poco più che ventenne e non mi sentivo io per prima all'altezza di questo compito. Per fortuna lui fece l'esame sia per oboe che per saxofono e riuscì a passare col primo strumento. Mi sentirei un po' in colpa adesso, se una carriera musicale fosse stata stroncata sul nascere a causa della mia inesperienza.

In bocca al lupo I., ora vai avanti per la tua strada. Ogni tanto ricordati di me!

mercoledì 18 settembre 2013

Farfalle e coccinelle

Ed eccomi qua, stasera a letto presto con i miei piani della serata rovinati a causa di un po' di febbre. Mi sento troppo stanca per muovermi, ma scrivere un paio di righe mi consola un po'. 
Non è che avessi in programma di uscire a far baldoria, io stasera pregustavo già la gioia di riordinare gli armadi per fare il cambio stagione.

Eh?

Piegare, appendere, riordinare i vestiti ed abbellire l'ambiente in cui vivo è una delle cose più rilassanti che ci sia, ma quando lo dico in tanti non riescono a capirlo.

Non si tratta solo di avere le cose al loro posto, è tutto un lavoro di esposizione estetica che deve rispecchiare certe regole: gli abitini appesi in ordine di colore, le maglie a seconda della lunghezza delle maniche, le magliette piegate e disposte con criterio nei cassetti in diverse pile rispettando le fantasie e la tinta. I maglioni a seconda del collo e della scollatura. I jeans stretti da una parte, quelli sportivi dall'altra, quelli scuri di qua e quelli chiari di là. Le camicie in base al tessuto.

A lavoro compiuto, è bello aprire l'armadio e vedere tutto in ordine, i colori che convivono armoniosamente in diverse gradazioni! 

Le cose messe dove capitano mi danno un senso di smarrimento.

Anche i miei cd sono tutti in ordine alfabetico e proprio non mi piace quando qualcuno me li prende in prestito e poi me li rimette nel primo spazio che trova, è come se non capisse e non tenesse in considerazione i miei bisogni, le mie esigenze.

Non è che io sia una maniaca dell'ordine, ma mi piace l'arte classica, e le cose disposte nella giusta successione sono come una scultura dalle corrette proporzioni.

Qualche domenica fa non sapevo proprio più come fare con le mie collanine che si attorcigliavano fra di loro, così mi è venuta l'idea di attaccare qualche gancetto a forma di farfalla e coccinella alla parete e li ho tutti appesi. Dopo sono rimasta a contemplare l'opera, ed ora posso guardare tutti quei nodi disciolti e liberi con serenità e soddisfazione.


Le persone disordinate a lungo andare mi danno sempre ai nervi. Questa sera che mi sento pure febbriccitante non vorrei averne a che fare neppure con una, neppure per sbaglio.

Cambiando discorso e ritornando al cambio di stagione, mi piace anche spostare le cose e riaprire gli scatoloni dei maglioni che non vedo da mesi, perché sembra di fare shopping: i vestiti che non si vedono da un po', appaiono come novità.

Fra i miei post cancellati da quei geni di MySpace, ne ho trovato uno risalente invece a quel giorno in cui tiravo fuori le cose primaverili ed estivi dagli scatoloni per mettere via i cappotti e i maglioni. 

Mi fa ridere questo post. Conferma che questa "cerimonia" è sempre un evento critico e importante per me. Per fortuna, avviene solo due volte all'anno.


Martedì, 2 aprile 2013

"Il fatto è, che la notte è il momento della giornata più affascinante, quando tutti dormono e tu smetti di essere idiota per partorire un paio di pensieri più profondi. Poi per "profondi" bisogna pure vedere. Ma perché scrivo in seconda persona? Di notte la realtà non esiste più, e forse è l'unico momento in cui le persone tolgono le maschere. Così i sogni sono figli di volti reali e mondi notturni immaginari. Bello, mi piace.

Addormentarsi fino al risveglio naturale e trovare la casa deserta, mi ricorda come quando alle superiori mi svegliavo tardi e in casa non c'era nessuno, e la mamma non riusciva neppure a controllare quante assenze facessi a scuola e che vita facessi, come mi vestissi, cosa mangiassi, se ero felice o depressa, quanti piercing mi fossi sparata alle orecchie e al naso, i tatuaggi, non si è mai accorta di nulla.
Papà mi diceva che ero troppo sregolata e vacua per fare qualcosa di serio nella mia vita. Forse aveva ragione. Poi per "serio" bisogna pure vedere. Non voleva neppure pagarmi l'università perché diceva che con me sarebbero stati soldi sprecati. Beh, in questo ci aveva visto giusto. Che cosa sto combinando. Ero quasi felice fino a dieci minuti fa. 

Il guardaroba, ecco quello che mi preoccupa in questi giorni. Ora ricordo perché volevo diventare una stilista di moda, per rendere più belle le persone e le donne. Ma in questi giorni nei negozi non trovo nulla di decente. Sono tornati gli anni Ottanta, che non mi sono mai piaciuti.  Borse colorate che sembrano di plastica, manichini fucsia e gialli??? Come si può abbinare il fucsia col giallo? Non trovo più niente che mi piaccia. I pantaloni stretti non stanno bene a tutte. Girare con cento euro in tasca per comprare qualcosa di nuovo e non riuscire a spenderli perché non si trova nulla che soddisfi il gusto: ecco cosa può rendermi insoddisfatta.

E questi sono i miei pensieri profondi, i miei problemi seri, già. Io non sono seria. Se sono felice scherzo, se sono infelice scherzo, se sono preoccupata scherzo, se sono arrabbiata scherzo.  Scappa scappa, Thasala. E ora mi metto a sistemare il guardaroba che fra un po' arriva il caldo. Devo smetterla di pensare, che se mi vesto male poi è peggio". 


Ora che mi ricordo, mia madre mi raccontava che da piccolina non riuscivo ad addormentarmi se prima non passavo ad allineare perfettamente le pantofole di tutti i membri di casa, e le disponevo anche in modo che fossero pronte per essere calzate appena scesi dal letto, perché non sopportavo che fossero buttate in giro e sparpagliate. O quando passavo ore a disporre le bambole e i giocattoli "in un certo modo", che doveva essere come lo pensavo io.

Piccole bimbe maniache crescono, e da grandi diventano Thasala!

Andrea sta bene

Mi è successa una cosa strana. Qualche sera fa, di punto in bianco, mi è venuta in mente una persona che conoscevo e, incuriosita, mi sono chiesta che fine avesse fatto. Prima di raccontare però questa storia è bene tornare indietro di qualche anno e cominciare dall'inizio. Non farò i nomi reali di nessuno per questione di privacy.

Nell'inverno del 2004 mi trovavo in una minuscola birreria del centro con un chitarrista a suonare dei duetti jazz, in acustico. Alla fine dell'esibizione ero sola davanti ad un bicchiere, mentre la ragazza del chitarrista si era avvinghiata a  lui e l'aveva subito portato via.

Fra il pubblico che fino a quel momento aveva ascoltato, c'era un ragazzo dai lunghi riccioli biondi, anche lui rimasto solo, che prese ad attaccar bottone con me, un tipo strano. Andrea.

La sensazione che mi diede subito era di un bambino cresciuto (aveva due anni in meno di me) alto un metro e novanta, magro, molto confuso ma molto innocuo. Mi propose un panino in un locale di via Milano, io accettai e ognuno con la propria macchina raggiunse il posto.

Ricordo che appena scesi dall' auto, mi disse subito:

- Non ti fare ingannare dalla mia macchina come fanno tutte. Non sono pieno di "pila", l'ho comprata con i soldi che mi hanno dato per un incidente. Quasi ci rimettevo la pelle.

Passai la serata con lui a parlare di assurdità e di serietà. Non ricordo perché vivesse solo con sua madre. Ci riempimmo di panini e di patatine. Mi chiese se avevo voglia di uscire con lui e i suoi amici nei prossimi giorni.

Fu così che per un certo periodo, fino alla fine dell'estate di quell'anno, frequentai questa compagnia, e con uno di loro intrecciai una relazione così vuota ed innocua, che nei miei ricordi fatico a pensare che sia esistita realmente.

Erano studenti e studentesse universitarie della Brescia benestante. Giravano con macchine lussuose e spendevano cifre da capogiro ogni fine settimana. Ragazzi brillanti, simpatici, galanti con le donne, con l'ambizione o con l'obbligo di seguire le orme famigliari e di diventare avvocati, medici, politici. La classe di ex liceali del centro, quelli definiti "figli di papà". Quelli felici e senza problemi.

Non era la vita con cui ero cresciuta io, che tanto avevo calpestato per rendermi indipendente economicamente dai miei, dall'acquisto di un rossetto alle tasse scolastiche. Pensavo a tutte quelle volte che, giovanissima, avevo servito nei locali ragazzi della mia età, nelle sere in cui correvo avanti e indietro con i capelli raccolti, quando desideravo anch'io vestirmi elegante, con i tacchi, anzichè sudare in tenuta da cameriera volando fra un tavolo e l'altro, tenendo a mente le comande e contemporanemante mandando a quel paese vecchi clienti bavosi dalle battute volgari e scontate.

Nonostante lavorare presto fosse stata una mia scelta, non nego di aver provato invidia davanti a combriccole tanto allegre, con i giovani che per fortuna apprezzavano la mia presenza, seppur puzzassi di fumo e di birra del locale.

Ora da ventenni eravamo tutti lì e io uscivo con loro. Mi aprivano la portiera dell'auto, mi facevano i complimenti e insistevano per pagarmi sempre il conto.

Ma ogni cosa ha il rovescio della medaglia e mi accorsi frequentandoli, che tutta quella bella vita nascondeva anche smarrimento e malinconia. Come se cercassero rassicurazioni, conferme nelle incertezze dell'indomani. La situazione si ribaltò e divenni io quella più "leggera", quella che non aveva i problemi, che non pensava futuro, sembrava che fossi io ad aver avuto di più e probabilmente era così. O forse semplicemente non mi facevo più problemi e al futuro ci pensavo ma non ne avevo paura?

Questa era la compagnia in cui mi inserì Andrea.

Il suo disperato bisogno di affetto e di attenzioni mi soffocava e spesso mi ritrovavo a non rispondere alle sue chiamate. Sembrava che dovesse vivere per forza ma che non gliene importasse nulla di se stesso, guidava per procurarsi incidenti quasi mortali e anche i suoi amici avevano rinunciato a rimetterlo sulla retta via e a lasciarlo da solo nel suo brodo con le sue stranezze.

Ci allontanammo sempre di più. Non eravamo neppure più amici.

Mi stupì quando, circa un anno dopo dal nostro incontro, mi rivelò che era tornato da poco perché appena saputa la notizia dello tsunami era partito per fare volontariato.

Se n'era tornato con qualche tatuaggio in più e una moto nuova di zecca. Uno sproloquio dei suoi nuovi progetti e delle sue contraddizioni. 

Mi invitò a farci un giro, per andare a pranzo da un suo amico. Dopo tutto quel tempo mi fece piacere rivederlo, ma purtroppo litigammo nuovamente. Proprio non andavamo d'accordo.

Conoscendo il suo modo di guidare, lo avvisai che se avesse fatto lo stupido con me, me ne sarei tornata a piedi piuttosto che salire con lui. Mi promise e si trattenne all'andata, ma al ritorno non resistette e, pur di mostrarmi quanto valesse il suo motore, mi ritrovai in galleria a gridare terrorizzata di rallentare, e a stringermi forte a lui dalla paura di morire, ma non mi ascoltava.

- Hai visto? - disse poi compiaciuto - sono passato dai sessanta ai centossettanta chilometri orari in due secondi.

Ero riuscita a farlo fermare in mezzo alla strada, e restituendogli il casco gridai: 

- In città, in galleria. Mi avevi detto che non l'avresti fatto. Hai accelerato senza avvisarmi, se non mi fossi aggrappata per tempo sarei potuta cadere all'indietro!

Girai sui tacchi e me ne tornai veramente a piedi. Dopo quella volta non ci sentimmo più e neppure pensai mai a lui e ai suoi amici.

Fino a qualche sera fa. Chiedendomi se fosse ancora vivo (ma ironicamente) e non trovandolo su Facebook, ho provato a cercarlo su Google, e la notizia che ho letto mi ha raggelato per qualche secondo il sangue. Un anno fa, in moto con un suo amico, aveva fatto un incidente e tutti e due erano rimasti feriti molto gravemente. La notizia era riportata sui giornali. Era uscito di strada. L'amico scaraventato all'aria. Andrea era alla guida.

Ho cercato notizie per sapere se fosse sopravissuto ma non ho trovato nulla.

Dopo tanti anni non avrei voluto sapere queste cose, soprattutto quando l'ultimo ricordo che avevo di lui era stato il nostro litigio a causa di quel suo "scherzo" in moto.

Non so perché mi è venuto in mente così all'improvviso.

Oggi pomeriggio, mentre ero in coda alla cassa del centro commerciale, ho guardato distrattamente in lontananza i vivaci corridoi pieni di vetrine e di negozi, e l'ho visto.

Lui era lì, lontano, lavorava ed era occupato con i clienti, leggermente ingrassato, con lo sguardo ancora buono e gli occhi azzurri, i riccioli lunghi e biondi, il sorriso disarmante. Mi è sembrato ancora quel ragazzo magro ed innocuo che in  birreria mi aveva detto:

- Andiamocene via da questo buco, lo vuoi un panino? Andiamo in via Milano?

Ho pensato a lui come un bambino, ma di quelli che cadono, che si fanno male, si scordano e felici ed incoscienti si rialzano e riprendono allegramente a fare gli stessi giochi pericolosi. Forse per amore della vita, e non di disinteresse come credevamo tutti.

L'ho osservato, aspettando che si liberasse, che magari da distante come eravamo guardasse nella mia direzione e mi riconoscesse, ma era attorniato dai clienti e preso dal suo lavoro. Non sapendo cosa fare, ed essendo di fretta, me ne sono andata col sorriso sulle labbra. 

Andrea sta bene.

domenica 15 settembre 2013

giovedì 12 settembre 2013

Le bambole di Alice II




Sognavo corridoi bianchi e sporchi.
Scale a chiocciola senza fine.
Non riuscivo a guardare giù avevo tanta paura.
Di non sapere dove sarei andata giù. 

Giù.

Invece percorrevo corridoi bui e neri e non vedevo nulla.
Non potevo sapere quanto era lungo.
C'era troppo buio.

E freddo.

Sentivo dei passi in lontananza.
Potevo indovinare la profondità del corridoio dai passi in lontananza.


In lontananza...



Lontananza...




Lontananza che diventava sempre più vicinanza.



Più vicinanza...


Vicinanza.

E io volevo scappare ma non potevo e mi sentivo la fronte impregnata di sudore.
E faceva freddo.

Avevo freddo.
Brividi di freddo.

E terrore.

E lei era lì con i capelli biondi, ricci e sporchi e il suo sorriso che mi rabbrividiva per tutta la schiena.
Portava due codini crespi legati in alto.
L'abito lungo di cotone bianco, sporco. 
Scappavo da lei, ma lei era sempre vicino a me, sempre sul punto di prendermi. 
Ma io correvo e lei camminava.
E sentivo sempre i suoi passi. I suoi passi...
Dei tamburi a ritmo regolare moderato.

Ricordo tutte quelle porte.

Tutte uguali. 

Chiudi a chiave salvati.
Ma io giravo la chiave nella toppa dieci, cento mille volte e la porta era sempre aperta. 

Nessuno mi protegge.

Alice si prendeva gioco di me nel mio paese in cui le meraviglie erano le pareti nude e sporche.
Sono passati tanti anni ma è ancora dentro di me.

A volte torna.

Per tutta la vita.
Sarò ancora la sua marionetta.



(Continua...)


Doppio appuntamento sabato 14 settembre!

Mi trovate alle 15 in veste di insegnante di sax e clarinetto...



... e poi la sera dalle 21 con i Fun 4 Phan!



Sempre a Paderno Franciacorta.
Vi aspetto!


mercoledì 11 settembre 2013

La protagonista


Questo è il tempo più affascinante e misterioso che ci sia. Amo le notti buie con i lampi e i tuoni, con la pioggia che scroscia e il vento adirato.

Poco fa ero in giro senza ombrello, spesso ne faccio a meno. Mi piace sentire sulla pelle le sensazioni selvatiche. La pelle nuda esposta alla natura, agli stimoli.

E' sempre stato così. Fin da piccola, quando mi inseguivano da casa con l'impermeabile e l'ombrello, ma io fuggivo e correvo incontro alla pioggia ridendo, entusiasta, impaziente, assetata di vita, e sotto la natura dirompente volgevo il viso verso il cielo, cercando un dialogo, con i capelli spettinati e gocciolanti, il vento ululante attorno a me.

Affascinata.

Questo cielo scuro è come uno specchio d'acqua dei miei pensieri. Delle mie ribellioni.

Non sono mai stata la figlia prediletta, l'alunno modello, la cocca di qualcuno, la fidanzatina perfetta, l'amica del cuore, il lavoratore più stimato, la tipa più simpatica. Mi faccio troppo spesso gli affari miei. 

Ricordo quando storpiavo il naso schifata ogni volta che una bambina osava propormi:
- Vuoi essere la mia amica del cuore?
Andava di moda, fra le bambine, girare a braccetto con l'amica, ma io avevo il terrore di tutte le femmine bionde, brave e buone che non disubbidivano mai ai maestri e ai genitori.

La bella addormentata ricevette la maledizione dalla fata cattiva non invitata al castello, che si vendicò, sedici anni dopo, pungendole il dito per addormentarla per sempre.
- Ha fatto bene! - esclamai - non l'hanno invitata!

Nel caso di Biancaneve invece, provavo una sorta di partecipazione e comprensione per la affascinante e bellissima matrigna, che passava tutto il giorno allo specchio, ossessionata, a farsi bella. Lei almeno sapeva cosa fossero le cose interessanti, non come la povera Biancaneve che doveva rifare il letto, spazzare e cucinare per i sette nani ogni mattina, cantando allegramente e parlando con gli uccellini. Ero convinta che quella parte nelle favole fosse scritta solo per convincere le bambine a fare i mestieri,  facendola passare pure per una cosa divertente. 

I lavori di casa, che in teoria dovevo spartirmi a turni con  le mie sorelle, mi ricordavano sempre con angoscia mia madre, che mi cresceva con la terribile minaccia:

- Se non sarai una brava casalinga non troverai mai marito.
Doveva essere una cosa proprio nefasta!
- Farò a meno! - rispondevo.

E lei per punizione mi chiuse a chiave per una settimana il pianoforte. Io però trovai la chiave e riuscii lo stesso a suonare quando lei non c'era, rimettendola poi nel nascondiglio prima che tornasse.

- Io sono cattiva - dicevo - non voglio fare la principessa. Voglio fare la strega, ma devo vincere io.

Avevo circa undici anni, non ricordo perché parlavo di questo con il professore di lettere, alle medie.

- Perché non vuoi fare la principessa? E' la protagonista.
- Perché mi fa un po' pena, è troppo buona.
- Ma la principessa vive per sempre felice e contenta - mi mise alla prova l'insegnante.
- Vive per sempre in un castello, con un tizio noioso. Per me non è tanto felice.
- Non ti piacerebbe vivere in un castello con tanti servitori?
- Io voglio andare in giro e non avere tutta quella gente attorno.
- Non vuoi avere un tuo principe azzurro da grande?

Mi venne in mente che non sapevo cucinare e fare i mestieri di casa. E che la mamma non dice mai cose sbagliate.

- Ma io da grande non mi sposo - spiegai.

Il professore era divertito.
- Non vuoi essere la protagonista delle storie? - insistette.

Ci pensai, mi divertiva di più fare l'antagonista e mettere i bastoni fra le ruote alla sfigata di turno, ma mi venne l'ispirazione giusta e dichiarai:

- Io sono una protagonista cattiva.

Lui si mise a ridere.

Sono passati tanti anni, canticchio un po' a solfeggio ma non sono un usigolo, e parlo agli uccellini quando vengono a posarsi sul balcone, ma volano sempre via quando mi avvicino, forse perché non ho ancora imparato a fare i mestieri.

Non ho mai detto a mia madre che per tutto il periodo delle punizioni io suonavo lo stesso.

Non mi dice più che se non imparo a far partire una lavatrice o una lavastoviglie non troverò mai marito. Magari scuote solo un po' la testa ma fa tutto lei, tranne che i vetri della mia camera.

Al lavoro faccio ancora quello che voglio e non ho l'amichetta del cuore. Di solito vado più d'accordo con i gay. Come la matrigna di Biancaneve, mi piace stare allo specchio, e se mi fanno arrabbiare vado su tutte le furie ed escogito il piano A e il piano B, come la fata cattiva della Bella addormentata. Non mi sono neppure sposata. Sono proprio la cattiva delle favole!

Ma chissà perché, sto bene. Sto meglio io delle brave casalinghe. Non è vero che alle "cattive" va sempre peggio. Forse perché sono pur sempre la protagonista, una protagonista cattiva, quella che fece ridere il mio professore. E i protagonisti vivono sempre "felici e contenti". 

Un giorno insegnerò a mia figlia altre cose più importanti, come ad abbinare i vestiti e a truccarsi, a studiare e a non piegare mai la testa. A non subire le ingiustizie. Non le dirò che per realizzarsi bisogna per forza maritarsi, e comunque, di non preoccuparsi per le incombenze, che per tutti i problemi  gastronomici di coppia  c'è sempre il servizio "Take away". 


lunedì 9 settembre 2013

"Lù"

Veniva a suonare il sax a scuola, di martedì, quando c'ero io, così capitò qualche volta che ci fermassimo a chiacchierare. Era una jazzista, una "tenor sax woman". Mi diceva di andare con lei "in giro" a fare spettacoli, di mollare tutto e tutti e di "vivere solo di musica". In realtà non lo chiese solo a me, lo propose a molti musicisti, quasi a voler placare la sua sete di compagnia. Non mi pareva il tipico entusiasmo di chi lancia idee e proposte e cerca di coinvolgere più persone possibili.

Alcuni risposero sul vago, altri dissero di sì e se ne dimenticarono, altri rifiutarono. Io ero fra gli ultimi. Le dissi che l'idea di suonare "in giro" mi piaceva, ma che non volevo lasciare tutto e tutti per "vivere solo di musica". Mi piace fare i concerti, gli spettacoli, ma pensavo a quella sensazione di calore di quando si torna a casa dopo essersi esibiti davanti ad un pubblico, di avere dei punti di riferimento, delle persone che mi attendono. Anche questo fa parte del significato della vita.

- Non me la sento di lasciare i miei affetti e di non vederli più per mesi - dissi. Pensavo alla mia famiglia, agli amici, alle mie nipotine, ad una persona da amare, a dei figli miei, un giorno, ma non necessariamente all'amore unico come invece lo intese lei:
- Tu rinunceresti a tutto per un uomo? - Il suo volto esprimeva sorpresa e disapprovazione.
- I miei affetti sono tanti - spiegai - non esiste solo l'uomo.
- L'amore ti tradisce, la musica no - disse lei con passione.

A volte ci penso ancora, a questa sua ottica, a questa sua scelta di vivere.

Questa sera che sono qui nella mia cameretta illuminata e me ne sto tranquilla, mentre fuori soffia il vento e le strade sono bagnate. L'oratorio è in festa per la prima domenica di settembre.
Questa sera avevo un mezzo impegno di andare a suonare, ma l'idea di proseguire con le mie letture, di guardarmi un film a letto, di riposarmi in abiti comodi, dopo il pomeriggio di oggi, è stato più allettante.

Mesi fa, quando le risposi che qui avevo "i miei affetti", non avevo ancora coscienza per dirle che anche la casa era per me un "affetto", al pari delle persone. La casa, quel luogo intimo dove riposarsi, ritrovarsi, dove farsi i fatti propri e lasciare tutti fuori. Non so se saprei vivere stando sempre in giro e convivere con tanti sconosciuti, cambiare continuamente ambiente, senza averne uno proprio. Non so se saprei abbracciare la sua scelta di vita.

Credo di no.

"L'amore ti tradisce, la musica no".

Quanta solitudine c'era in questa frase? Viveva sola senza uomini, senza una fissa dimora, e non mi pare ci tenesse poi tanto alla sua famiglia, se ne aveva una. Lei era devota solo alla musica, al suo sax. L'unica cosa che non l'avrebbe mai lasciata. L'amore fa solo male e aveva deciso di farne a meno per non soffrire più. Aveva trovato la sua soluzione. 

La capisco. Tutti soffrono per amore, almeno una volta nella vita. 

E' sempre un rischio fidarsi e lasciarsi andare in una storia, e l'istinto a volte inganna. Ma anche amare porta con sè due lati della stessa medaglia, e lasciare fuori dalla porta la probabilità di soffrire, significa anche non "rischiare" di essere immensamente felici. Di vivere al cento per cento la propria vita, perché vivere senza amore non ha senso.

Tempo fa lessi un libro intitolato: "Amare è lasciare andare la paura". Più facile a parole che nei fatti.
Ci vuole coraggio a mettere a nudo i propri sentimenti, riporli in un'altra persona sapendo che potrebbe ridere di te e buttarli nella spazzatura. Ma potrebbe, invece, custodirli come cose preziose. Se non ci si mette in gioco non si può sapere, e ne vale sempre la pena, come disse Gibran: "Quando l'amore vi chiama, seguitelo, benchè le sue vie siano ardue e ripide".

Non so perché a distanza di mesi penso a lei, alla sua libertà. Mi domando dov'è. Non è che fossimo amiche, e neppure conoscenti, ci parlavamo solo per cortesia, credo di averle rivolto la parola non più di tre volte. Però penso a lei e spero che sia serena, qualunque sia la sua scelta. Ovunque sia.

Non me la sento di consigliare nulla a nessuno, non fa parte di me, solitamente, dare consigli ed opinioni non richiesti, ma mi piacerebbe dirle che potrebbe non dover scegliere fra l'amore e la musica, che potrebbe avere entrambe le cose nella vita, come fanno tante persone e tanti musicisti. Magari sarebbe più felice. Che non capisco questa sua decisione drastica. Ma io non so nulla di lei e del suo vissuto e non è mio dovere ficcare il naso negli affari suoi. E stasera sono qui che scrivo un post su di lei che tanto non leggerà mai.

E' passata la mezzanotte.
Buonanotte al mondo.

Alice e le bambole III - Il cimitero delle bambole

Nota:  I racconti qui pubblicati sono inediti  ed interamente ideati e scritti da Thasala Phan, a cui appartengono tutti i diritti (vedi nota in fondo alla pagina). Alcuni luoghi citati, i personaggi e le trame sono frutto di sola fantasia. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


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- IL CIMITERO DELLE BAMBOLE -

In alcune religioni si usa cremare i morti e le ceneri vengono poi sparse o conservate. In altre, i cadaveri vengono seppelliti e la natura fa il suo decorso di decomposizione. In questo modo anche coloro che in vita erano belli, diventano degli scheletri senza pelle e senza occhi, con le orbite vuote. Da cadaveri si è tutti brutti.

E' ridicolo che certi esseri umani quando sono in vita pretendano di essere seppelliti, dopo il trapasso, con abiti sfarzosi e gioielli. Perché vedere un cadavere decomposto agghindato e carico di anelli e collane è piuttosto antiestetico e disgustoso. Oltre che inutile.

Il problema delle bambole è che non si decompongono. Ceramica, vetro, legno, porcellana. Se cadono possono andare in mille pezzi, ma non si riempiono di vermi e non emanano odore di morto.

Rebecca, la timida cameriera di Alice, non ci provava più a salvare le bambole che la padroncina decapitava e poi buttava via. Ci aveva provato un paio di volte ad aggiustarle per portarle alle sue sorelline, ma quando Alice l'aveva scoperto, era andata su tutte le furie e l'aveva frustata.

Il suo ordine era di disfarsene e non di recuperarle. 

In un piccolo spazio di terreno dietro il palazzo, nella brughiera, aveva così cominciato a seppellirle e a salutarle con una sua cerimonia di canti lamentosi e preghiere da lei composte.
Era "il canto di Becky". Un canto che gli animali e le piante della brughiera conoscevano.
Ogni bambola aveva una piccola tomba e quando arrivava la notte, le finestre inondate di luce dell'abitazione gettavano una sinistra e vacua luce bianca sulle neri croci del cimitero.

Quando il vento soffiava, elevava in alto storie e parole miste di risolini sarcastici, voci infantili e cristalline di bambole senza testa che bisbigliavano fra di loro e cantavano filastrocche. Pregavano richieste d'aiuto e di vendetta. Come anime sensa giustizia imprigionate sulla terra. I viandanti che malauguratamente capitavano da quelle parti però non udivano distintamente una musica, ma percepivano nel vento immaginari echi e messaggi incomprensibili che li spingeva ad affrettare il passo per allontanarsi il prima possibile.

Solo un ardente e doloso incendio per tutta la brughiera avrebbe liberato le anime da quel cimitero e ridotte in cenere. Allora il vento avrebbe soffiato le ceneri via con se, come in certe religioni. Che poi vagano, vagano, tornano alla terra o finiscono in mare.


domenica 1 settembre 2013

Diario fotografico

Ben arrivato settembre!

Questo clima, questo tempo illuminato e fresco è spettacolare, oggi mi sento serena. E' domenica e c'è quiete attorno a me. L'estate quest'anno è stata piena di avvenimenti e di sorprese, di bei ricordi. Quell'Estate di cui parlavo circa un mese fa, cominciata in ritardo. Momenti turbati e altri più felici. Musica, persone, sentimenti, viaggi, paesaggi e nuove esperienze, nuovi luoghi ed incontri. Tutto è passato e volato via in un lampo. Come avrei voluto fermare per sempre alcune giornate!

Mi rammarico di non avere un ricordo fotografico per ogni momento, ma non è così semplice e immediato, proprio mentre si sta godendo una sensazione e la compagnia di qualcuno, ricordarsi di mettersi in posa o fotografare.

Vediamo però se riesco a fare una sorta di piccolo collage di immagini di questo periodo. Sicuramente non c'è tutto, qui c'è solo qualcosa. Qualcos'altro è postato nell'album delle esibizioni dal vivo, sul mio profilo Facebook ed Instagram. Ci saranno delle foto sparse in rete a mia insaputa, come quelle dei concerti, ma anche di situazioni bizzarre come in quel Week end con lo sconosciuto durante la serata del suo addio al celibato. Se ne andò via avvisando: "Vi metterò su Facebook!" ma siccome io non so chi è, non ho neppure idea di dove io sia finita.

Le altre fotografie, le più intime, quelle private, sono nella mia mente, e rimarranno solamente lì.

Mi piacciono le fotografie.