Mi ricordo alle medie, una volta che dovevo studiare un capitolo di storia e non c'era stato verso, quel pomeriggio, di farmi entrare in testa nulla. Il giorno dopo avrei avuto l'interrogazione ed ero in alto mare. Praticamente non sapevo niente, non avrei saputo rispondere a niente.
Mi arresi alla mia "stupidità" e, anziché applicarmi di più, scelsi di spassarmela in giro per le piazze del centro, con la mia compagna di classe, e mi divertii un sacco.
Arrivai a casa alle sette di sera con interi capitoli di cui non sapevo niente. Non ricordo perché ma quel giorno cenammo un po' più tardi del solito e nell'attesa presi in mano, molto svogliatamente, il solito odiato libro di storia, ma più che altro per far passare il tempo mentre il mio stomaco brontolava. Successe una cosa strana che non ho più dimenticato.
Leggevo interi capitoli come se fossero state trame di un film fluido e scorrevole, veloce, ricordavo tutto e raccontavo i fatti con le mie parole. Assimilavo con una velocità sorprendente e quando finii di leggere silenziosamente tutte quelle pagine avevo la certezza di avere tutto in testa. Il giorno dopo l'insegnante mi lodò e mi disse che avevo evidentemente studiato molto, invece avevo solamente letto un'oretta.
Capii, dopo quell'esperienza, che non sono le ore di studio a fare la differenza ma la qualità del tempo che vi si dedica. E' inutile obbligare la mente a rimanere concentrata e ad aprire con la forza la testa per ficcare dentro delle nozioni quando non si è predisposti a farlo. Capii anche che a volte, per risolvere i problemi bisogna lasciarli semplicemente da parte e riprenderli in un altro momento.
Spesso a scuola si dice che bisogna studiare ma non si insegna come organizzarsi con i tempi e come bisogna farlo. Una mia amica dice che il liceo classico è la scuola più difficile in assoluto perché lei studiava da appena dopo pranzo fino a prima di andare a dormire, ma io sono invece convinta che fosse lei il problema e non il liceo, perché tanti miei amici facevano la stessa scuola e pure il conservatorio, e prendevano voti alti dappertutto, e non è che mi sembrassero dei grandi geni.
Però se io la contraddico e le dico che non serviva studiare tutto il giorno, lei mi risponde che il liceo classico che hanno frequentato i miei amici è più facile del suo, e che pure il conservatorio è facile, anche se non ha mai preso in mano uno strumento e non riconosce le note.
Quando si studia una materia che ci piace è molto più facile e proficuo. Io ho sempre odiato la storia, la trovo noiosa e non ricordo niente, ma un anno ho avuto alle superiori un'insegnante che me la faceva entrare in testa, durante le lezioni, con estrema semplicità. La raccontava come se stesse parlando di una sua vacanza divertente, noi l'ascoltavamo senza disturbare, le ore scorrevano velocemente e spesso a casa non c'era bisogno di rileggere nulla perché mi ricordavo tutto fino alla successiva lezione. Prendevo persino dei bei voti e arrivai a dire una volta che era una bella materia.
Finito quell'anno, cambiarono insegnante e storia tornò ad essere noiosa come lo era sempre stata.
Da studente, non sono mai riuscita ad applicarmi in qualcosa per responsabilità, per dovere, per ottenere dei risultati. Ci sono studenti che si impegnano a prescindere, io avevo bisogno di trovare qualcosa di interessante, di stimolante, e sono sempre riuscita a non farmi mai rimandare, ma solo perché il pensiero di passare le vacanze a recuperare anziché magari dormire fino a tardi o andare in giro a divertirsi era spaventoso, angosciante, e gli ultimi mesi mi impegnavo per tirar su tutte le materie.
Da insegnante, cerco sempre di coinvolgere gli allievi facendoli divertire e stimolare il loro naturale interesse, dove possibile. Perché se solfeggio è noioso, è noioso e non c'è nulla da fare. Però se si mette subito in pratica la lettura e si suona insieme è più divertente e si capiscono lo stesso le cose.
Sono sempre stata più portata per le cose pratiche che teoriche. Dieci minuti di teoria erano il record per la mia soglia di attenzione. Io capivo la teoria solo attraverso la pratica.
Per questo mi stupisco sempre quando mi ritrovo un bambino che mi fissa con attenzione dopo che ho parlato per dieci minuti, quando io stessa comincio ad annoiarmi di quello che sto dicendo e a perdermi, e allora gli chiedo sempre se ha bisogno di qualcosa, se deve andare in bagno, se sta bene, ma poi lui mi dice di no, e mi fa pure delle domande su cose che non ha capito e io mi rendo conto, sconvolta, che mi ha ascoltato per davvero. Ma non sono normali dei bambini così, secondo me sono degli alieni.
Poi mi ritrovo pure quelli che non hanno voglia di fare niente, e allora mi improvviso in sermoni e discorsi sui doveri e sulle responsabilità, perché mi ricordo che mi pagano per farlo, ma dopo cinque minuti mi ritrovo a pensare: "Ma che stai dicendo?" mi ricordo di me e mi trattengo dal ridere.
A ben vedere però, se uno non frequenta l'università di scienze dell'educazione, neppure agli insegnanti viene insegnato ad insegnare... e scusate il gioco di parole...
Come si fa ad insegnare?

La prima cosa che mi viene da fare è di ripercorrere il proprio percorso di apprendimento, e nel mio caso è stato un percorso travagliato, nella lotta fra la pigrizia e le aspettative del mondo. Non è che poi mi importasse tanto di queste aspettative, l'unica cosa che mi ha salvato dalla totale ignoranza è stata la mia curiosità e la passione per la lettura. Ma i libri sulla didattica sono troppo noiosi da leggere, e riesco a stare attenta per dieci minuti, non di più.
Mia madre, che insegnava lettere, lei sì che era portata per i sermoni e i lunghi e pallosi discorsi sulla responsabilità, sul futuro, sull'impegno ecc... li faceva pure gratuitamente da mamma con i figli, e quando dieci anni fa cominciai ad insegnare, mi raccomandò che il mio compito, oltre che trasmettere le mie conoscenze, era di dare il buon esempio ai bambini ed insegnare loro a vivere, a portare rispetto, al senso civico ecc... non ricordo tutto quello che disse perché dopo sette minuti già non ascoltavo più.
Io non credo di aver voglia di insegnare a vivere, non so se sia il mio compito, che competenze ho a riguardo e che esempio posso dare. Non sono neppure convinta di essere così brava ad insegnare la musica... se non fossi lì per quel ruolo, se non fosse il mio lavoro, direi a tutti di andare a divertirsi e di fare quello che vogliono. Ma una cosa almeno la so, dopo dieci anni, l'ho visto: io ai bambini insegno a ridere.