domenica 23 novembre 2014

Domenica

Questa mattina mi sono svegliata un po' triste, non sarei più scesa dal letto, succede. Pensavo alla mia vita fuori dalle coperte, e volevo rifugiarmi ancora più sotto. Nel frattempo controllavo il mondo dal telefono, spiando gli altri, protetta da uno piccolo schermo. Diversi sono i motivi per cui non impazzisco al pensiero di affrontare le giornate. In mezzo al caos e al turbine dei pensieri che mi animavano la testa doloranate, c'erano anche frasi deprimenti come: 

Quell'esercizio è difficile, non ne esco più.
Non ho tempo per studiare.
Non ho voglia di studiare.
Fa freddo.
Devo studiare.
Devo lavorare.
Devo andare.
Devo lavare i piatti.
E' tardi.
Mi sento sola. Mi sento stanca. 
Non ce la faccio.

Ieri mattina mi sono sentita così e poi mi è balenato in mente l'invito di una mia vecchia compagna dell'asilo, che ora ha pubblicato un libro. Avevo ricevuto l'invito tempo fa, poi, presa troppo dai miei pensieri, me ne sono scordata. Allora le ho risposto che volevo acquistarne delle copie e lei, felice, mi ha invitata ad un incontro per la consegna, con altre ragazze che non so chi siano. Da quanto tempo non la vedo? Da quando ho finito l'asilo. Ci rivedremo. Ecco.

Mi sento sola.

Quando ci si sente così, allora non bisogna aspettare che la vita ti porti il servizio in camera, bisogna fare qualcosa.
E ho anche risolto il pensiero di alcuni regali di Natale.

Di solito mia madre mi aspetta a pranzo da lei per le undici e mezza. Ogni giorno mi esercito al pianoforte, poi cerco di arrivare in tempo per quell'ora perché so che mi aspetta, altrimenti la roba si raffredda, lei ha già mangiato e mi chiede come mai sono arrivata tardi. A volte per arrivare in orario, non lavo i piatti della colazione e lascio il letto disfatto, poi mi butto giù per le scale.
Durante la settimana, quando già ho l'ansia di rispettare la tabella di marcia, mi è molto di aiuto il suo intervento, non dover cucinare e riordinare a pranzo mi risparmia tempo e fatica.

Ma oggi l'orologio andava veramente veloce e l'ansia cresceva insieme al rumore delle lancette.
Visualizzavo il numero 11:30 e gli esercizi al pianoforte e mi sentivo inchiodata, impotente.

Perché?

Chi mi obbliga a studiare? 
Cosa cambia se oggi salto il pranzo da lei?
Qui c'è il telefono, basta comporre il numero ed avvisarla.
E se oggi suonassi quello che mi pare e piace e lasciassi da parte la tecnica?
Oggi è domenica. Non dev'essere un giorno di routine come gli altri.


Spezza la routine


Ho chiamato mia madre.
Mi sono appena svegliata, ho i mestieri, devo ancora iniziare a studiare. Vengo tardi. Non lo so a che ora, dopo. Quando finisco.

Le cose sono subito cambiate e mi sono sentita meglio. Oggi è domenica, non devo avere orari, non devo aprire scuole ed essere puntuale, con allievi che mi aspettano. Non devo rendere conto.

In un lampo di illuminazione, ho chiarito che le scadenze me le davo io da sola, e mia madre non mi imponeva nulla, ero io che temevo ci rimanesse male, in realtà era tranquilla. Senza orari, significa esercitarmi e ripetere le cose fino a quando mi stufo, senza dover controllare l'orologio. Così andava già meglio, non va bene esercitarsi sempre con un occhio sull'ora e l'altro sullo spartito.

E poi sì, oggi suono quello che voglio, mica ho il maestro, e anche se lo avessi? Non mi sgrida se le cose mi vengono in due settimane anzichè in una, sono anch'io tollerante con i miei allievi, perché gli altri non dovrebbero tollerare me? Perché sono più severa con me che con gli altri? 

Ma la voglia di suonare viene suonando e, dopo un po', mi sono messa anche a fare gli esercizi, non perché dovevo, ma perché migliorano la tecnica e io voglio migliorare.
Meglio di qualche giorno fa, sto migliorando.

Ho pensato che, quando le giornate cominciano a pesare, forse è il caso di fare un elenco di quello che ci preoccupa, provare ad immaginare cosa succederebbe se "deludessimo" e non fossimo in grado di soddisfare dei "requisiti" o ce ne fregassimo un po', e poi... immaginare il seguito di queste nostre grosse mancanze.

Cosa succederebbe? Credo che per la maggior parte delle preoccupazioni, le cose per gli altri proseguirebbero lo stesso e abbastanza serenamente, anche senza che ci diamo troppo da fare.

Quando mi sono sentita meglio, poi sono andata a pranzo da mia madre, non le ho fatto compagnia durante il pasto, perché mi sono ritrovata a pranzare da sola, ma mentre sistemava la cucina e mi parlava di questo e di quello. La roba si era raffreddata, ma è bastato mettere qualche secondo nel microonde.

Dovrò ricordarmi di questo: é andata bene lo stesso.

La mia leggerezza, dov'è? Io non dovrei essere così.
Ho bisogno di Aslaath.



sabato 22 novembre 2014

Statistiche

Siccome voi sapete molte cose di me, visto che mi seguite, e io non so nulla di voi, cerco di sapere chi siete tramite le statistiche che Google mi manda. Da una settimana ho fatto caso ad una cosa: di giorno il numero delle visite non sale di molto, invece durante la notte ne capitano dalle dieci alle trenta circa (memorizzo il numero del contatore prima di addormentarmi e poi controllo al risveglio).  Questa cosa mi ha incuriosita: o siete un popolo di nottambuli, oppure c'entra qualcosa il fuso orario?

Oggi ho provato a fare degli stamp delle statistiche del mio blog per studiarle con voi.

Queste sono le visite suddivise per paese, browser e sistema operativo da quando ho aperto il blog, se le immagini sono piccole, basta che ci clicchiate sopra per ingrandirle.


Ok, tante visite dall'Italia è normale, ma i lettori delle altre nazioni come fanno a capire quello che scrivo? Se fosse una visita capitata per sbaglio lo capisco, ma vedo che persone degli Stati Uniti, Russia, Ucraina... sono tornate più volte, o sono tutte approdate casualmente?

Queste invece sono le visite degli ultimi 30 giorni.



Queste nell'ultima settimana.



E queste di oggi.



Queste sono invece le parole che sono state inserite nel motore di ricerca per arrivare al mio blog.




... "Foto strane hard"???


Goccia

Le mani aperte raccolgono le gocce. Ogni caduta è un piccolo cerchio che si allarga e va lontano. Se è rugiada diventa un sogno, un desiderio di un avvenire. Ma poi qualcosa di amaro si mischia, e il sole se ne va.
È la goccia amara più pesante del piombo, o tante perle  cristalline, più intense di un messaggio sbagliato?
Ora che fai. Abbracciala e rendila parte di te, hai la capacità di armonizzare le cose.

giovedì 20 novembre 2014

Ninna nanna

Sognavo di essere una bimba invisibile, che, silenziosa, in punta di piedi, di notte si avvicina e osserva che il sonno sia sereno e regolare. Per tirare su le coperte, come un angioletto che opera di nascosto. 
Di giorno inseguire per indovinare e leggerne i pensieri e scorgere, contare i sorrisi e i momenti gioiosi o tristi. Io sono lì quando l'animo è cupo, impaurito o le braccia cadono stanche. Abbraccio, ma il mio corpo etereo è troppo trasparente per essere scorto. Vorrei cullare la vita, il sonno, sollevare le tende al risveglio perché il sole filtri sotto le palpebre.
Raccogliere margherite per lasciarle davanti alla porta del cuore, e poi spiare per vedere la reazione di stupore e letizia. 

Che bimba invisibile! Ascolto ogni suono di cristallo prezioso e dolce. Sono sempre lì. Sdraiata accanto, col capo chino sul petto per accarezzarne il respiro. Dove vanno i passi, io sono l'ombra senza ombra. Un anima che in punta di piedi, ridacchiando e giocando, se ne è uscita dal corpo per farsi un giro ed osservare le cose di nascosto, senza permesso. Bello disubbidire.

Come vorrei, come vorrei. Come vorrei.
Essere invisibile, per essere lì.



giovedì 13 novembre 2014

Storie dell' Indocina - Nel mare

Quando ho scritto la mia storiella, ieri sera, non sapevo nulla di quali fossero le sue disposizioni, ma mi piaceva l'idea di incontrarlo nel mare. Solo oggi ho saputo da mia madre che voleva essere cremato, e che le sue ceneri fossero sparse nel mare, così, verrà fatto.
Io ero vicina a te, lo vedi?

Questa sera invece non ho voglia di usare le parole, uso le immagini, che mi piacciono tanto. Non lesinate a fare fotografie, quando il tempo passa, sono queste che rimangono in testimonianza del passato, e non è vero che i ricordi rimangono nella mente e nel cuore e che questo basta, perché ci sono bambine e ragazzine che non hanno mai conosciuto i parenti e nemmeno vedranno mai il paese in cui sono nate, di cui non hanno nessun ricordo ma vivono fantasticando, ricomponendo i frammenti  dei tanti racconti di un luogo magico e lontano, di ricordi e di personaggi. Queste bambine ricercano la propria identità e le radici nelle fotografie, passano il tempo a domandarsi: "A chi assomiglio? Da chi ho preso? Cosa è successo?" e allora tutto quello che rimane sono solo pochi scatti remoti in bianco e nero, sopravvissuti nel tempo, alle storie della vita.


Nonni materni


Nonni col primogenito e cameriera


Nonni con zio, zia e mamma, quando non era ancora nato l'ultimo


"Lo zio che suonava" da ragazzo. Il più piccolo dei fratelli, il primo fra i quattro ad andarsene




 Mamma da ragazza


 Papà da ragazzo


Mamma e nonna


 Mamma e papà da fidanzati


Con l'altra nonna


 Mamma nel giorno delle nozze e le sue amiche


Mamma, sorella e fratello da piccoli e papà. Aspettavano che arrivassi io.


Io piccola in braccio ai miei



E dopo arrivò pure la mia sorellina e tutte le foto furono a colori, e in tante c'era pure la neve.   
Ma questa è un'altra storia.

°°°

Hey! Ma che bello! In mezzo alle onde, i pesciolini e le sirene dell'Oceano Pacifico... Ti divertirai, chissà se darai gli ordini pure laggiù?

Buon viaggio!



mercoledì 12 novembre 2014

Una strana storia

Nota:  I racconti qui pubblicati sono inediti  ed interamente ideati e scritti da Thasala Phan, a cui appartengono tutti i diritti (vedi nota in fondo alla pagina). Alcuni luoghi citati, i personaggi e le trame sono frutto di sola fantasia. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


***


Vivo in un monolocale con un piccolo balcone. Sono un essere molto pigro, perciò non esco mai sul balcone, letteralmente. 
Non l'ho mai pulito da quando ci vivo e non so perché, ma vi è del terriccio e su questo crescono erbette e pianticelle. Sono un essere pigro ma ordinato, e questa, fra tutte le combinazioni, è la peggiore, a meno che uno o una non si possa permettere la donna delle pulizie, la lavandaia e la stiratrice, la cuoca e l'autista. 

Se fossi pigra e disordinata, vivrei serenamente in una casa sciatta, oppure, se fossi ordinata e attiva, avrei una casa linda senza fatica. Se fossi invece disordinata ma attiva, dedicherei le mie energie in altre cose e non mi preoccuperei dello stato della casa. Invece, essere pigre ed ordinate è faticoso, perché non ho mai voglia di muovere un dito, ma il disordine e lo sporco mi infastidiscono, così finisco sempre per pulire e riordinare e ogni volta mi stanco come se avessi affrontato le dodici fatiche di Ercole.
Questo, per dire che se doveste venire in casa mia, non dovete preoccuparvi, dentro è pulita, solamente non dovete uscire sul balcone.


In questi giorni di pioggia incessante il balcone si è riempito e, non potendo perdere acqua per via del buco otturato, mi è successa una strana storia.

Una notte, mentre stavo dormendo, ho sentito le lenzuola e il piumone impregnate di acqua, ma essendo pigra ed assonnata non mi svegliai. Solamente quando, nel dormiveglia capii che stava succedendo qualcosa di strano, aprii gli occhi. Vidi la stanza sommersa di acqua, tutta quella che dal balcone non era riuscita a scendere ed era penetrata dalla porta finestra. Fuori pioveva ancora a dirotto e la stanza si riempiva di minuto in minuto, gli oggetti galleggiavano e l'acqua mi stava arrivando al collo.

"Accidenti! E ora?" pensai turbata.

Cercai le chiavi per aprire la porta di casa e uscire sulle scale, ma non la trovai, ero molto preoccupata e cominciai a temere di morire annegata in casa mia. Nel frattempo la stanza si riempiva sempre di più, finché mi ritrovai sommersa e galleggiante insieme ai miei libri, le mie scarpe e i pesciolini che oramai erano usciti dalla palla di vetro.

"Morirò!" esclamai. 
"Sono morta", constatai poi, quando mi resi conto che non mi mancava l'aria, nonostante fossi interamente immersa nell'acqua per più di un minuto. "Respiro come questi pesci".

"Tu non sei morta" mi rispose una voce "sei in una diversa vita".

Sbarrai gli occhi: nella mia stanza in cui credevo di essere sola, c'era una figura femminile dai capelli lunghi e verdi e con la coda di pesce al posto delle gambe.

"Che sta succedendo?" pensai.

La sirena mi prese per mano e mi disse di seguirla, e così nuotammo e nuotammo finché persi di vista la mia stanza e mi ritrovai nell'oceano. E poi l'oceano divenne una bellissima dimensione azzurra e felice, e lì ci fermammo e lei mi disse: "C'è un signore qui per te".

Mi accompagnò da un uomo snello, con gli zigomi alti, la divisa ufficiale, l'aria sicura di sé e portata al comando, gli occhi grandi e vagamente orientali, tipici dei figli bastardi generati dai francesi e le ragazze dell'Indocina. 

"Nonno!" dissi sorpresa "Che ci fai giovane?"

Lui annuì e sorrise. E senza dire nulla vidi in un secondo, decenni di una storia dall'altra parte del mondo. 
Vidi due bimbe vestite di bianco camminare col padre, fra file di giovani ufficiali che salutavano e si inchinavano al passaggio del colonnello e delle sue giovani figlie.

Un tempo fu un uomo d'onore che serviva lo stato. Ma quando la guerra finì lasciando in ginocchio il Sud, fu arrestato e portato in prigione dai Viet Cong e trattato come un pezzente. Quell'uomo ricco e di potere, quel cognome scomodo, rappresentò la fine di una lunga epoca e l'inizio di una nuova, in cui migliaia di persone e famiglie distrutte, lasciarono la propria patria per sfuggire alle persecuzioni. Ad un tratto vidi pure mia nonna, la signora bella ed elegante che sorrideva dalla foto in bianco e nero, con i capelli sempre curati, che "abbinava con cura le scarpe con le borse e i gioielli". 
Parlavano ma sembravano non accorgersi di me.

"Tu credi a tutti? Ti raccontano una storiella e ti intenerisci, ci ha presi in giro!" lamentava mia nonna.

I miei nonni avevano deciso di vendere la loro automobile per comprarsene una nuova. Un tizio era venuto raccontando una storia strappalacrime sui suoi problemi familiari e dei soldi che non aveva, ma raccontando della macchina che gli serviva, e mio nonno gliel'aveva subito ceduta ad un prezzo irrisorio senza consultare mia nonna, che invece era una pratica donna d'affari.

"Forse ci ha presi in giro, ma se l'ha fatto è a Dio che dovrà tenere conto... se invece è veramente in difficoltà, abbiamo fatto una buona azione" rispose fiducioso mio nonno. "Noi non abbiamo bisogno di quei soldi, i soldi vanno e vengono".

"Parla come la mamma" pensai. "O forse è la mamma che parla come lui?".

"Il nonno era un tenero di cuore, gli piacevano le poesie, la filosofia, e si commuoveva facilmente" erano le parole di mia madre, quando ricordava l'episodio della macchina. "Per fortuna la nonna era invece molto abile a trattare e a vendere. Era molto concreta, la zia è come lei, io sono come il nonno, sono negata negli affari".

Ed io, da questo punto di vista, sono come mia madre e mio nonno.

Poi vidi mia cugina che lo indicava, ma lui era ora in una foto.

"Il nonno ero un figo pazzesco da giovane, era pieno di donne che gli correvano dietro, e guarda che bell'uomo e che spalle, con l'uniforme".

Mio nonno era ora anziano, stanco e ricurvo, sempre freddoloso. Passeggiava in mezzo al verde di un giardino pubblico di San Josè, da un mio zio.

E di nuovo davanti a me. La mamma diceva che negli ultimi istanti era quasi cieco, ma mi sembrava che mi vedesse benissimo.

"Non ti sei laureata" mi diceva, ma non era arrabbiato. Nel 1994 mi fece promettere di fare l'università, i titoli di studio sono molto importanti per la mia famiglia.
"Però non sono ingrassata come le cugine americane" ribattei. Ed era contento. A mia madre aveva invece raccomandato di mantenerci snelle e orientali, perché quelle negli Stati Uniti diventavano robuste e si rifacevano gli occhi, il naso e il seno per sembrare più occidentali.

Dieci anni di prigione e la sofferenza delle tanti morti e dei figli lontani, ora sembravano essere affievoliti sul suo volto rugoso. 

"Sono stanco, ma sereno, ora".

Dove sta mio nonno, ora, ci sono mia nonna e mio zio, l'unico musicista di casa e il bello della mia famiglia materna, morto troppo giovane. Mia madre mi diceva di lui: "Lo zio suonava la chitarra, il violino e il mandolino e aveva un suo gruppo, le ragazze gli correvano dietro perché era bellissimo. Saresti andata molto d'accordo con lui, avete tante cose in comune". Ma io questo zio non l'ho mai conosciuto, l'ho solo visto in una foto e sì: era un bell'uomo.

"Stai bene, nonno? Sei andato a dormire e non ti sei più risvegliato. Sono contenta che non hai sofferto, ma la mamma si sente in colpa ora, perché voleva telefonarti e si è dimenticata, e non ha fatto in tempo a salutarti l'ultima volta".

Ma mio nonno sapeva che lei lo pensava sempre.

Non ricordo se fu lui a parlare, o se i racconti ripetuti di mia madre si confusero con la sua immagine, ma suo certo, fu questo pensiero che mi arrivò: "La morte fa parte della vita. In un punto del mondo c'è chi muore e chi piange, nello stesso istante, da un'altra parte, nasce una nuova vita e la gente gioisce. E' il ciclo della vita, la differenza, sta nel fare della propria vita, una vera vita, quando si è ancora in tempo". 

"Parla come la mamma"... 

"Al nonno piaceva la poesia e parlava per ore di filosofia"...

A me invece la filosofia annoia.

"Nonno, mi solleva di non essere potuta crescere con te e di non averti avuto vicino, perché altrimenti mi sarei affezionata e ora starei male. Sono contenta di essere cresciuta senza parenti. Non voglio stare male, ogni volta, per nessuno".

Lui non se la prese. 

"Devo dire qualcosa alla mamma?" domandai. 
Annuì e in quell'istante seppi cosa dovevo riferire.
Nessuna tristezza. Solo amore.

"Grazie, nonno, ti voglio bene".

La sirena mi disse che dovevo tornare nella mia stanza per risolvere l'alluvione.

"Accidenti, devo riuscire ad accendere il riscaldamento, questo risolverebbe tutto" dissi. Erano giorni che cercavo di accenderlo ma la stanza rimaneva umida e fredda, e siccome questo non è il paese dove la neve non arriva mai, la notte dormivo facendo strani sogni di oggetti galleggianti e di sirene.

Salutai mio nonno e ritornai nel mio monolocale. Con l'aiuto della sirena dai capelli verdi, riuscii finalmente ad accendere la stufa e il calore fece evaporare tutta l'acqua, facendola ritornare asciutta ed ospitale, con gli oggetti non più galleggianti e al loro posto.

"Domani" mi ripromisi "sturerò quel buco del balcone" perché non volevo rischiare di ritrovarmi di nuovo l'alluvione in casa e di rovinare le mie nuove pantofole alla moda, accuratamente abbinate ai vestiti di casa, come faceva la nonna.



lunedì 10 novembre 2014

Infinito

Questo è un bellissimo tempo, per andare a dormire, per ricominciare.
A novembre inizia la primavera, annusa l'aria di fiori e di nebbia.
Tutto parla, messaggeri sibillini.

E poi dicono che novembre sia il mese più triste dell'anno. Lo dicono perché non hanno mai vissuto a Fog City.
Quella bolla di vetro ancora, se ne infischia del tempo che scorre.