mercoledì 26 giugno 2013

Speranze

Ho nascosto il clarinetto in un posto non facilmente visibile dopo le prove in orchestra di ieri sera. Sono andate bene, ma ora non mi sembra di aver più altri impegni con quello strumento fino ad ottobre... mi pare? Ma non lo toccherò più? Ho da fare... tempo perso a studiarlo quando i giorni scorrono e mi sento il fiato sul collo.

Sono (dovrei essere) troppo impegnata a studiare il sax per delle date a luglio di cui conosco solo il numero sul calendario e... e basta. Su cosa devo prepararmi? Devo leggere? Devo studiare a memoria? Devo improvvisare? Se devo improvvisare devo sapere a memoria tutte le tonalità... Quando posso suonare? In che punti? Come? Non lo so. Le prove? Non lo so. Non so niente. Non conosco le persone, non so perché devo suonare, di che eventi si trattano.

Non lo so. Sono tre parole che dico spesso nella mia vita, specialmente sul lavoro. Non so se sono io a vivere in situazioni poco chiare o di carattere sono indecisa io o... o sono distratta e non mi accorgo di quello che ruota attorno a me o... o che altro? 

E' come guidare a tutta velocità a fari spenti nella nebbia. Una nebbia piuttosto profumata e variopinta, a volte ci si inebria. Poi ti scappa pure da ridere. O da piangere. E non sai perché ridi e piangi. Mi chiedono:

"Ma come fai a vivere così?"

Così come? Non è normale vivere così? Ma è sempre stato così... Ma pensa te!

La frenesìa di questi concerti mi scorre accanto e io vago sognante nel menefreghismo, contando sulla buona sorte e sperando di uscirne fuori indenne. Va tutto bene, che potrà mai succedere? Sono una musicista, mica un medico, non c'è il rischio di asportare un organo sbagliato o di scordare il bisturi nel corpo di un paziente. Mal che vada... so che sopravviveranno tutti. 

Sopravviverò pure io. Cioè: si spera sempre. Spero però che non mi costringano a mettere i pantaloni.

Stavo per concludere questo post quando... 

"MA IO DEVO SUONARE IL CLARINETTO DOMENICA AL CAFFE' LETTERARIO!!!"

Me ne ero scordata. E corro a rimetterlo in vista. 
Che stordita che sono, mi stavo anche dimenticando questo impegno, che fra tutti quelli che ho in questo periodo è quello meno nebuloso.

Ma va tutto bene. Può succedere di scordarsi di dover suonare no? Non vi è mai successo di stare una domenica sera comoda in cucina a saccheggiare il frigo, quando ti chiamano e senti dall'altra parte una voce concitata che ti dice (urla):

"Dove sei??? Vieni a suonare non ti ricordi che c'è il concerto?!?"

Ti va solo di traverso quello che stavi masticando. Fai mente locale in un secondo, ribalti la serata e in tempi record ti prepari e corri sul posto. E miracolosamente tutto va a finire bene.

Non vi succede mai? A me sì.

Non è normale vivere così? Ma è sempre stato così... 

venerdì 21 giugno 2013

A voi

Ho venti minuti di tempo per scrivere questo post, prima che arrivi il mio chitarrista per le prove. Volevo salutare le persone che mi leggono, che mi ascoltano, che mi seguono... che non so chi sono...

Sono pochi giorni che ho aperto questo spazio, oggi Google analytics settimanale mi segnala 228 visitatori dall'Italia dal nord al sud, 21 dagli Stati Uniti, 7 dall'Ucraina, e poi dalla Germania, dall'Inghilterra, dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Federazione Russa... mentre il servizio dei Feed mi indica già 6 iscritti agli aggiornamenti. 

Cifre e provenienze simili agli stessi visitatori e lettori che mi seguono sul blog Sovrappensieri.
Mesi fa pensavo fossero visite accidentali, ma poi ho notato che le visite da questi paesi si ripetevano e aumentavano, facendomi oggi pensare che non sono un caso.

Questa cosa mi fa indubbiamente piacere, ma c'è molta curiosità a riguardo, perché mi leggete senza farvi conoscere, senza lasciare mai commenti sotto i post che scrivo e senza venire allo scoperto. So che mi seguite da tempo sull'altro blog, anche quello su MySpace, e con un sorriso mi viene da chiedervi...
"Chi siete"?

Probabilmente non lo saprò mai, fate i misteriosi. Siete degli anonimi.
Però ne avete di pazienza per continuare a seguire la mia testolina bislacca. Sarete strani pure voi.
Non sono una celebrità, non ho pretese in quello che scrivo. Ma mi fate contenta.

Queste righe... per ringraziarvi e per salutarvi!

Alla prossima.

giovedì 20 giugno 2013

Le immagini

Ho sempre trovato facile comunicare con le parole scritte. Scrivendo si può raccontare, esporre delle idee, rimettere ordine ai pensieri, comunicare dei problemi, lamentarsi. Si possono fare un sacco di cose.
Invece mi è molto più difficile fare lo stesso in forma orale, perché spesso mi vengono dei lapsus, non ricordo le parole, la grammatica, l'ordine delle frasi, gli accenti, e talvolta neppure la lingua. Che incongruenza! 

Mi piace anche comunicare senza dover parlare, solamente attraverso i suoni. Da piccola mi mettevo al piano e giocavo con i tasti. Non dico che suonavo per davvero, tutt'altro, ma parlavo a modo mio, e ogni tasto premuto era una parola mesta non detta. Crescendo ne ho conservato il ricordo e l'abitudine. Il pianoforte per me è uno strumento delicato, solitario, chiuso nella stanza, non esce mai. E' legato all'infanzia, ai momenti di solitudine ma anche di libertà. Di lavoro non faccio la pianista, e così posso suonare quello che voglio con tutti gli impedimenti tecnici che non mi posso permettere al sax. E' la mia voce per i miei momenti di stanchezza e di malinconia. 

E poi ci sono le immagini. Rappresentano la creatività e i momenti spensierati e di compagnia. Disegno e creo oramai poco da quando ho finito la scuola, per mancanza di tempo e di spazio, ma soprattutto... per mancanza di persone attorno a me. Ho un ricordo piacevole di tutte quelle ore in laboratorio, con le dita e il naso sporchi di colore, i capelli raccolti, le compagne di classe attorno ai tavoli o sparse per l'enorme stanza, la musica della radio di sottofondo e l'interminabile disordine e il cicalio... E la professoressa che ci diceva: "Ragazze, ragazze! Abbassate un po' la voce!".
Già allora non disegnavo quasi mai a casa, ma aspettavo di farlo a scuola perché mi divertivo di più. Si parlava e si creava. Questo per me era il significato delle immagini, che non so dar luce nella solitudine della mia stanza.

Però mi piacciono le fotografie.

Sono immagini immediate che fermano per sempre dei momenti. E spesso quando sono felice tiro fuori il telefono e annuncio: "Facciamo una foto!" niente di che: scatti elementari, non sono una fotografa. "Ma devi sempre fare foto tu?" mi dicono.

Certo... perché poi il tempo passa, i ricordi si affievoliscono, le parole diventano distorte. Solo quegli scatti rimangono.

Sfoglio le cartelle piene di fotografie del mio computer e sorrido. Vorrei pubblicare tante fotografie, ma le terrò per me per non esporre in questo spazio i miei amici. C'è questa immagine però, che racconta tante cose senza mostrare il volto di nessuno:


Quella.
Fu una bella estate.


mercoledì 19 giugno 2013

Le canzoni di Battisti

Sono poche le poesie in musica. La maggior parte di quello che circola sono "solo" canzoni. 
Ma Battisti e Mogol.
Per fortuna nacquero nella stessa epoca, per fortuna che si conobbero e  collaborarono. Che sfortuna poi quando sciolsero il sodalizio.

Da piccola non avevo la libertà di ascoltare quello che volevo. In una casa numerosa, se sei il penultimo arrivato, spesso è così. In sala c'era mio padre, con i suoi dischi di musica classica ad alto volume. Ne ascoltava parecchia, da quella sinfonica a quella da camera, ma io di quel periodo mi ricordo bene solo tutto il disco dei rondò veneziani e le "Quattro stagioni" di Vivaldi. 
Chissà perché.

Se penso a mio fratello maggiore invece mi vengono in mente i Queen. Sono sicura che ascoltasse anche altro, tutta roba in lingua inglese. Ma ora l'associo solo alle canzoni di quella cassetta con la copertina blu.

Io stavo in camera con le mie due sorelle, e la più grande ascoltava prevalentemente canzoni in lingua italiana, per poterle cantare. Quasi tutti testi d'amore: Umberto Tozzi, Eros Ramazzotti, i Pooh, Raf, Claudio Baglioni, Luca Barbarossa. Francesco Baccini. Le piaceva leggere e ascoltare d'amore. Solo Baccini si discostava un po' dagli altri generi. 

Mia madre ai tempi ascoltava ancora tante canzoni del nostro paese, ma quando la più piccola di casa si rifugiava nella stanza matrimoniale con lei, le concedeva di ascoltare le cassette di Cristina D'Avena e dello Zecchino d'oro.

Non potendo impormi in nessuna stanza, a dodici anni misi da parte i soldi e con i primi risparmi acquistai un walkman. Che emozione, lo ricordo bene: era della Sanyo e lo pagai 68.000 lire. Così potevo ascoltare le mie canzoni con le cuffie, senza disturbare nessuno. Incominciai anch'io a crearmi una modesta discografia personale. Era il mio piccolo spazio privato, intoccabile, forse l'unico spazio privato... e la prima cassetta che venne a farvi parte fu una di Lucio Battisti, registrata da un cd di una mia compagna di classe. Ascoltavo giorno e notte "La canzone del sole".

Battisti mi emozionava tanto all'epoca, ma forse a dodici anni e pure a quindici, non capivo bene tutti i testi, oggi che li rileggo e li riascolto, penso che ogni sua canzone, ogni parola di Mogol, sia un piccolo capolavoro. 

Canticchio gli stessi versi da alcuni giorni, quelle parole che dicono: 

Come può un scoglio
arginare il mare?
Anche se non voglio
torno già a volare
le distese azzurre
e le verdi terre
le discese ardite
e le risalite
su nel cielo aperto
e poi giù il deserto
e poi ancora in alto
 con un grande salto...

Continuo a cantarle e non tocco le altre parole della canzone, non so perché. Mi piacciono queste immagini, le ho isolate. Non faccio analisi, non capisco. Non approfondisco. Mormoro e mormoro. Sento il mare e sento gli scogli. 
Poi non vedo più la terra e gli scogli. E poi vedo le discese e le risalite, e io seguo incosciente la corrente.
E così.

Che caos dentro di me. Ma è una vita che vivo questa mia vita così. Va bene così.
Ogni tanto un po' di quiete, e poi il salto! Il salto dopo una pausa... 
Come vorrei saltare in alto, tanto in alto, il più alto possibile!

E poi, dal momento che ho terminato la strofa, riprendo a cantare dal solito punto: 

Come può un scoglio
arginare il mare?


martedì 18 giugno 2013

Domenica 26 novembre 1978...

Sono quasi le sei del mattino, e forse ora riuscirò un po' a prendere sonno.
Non sono rimasta in piedi per aprire il blog. E' che non riuscivo a dormire, per questo l'ho aperto.

Ho acquistato dieci giga di spazio per fare un sito su di me, ma non so cosa scriverci. Un sito intero per un contatto e un curriculum? La verità è che ci tenevo che il dominio www.thasala.it fosse mio, tutto qui.

Se MySpace da un giorno all'altro non avesse cancellato il mio blog, i miei contatti, le mie foto, la mia posta... insomma tutto di me, probabilmente avrei indirizzato il mio sito là, ma sono rimasta orfana dei miei ricordi e del mio passato, e non so stare senza il mio diario.

Qualcosa dei vecchi post sono riuscita a salvare, ma ho perso il racconto su mio padre, quello sull'isola a forma di cerchio, e poi quelli dove parlavo della lettera verde, della torre con l'orologio, della chitarra Coccinella... mi mancano. Provavo delle emozioni e pensavo a delle cose quando le avevo scritte. Ora non ci sono più.

Ho recuperato la vecchia biografia. Si è salvata. Quella che cominciava col giorno della mia nascita... "Domenica 26 Novembre 1978"... è un buon articolo per cominciare il nuovo blog. 
Chissà che un giorno non riesca a recuperare anche gli altri articoli, dalla mia testa. Proverò a riscriverli, ma non saranno più gli stessi. Non saranno le stesse parole, le stesse sensazioni.

Peccato.


BIOGRAFIA


Domenica 26 Novembre 1978, il cielo italiano era nuvoloso e faceva freddo, ma dall'altra parte del mondo, dove la neve non arriva mai, sotto un cielo sereno – era il dopoguerra - nasceva una bimba il cui nome significa 'Regina delle nuvole'. 

Nel 1979 il nome con le nuvole verrà sostituito da quello di un paesino situato sulle spiagge fini della Thailandia, dove la bambina riceverà la sua seconda vita. Il nome del paesino l'accompagnerà, frode e clandestino, per tutta la vita. Le sue nuvole esisteranno solo sui documenti.

Lei crescerà in una frazione anonima di un paesino di una provincia del nord Italia, dove le campagne in estate sono distese e infinite di lucciole e zanzare. Fra cieli di nuvole rosse, ed inverni di brina, con nebbie così spesse da farle sembrare di vivere nel mondo parallelo di Avalon. E' l'unica bimba dagli occhi a mandorla, e dal bizzarro e ostico nome Tha-Sala. Da grande vorrebbe toccare l'orizzonte, ma nessuno la prende sul serio per questo.

Gli scarabocchi, le bambole e il pianoforte sono gli unici che ascolteranno i suoi progetti senza fare commenti.

Gli anni a scuola si mantengono miracolosamente in equilibrio fra la pigrizia e la non comune intelligenza (a detta delle maestre). Le maestre in questione non capirono mai che lei le riteneva troppo lente perché si sprecasse di farsi conoscere. Alle medie a scuola, arriverà un volantino coi nuovi corsi di musica in paese di strumenti a fiato. La sua scelta oscillerà fra flauto traverso e sax. Ma quando la madre le farà presente che il sax non è uno strumento per ragazze e che i maschi lo suonano, la decisione è fatta: per quattro anni i genitori non avranno pace fino a quando non le acquisteranno un sax.

A quindici anni lascerà la provincia per trasferirsi in città: addio nebbie, campagne, lucciole. Nel 1994 farà il suo ingresso al Conservatorio di musica nella classe di sax, da cui ne uscirà nel 2001 col diploma in mano. E il resto è storia d'ascoltare… Thasala sono io.


Venerdì 21 giugno 2013