giovedì 9 novembre 2017

Sogni

Ci sono episodi e scene nei film che guardo e riguardo e mi distolgono dal reale per calarmi in una sensazione di rassicurazione: le storie con il Natale e le persone che si mettono in viaggio in macchina. Nei film americani, quando qualcuno guida, viene inquadrato un grandioso paesaggio, la strada, l'ignoto e parte sempre una bella musica che dà proprio l'idea delle mete da raggiungere, l'inizio di un'avventura, una nuova vita, o anche un ritorno verso casa.
Così anch'io mi sento una protagonista e parto con le mie solite tre o quattro canzoni come sfondo e mi calo nella grande storia della mia vita, dove sono io il personaggio più importante, l'attrice e non la spettatrice. E mi immagino in una scena importante della pellicola.

C'era "More than a feeling" dei Boston, che ascoltavo e ripetevo all'infinito o in questo periodo "Talking about a revolution" di Tracy Chapman... che belle melodie! E' la chitarra acustica che mi fa entrare nel gusto del tempo e dello spazio contemplativo. Guidare per fare pensieri e riflettere... una calmante sensazione, ma per provarla bisogna guidare su strade larghe, scorrevoli, dove puoi correre, non in città. Infatti io nel traffico non guido mai.

E le scene di Natale? Da piccola non c'era una festa per noi, eravamo in sei come per tutto l'anno. Poi per un po' ho sognato delle feste speciali, calde, ma crescendo ho capito che sono giorni felici dedicati agli altri e non per me, sono periodi da fare scorrere velocemente e poi tornare alla routine, per sentirmi di nuovo parte di qualcuno, tuttavia quando cala il buio e viene il freddo, mi piace guardare dentro lo schermo le storie a lieto fine degli altri, anche se so che sono inventate, dove si può percepire il fuoco nel camino, le luci alle finestre, il tempore dei regali, la neve che fiocca fuori, gli abbracci e i sorrisi che io mi voglio convincere siano veri. Voglio uscire dal mio tempo.

Sono così, uno scoprire sempre cose nuove, un partire per l'orizzonte del destino, ma nel mio nido ho bisogno delle stesse canzoni, le stesse storie, le stesse voci e i volti famigliari per non perdermi, per calmarmi, per sentire il cuore regolare.
Come i faciullini quando si addormentano, nelle immense notti stellate.





mercoledì 16 agosto 2017

Una storia a quattro

Eravamo in riunione, la chiamarono più volte sul cellulare, ma lei lo spense perché non poteva rispondere. Mezz'ora dopo suonarono alla porta, andò ad aprire. Si sentì parlare, poi si udirono voci concitate, un'esclamazione. La mia collega andò a verificare, noi comprendemmo che era successo qualcosa e ci guardammo, insegnanti, genitori. Tornò solo la mia collega, disse che la direttrice era andata via, perché il suo ragazzo era morto di infarto. La rinunione venne immediatamente sospesa, ma era una cosa talmente incredula che ricordo solo reazioni generali di stupidità, come se si faticasse a comprendere cosa fosse successo. Nessuno diceva la cosa giusta e tanti non parlarono.

Quello fu l'ultimo mio anno di insegnamento in quella scuola. Nan la rividi pochissimo, faceva la forte, perché era forte, ma era peggio vederla andare avanti come se non stesse soffrendo.

Passarono giorni, mesi, secoli e dal sentirci di meno, arrivai al non sentirla più, perchè la vita ti assorbe e purtroppo ti dimentichi delle persone.

Una mattina di ottobre, di punto in bianco, mi arrivò un sms:  Ciao Thasala, come stai? Non ho più la maestra di musica, ti va di venire ad insegnare di nuovo qui?
Era Nan. Me n'ero andata per mancanza di tempo, ma forse qualche ora, allora potevo trovarla.

La rividi così dopo tanti anni. Tanti anni, tante cose successe nel frattempo.
Era guarita, aveva avuto un tumore, in quegli anni. Sì, era una parrucca. Davvero? Sembravano capelli veri. Nessuno mi aveva detto niente. Che bello rivederti. Sei fidanzata? Mah, storia difficile, tu? Oh, io sì! Davvero? Non ti avevo chiesto nulla per delicatezza... racconta...

Raccontò.

Quando lui morì, si era ripromessa di non amare più nessuno, non ci sarebbe riuscita. Avrebbe vissuto così, col suo ricordo.
Poi, un mattino di anni dopo, quando il cuore aveva finito le lacrime e la vita proseguiva, nonostante tutto, un giorno, conobbe un ragazzo, il fratello di conoscenti.
Certo, ci fu sintonia, ma nessun altro pensiero. Lui era nella sua memoria, inciso nel cuore come una lapide.

La cosa strana... è che la sua ragazza era morta di tumore, lo stesso giorno del mio, a distanza di mezz'ora, disse.
Quella strana coincidenza li accumunò e iniziarono a frequentarsi, a parlare dei loro amori in cielo, della sofferenza, la solitudine. Loro si capivano. Era come uscire in quattro, noi due giù, e loro due su.
Invece scoprirono di amarsi. Gli "angeli" fra le nuvole, avevano dato a loro un'altra possibilità di vivere ancora, come se avessero combinato quell'incontro di anime, perché finissero di sanguinare, perché i due cuori amassero ancora di emozioni e di vita, e il passato divenisse passato.

Sai, non credo che avrei potuto iniziare una storia con un altro uomo, senza il suo "consenso", disse guardando il cielo. E credo neppure lui con un'altra donna, senza che "lei" lo spingesse. Si era ripromesso di amare solo lei e nessun'altra. In un certo senso è ancora così, ci amiamo, ma amiamo ancora i nostri ex, loro saranno sempre con noi. E' una storia a quattro.

Qualche mese dopo di serenità, lei scoprì il tumore, nello stesso punto della sua ragazza defunta. 

Era da poco che stavamo assieme, gli dissi di allontanarsi, non volevo che soffrisse una seconda volta per la stessa malattia, ma lui si rifiutò. Scelse di starmi accanto, correndo lo stesso rischio.

Una sorte difficile, ma andò diversamente dalla volta precedente, perchè Nan si salvò. Mesi di incertezze e di terapie difficili, ospedali, visite, ogni referto medico era un'ansia e una speranza, di nuovo lacrime, paure, ma sconfisse il cancro.

Ora stiamo assieme e siamo molto felici, si trasferisce a casa mia, e pensa, Thasala! In casa sua aveva gli stessi omini dipinti al muro che mi piacciono tanto, sai, quelli che ho da sempre dipinti qui a scuola. Te li ricordi?

Risposi di no.

Guarda, quelli. Me li indicò: figure buffe e colorate di rosso, verde, blu e giallo, su uno spiccato sfondo vivace, che danzavano allegramente. Come un inno alla vita. 

Un'altra strana coincidenza, pensai. 
O forse no.



domenica 23 luglio 2017

Piccolo cuore

Durante le passeggiate
Notturne
In solitudine
Si pensa, ci si pongono domande
E poi l'occhio cade sul marciapiede
E sorridi
Tiri fuori il telefono
Per una piccola foto
Per portare sempre con te
L'ombra di un grazioso cuore



martedì 4 luglio 2017

Lo spettacolo deve continuare 3

Il primo incarico che mi affidò l'agenzia fu per il ricevimento di un matrimonio a Cassano d'Adda, dovevo suonare come solista per l'aperitivo.
Sino ad allora avevo sempre allietato con la musica gli sposi grazie al passaparola e ai conoscenti, per farla breve, il mio giro di matrimoni era limitato a Brescia o nella provincia, avevo sempre giocato in casa e conoscevo bene il territorio e le usanze. Tutti gli eventi "lontani" li avevo affrontati viaggiando con altri musicisti, mai da sola, da Como a Lignano, da Milano a Bibione, così che il non conoscere una strada non era mai stato per me un problema.

Il calendario prevedeva altri eventi in zone a me totalmente sconosciute e il mio primo pensiero fu di comprarmi un navigatore.
Alcuni negozi mi risposero che non li tenevano più, perché oramai usavano tutti quello dello smartphone, e qui voglio aprire una parentesi a riguardo: non sono la stessa cosa! Anch'io a volte uso quello del telefono, ma se capito in zone con poca copertura non prendo il segnale e mi perdo. Se squilla il telefono e rispondo, spariscono il percorso che sto seguendo e la voce della signorina che mi dà indicazioni e mi perdo. 
Anche se lo metto in carica, nei lunghi viaggi si surriscalda e si spegne, e mi perdo. Per questo volevo un navigatore "vero".
Dopo qualche ricerca lo trovai e mi sentii parecchio adrenalinica per l'acquisto: era materiale di lavoro!
Chiesi ad una mia amica di accompagnarmi, misi tutta la notte in carica il navigatore, il telefono, il tablet per le basi, mi assicurai che non mancasse niente, controllai più e più volte il baule, scelsi l'abito, le scarpe eleganti, caricai i libri e lo strumento e mi portai pure l'acqua da bere.

Arrivata a casa sua, accesi il navigatore che... non diede segnali di vita! Provai a metterlo in carica ma neppure così funzionò.
Entrambe lo maneggiammo e provammo di tutto per farlo partire, ma rimase ostinatamente spento e scuro.

- Strano, funzionava ieri mentre lo caricavo - dissi - usiamo il tuo navigatore, ho bisogno del telefono per chiamare.
- Ho il telefono scarico - rispose.
- Allora intanto usiamo il mio, però non capisco, cos'ha che non va questo? Metti in carica il tuo telefono - risolsi partendo.
- Per fortuna che abbiamo ancora tanto tempo! - dissi.
- Cerchiamo di non prendere la nuova autostrada, mi ha fatto pagare un'occhio della testa - disse.
Ma era proprio quello che, a quanto pare, voleva farmi fare la signorina parlante dentro il telefono.
- Come faccio ad evitarla? Devo togliere il pedaggio dalle opzioni?
- Entra in A4, poi si adatterà.

Quello che esattamente oggi non ricordo, fu come riuscii, nonostante fossimo in due a ragionare, a trovarmi sul raccordo autostradale per prendere la Brebemi. Ricordo solo che lei mi gridò:

- Colpa mia! Colpa mia, scusa! Esci qui a Rovato!
- Adesso accendi il tuo navigatore, la mia rete perde il segnale e io non ho senso dell'orientamento - dissi.
- Ok - rispose con il telefono ancora collegato all'accendisigari - ma perché il mio dice di andare a destra mentre il tuo dice di andare a sinistra?
- Non lo so, quale seguiamo? Smettila di cercare di accendere quello, tanto non funziona! - le dissi, mentre aveva ripreso a schiacciare il pulsante, senza risultati, del "vero navigatore".
- Seguiamo il mio - rispose.
- Ok... Fammi andare sulla A4... 
Non che fossi preoccupata, eravamo nella bella Franciacorta, solo che non dovevo essere lì, e dopo aver girovagato per rotatorie e campagne, riuscimmo ad immettere la macchina sul sentiero corretto.
Per un po' tutto procedette tranquillamente, avevamo solo perso una ventina di minuti del tempo previsto per il viaggio, ma eravamo partite molto presto e avevo calcolato di arrivare in anticipo ugualmente.

Mentre guidavo pacificamente, all'altezza dell'aeroporto, un pensiero terrificante mi balenò in testa:

- IL LEGGIO! HO SCORDATO IL LEGGIO!
- !!!
- Non riesco a suonare senza leggio! Che faccio?
- Calma, calma. MA COME FAI A SCORDARTI IL LEGGIO? Sai che devi andare a suonare!
- Ma che ne so, quando vado a fare i concerti in orchestra mica devo pensarci io.
- Eh? Pure ai matrimoni?
- Boh, me l'hanno sempre portato gli altri. Che faccio adesso?!? - ero allarmata.
- Capita... aspetta, pensiamoci... - si mise a riflettere.
- Chiamo l'agenzia? No, all'agenzia non dico niente.
- E poi che potrebbero fare?
- Infatti.
- No, non è bello alla prima uscita fare sapere che dimentichi le cose.
- No.
- Non riesci a suonare senza? No, non puoi...
- Esco a Bergamo? Vado a comprarlo, c'è un negozio di musica.
- Magari ce n'è un altro un po' più vicino a Cassano.
- Prova a cercare, però prima che arrivi a Bergamo, altrimenti esco dall'autostrada e vado lì.
- Cerco, cerco... - si mise al telefono - guarda... c'è un negozio a Cassano d'Adda!!!
- Ma davvero??? Dove suono... Dove? E' vicino? Uh!!! Che fortuna, vado lì allora.
- Sì, aspetta che controllo... l'indirizzo è via... e tu devi andare in via... ma sai che distano circa un chilometro?
- Ma sarà aperto?
- E' sabato!
- Sì ma che orari fa, se devo aspettare le tre e mezza poi sono proprio a ridosso.
- Prima vai a comprare il leggìo e poi andiamo subito alla villa, arriviamo in perfetto orario.
- Ok. Meno male - tirammo entrambe un sospiro di sollievo.

Proseguimmo parlando del più e del meno, perché le donne quando viaggiano non stanno mai zitte, specialmente se non ci sono uomini a far presente che chiacchierano tanto. Fu uno strano viaggio... uno magari crede che con due navigatori su due dispositivi sia impossibile perdersi, invece io ricordo stradine tortuose di paese, le indicazioni spesso differenti, se non opposte. Andare a destra o a sinistra, o proseguire dritto, sembrava la stessa cosa. L'unica certezza che avevamo era di essere in Lombardia.
- Ti rendi conto che siamo in due, con tre navigatori in macchina e siamo riuscite a perderci? - osservò la mia amica.
- Sì - dissi ridendo - siamo stordite.

In un modo o nell'altro riuscimmo a trovare il negozio di strumenti musicali e a comprare un leggìo nuovo, che da quel giorno visse sempre nel baule della  macchina e ne uscì solo per accompagnarmi ai concerti. Nonostante fossimo partite con larghissimo anticipo, arrivammo all'ora prestabilita alla villa, avevamo passato un sacco di tempo in macchina e non ne potevo più di cercare le strade.
Arrivata alla location, ero convinta di avere tutto il materiale: pure una borsa piena di prolunghe e cavi, ma non fu così: decisero di mettermi nel bel mezzo del parco.

- Qui è bellissimo, si sente bene - disse la signora.
- Ehm... - feci, guardandomi attorno -  come faccio per la corrente? - era la prima volta che mi capitava di suonare in mezzo al verde, tutti i precedenti matrimoni li avevo fatti sotto ad un portico e di solito non troppo lontana dalle prese a muro, al momento non avevo una prolunga tanto lunga che mi collegasse da quel punto all'interno.
La signora aprì una colonnina e disse:
- Qui.
Sgranai gli occhi. Cos'era quella cosa rotonda con tre buchi? 
- Ce l'hai l'adattatore, vero? - chiese.
- Orco, no.  - "Non devo chiedere niente all'agenzia, non devo chiedere niente all'agenzia, devo risolverla da sola" - Però... ecco... Aspetti! - esclamai.
Avevo sentito della musica all'interno, intuii che fossero i cantanti che si sarebbero eseguiti nel dopocena e sperai ardentemente che potessero aiutarmi.
- Vado a chiedere una cosa - e corsi dentro.

Entrai nella sfarzosa ed elegantissima villa con l'aria da pecorella smarrita, esponendo il problema del "coso rotondo con i tre buchi" nel giardino, dove avrei dovuto attaccare l'amplificatore. I due ragazzi sorrisero, uno aprì un borsone con dentro il mondo dell'elettronica e prese quell'oggetto azzurro importantissimo.
- Questo! Prendilo pure, te lo presto.
- Grazie - risposi con slancio, prendendolo in mano e pensando: "prossimo acquisto: questo affare qua".

Finalmente tutto fu pronto ed allestito anche per me, riuscii a provare i volumi e ad inaugurare il nuovo leggìo, arrivarono gli sposi e potei lavorare.
Ma a metà esibizione, i piedi cominciarono a non poterne davvero più dei tacchi. 
La gente non lo sapeva, ma stavo soffrendo in silenzio, ecco perché suonavo con così tanto pathos ed emozione. La mia amica mi aveva lasciata per farsi un giro al parco, ma ogni tanto si ripresentava, nascosta nel cespuglio e mi sussurrava, come fanno i suggeritori in teatro dal buco sul palco:
- Psss... Come va?
- Ho mal di piedi - risposi a bassa voce.
- Sono ore che le hai su.
- Ho sbagliato a partire con queste scarpe da casa, avrei dovuto metterle basse e cambiare dopo, e i tacchi mi vanno nel terreno.
- Poverina, togliele e suona a piedi nudi!
- A piedi nudi? Ad una cerimonia?
- Sì, sì, saxofonista a piedi nudi, fighissima!
- Ok!
- Vai, a dopo!
Sparì e si dileguò nel cespuglio come un folletto.

Il tempo passò, era bello suonare, anche se mi sembrava che nessuno mi ascoltasse... Invece i bambini si fermarono ad osservare, qualcuno mi parlò... di storie e di musica, chiedendo di me, accorgendosi della suonatrice piccola e scalza. Il sole cocente di luglio  si fece piano piano meno martellante sulla mia testa, arrivò l'imbrunire, gli invitati cominciarono ad entrare per la cena di nozze e i camerieri a sparecchiare per spostarsi; quando anche gli sposi sparirono, potei terminare l'ultimo brano, spegnere e smontare tutto.
I cantanti (della stessa agenzia e collaboratori di vecchia data) ogni tanto si aggiravano per il giardino in mezzo alla festa e venivano a sentire.
Notarono i piedini nudi e mi dissero:
- Brava, bravissima! Suoni bene, complimenti! - quello sciolse tutta la fatica della giornata, del viaggio e delle tensioni causate dagli intoppi.
Quando alla fine di una qualsiasi esibizione, l'impressione finale è positiva, tutti sono contenti e nessuno si è accorto di nulla, allora ogni cosa è andata bene.

Il ritorno lo affrontammo senza neanche un navigatore e senza perderci mai, scoprendo che la strada statale era più rapida e breve dell'autostrada; festeggiammo la fine della giornata con una allegra e  lauta cena in birreria "in casa nostra", ovvero nella rassicurante Brescia, in mezzo all'accento famigliare di tutti i giorni.

Dopo quell'incarico ne arrivarono altri, arricchii ogni volta il mio zaino di tutti i materiali necessari, in breve tempo imparai ad essere sempre pronta ed attrezzata per qualsiasi location ed evenienza... anche in caso di mal di piedi.

Ah! Scordavo... il navigatore? Beh, era semplicemente difettato. Funzionava solamente se lo tenevo collegato ad una presa a muro, il che equivale a dire che era perfettamente inutile, lo riportai in negozio e me lo cambiarono con un altro nuovo. Per tutti gli altri viaggi funzionò meravigliosamente senza più abbandonarmi, per fortuna, perché da allora partii per lavoro sempre sola, senza amiche.

Vi racconterò di quella volta che mi ritrovai a trasportare a prima vista tutti gli spartiti del clarinetto con il sax contralto... Aiuto!
Nel quarto episodio della serie: "Lo spettacolo deve continuare".

lunedì 26 giugno 2017

Riflessioni alla moda

Non sono molto d'accordo col mito che la bellezza interiore conti più di quella esteriore. Mi spiego meglio: sono convinta che, in un epoca in cui sia facile mostrarsi curati e piacevoli, accattivanti e "belli" da vedere, chi non ci tiene a curarsi e si presenta "brutta", esprime esattamente quello che è dentro, la gente vede e percepisce una buona parte di quello che si trasmette, con l'abbigliamento, la pulizia, la cura.

Alle superiori ho studiato anche storia del costume e psicologia della moda. Non sto qui a trascrivere tutti i contenuti dei libri, ma sociologicamente parlando, il costume e l'aspetto esteriore sono dei biglietti da visita, dei curriculum, esprimono molto di sè. L'abito fa il monaco, se una persona sceglie un certo tipo di abito, lo fa con una precisa motivazione psicologica e caratteriale.

Partiamo da un discorso più pratico? Una pelle brufolosa, se non è affetta da malattie o acne, mi fa capire, specialmente se la persona non è più adolescente, che mangia male o in quei giorni non è stata attenta all'alimentazione, oppure anche, che non ha pulito bene la pelle. Una pelle liscia e splendente non rende solo il volto più bello, parla molto della persona. Poi se questa pelle è sempre liscia o sempre trascurata, o coperta da strati di trucco, o naturale ecc... io ne deduco quanto la persona ci tiene a sè e agli altri. E vi sembra poco? 
Volersi bene è importante, per essere davvero "belli" con gli altri bisogna volersi bene. Chi non si vuole bene finisce con avere atteggiamenti mal sani che la rendono brutta anche nel modo di fare con gli altri.

Io poi guardo anche i capelli: si può capire molto osservando la lucentezza, la pulizia, la messa in piega, la ricrescita di una tinta, il taglio, il colore. L'essere trasandati esprime certamente una fase o una parte di sè per me negativa, ma anche una eccessiva attenzione alla cura mi trasmette insicurezza, narcisismo, mancanza di libertà. 
Parliamo di tagli: i capelli lunghi sono molto più comodi di quelli corti. Chi li porta corti, per mantenere il taglio e la piega deve andare più spesso dal parrucchiere. In estate quelli lunghi si possono legare ed appuntare in cima alla testa, mentre quelli nè lunghi nè corti, sono sempre "in giro". Però i capelli lunghi sono anche più scomodi nella vita di tutti i giorni: più tempo per asciugarli, per pettinarli, di notte per dormire bisogna intrecciarli per non averli annodati fra di loro al mattino. Perciò la scelta del tipo di taglio può esprimere qualcosa del carattere della persona, ovviamente accompagnata ad altri fattori e scelte estetiche.
E' più femminile una donna con i capelli corti o una coi capelli lunghi? 

Qui entra il gioco il mio spirito di osservazione e la conoscenza del mondo femminile: se una li porta lunghi e naturali come me, così come sono, può essere pure femminile, ma non significa che passi la sua giornata a sbattersi con tinte, permanenti, a stirarseli. E' una che non vuole essere vincolata ad appuntamenti, fatiche per una cosa "futile" e comunque si piace e si accetta con ciò che madre natura le ha dato.
Se una invece ne cambia la struttura e il colore, la sua lunghezza mi racconta altre cose. Così come il tipo di taglio corto. C'è il taglio della signora che sente di non avere più sex appeal, quello della sbarazzina, quello del maschiaccio o quello della femme fatale.

Parliamo di trucco.
Io sono una che ci tiene ad essere carina, ma mi trucco un gran poco: sulla pelle del viso di solito non metto nulla, un po' perché ce l'ho già presentabile al naturale di mio, un po' perché mi dà fastidio sentirmi qualcosa sulla faccia. Però allo sguardo dò più importanza e qualcosa di leggero lo metto sempre. A volte mi piace giocare e uso i colori degli ombretti e le matite per fare trucchi più marcati ed originali, ma sempre con lo spirito di "dipingere" un quadro, per interpretare un ruolo, un gioco.
Non mi fido delle donne sempre troppo truccate: mi immagino lo stravolgimento di quando si toglie tutto. Beh, se da una parte una donna con un leggero trucco tutti i giorni dimostra di tenerci, quella con troppo make up, nella vita quotidiana, comunica insicurezza, forse anche artificiosità.
C'è anche il terzo tipo di donna: quella che non si trucca mai. Ognuna ha i propri motivi, nel mio piccolo ho osservato che di solito non sono persone vanitose, poi se accompagnate a trascuratezza generale, allora sono un po' sciatte, ma se sono ricercate in altre cose, vuol dire che sono semplici e tanti di questi volti non hanno bisogno di truccarsi. Anche se un po' di mascara e di fard le renderebbe ancora più carine.

Arriviamo al peso: è vero, esistono delle malattie, ma io qui parlo di una persona "normale", quella che se mangia ingrassa, e se non mangia dimagrisce. A questo punto, l'essere snelli, o magri, o morbidi o in sovrappeso è una scelta. Perché si sceglie di essere in sovrappeso o magrissimi? Perché scegliere di potersi vestire e stare bene con tutto o rinunciarci? Oppure a vestirsi "male" perché non tutti i vestiti stanno bene su tutte?

Io guardo soprattutto i vestiti, fin da piccola ero in grado di memorizzare interi guardaroba dei miei compagni di classe, degli insegnanti e di chiunque, osservando e ricordando il loro abbigliamento. Sapevo quante camicie avevano, quali indossavano di più, se si cambiavano spesso e poco. E' un dote naturale, non avrei studiato moda se non me ne fosse importato nulla!

La moda a volte è eccessiva, il vero stile è quello che ci valorizza e ci fa stare bene. Però, ci sono alcune regole da seguire: gli abbinamenti, il saper mettere in cantiere qualcosa che è davvero datato. Cambiarsi.

Cambiarsi? Oh, non è una cosa così scontata! Ci sono persone che non si cambiano mai: stessi jeans, stessa maglietta. Non sto parlando di qualcuno che mette sempre i jeans... ma che indossa sempre lo stesso paio! Se poi questo paio è di almeno una decina di anni fa, e i colori sono sempre scuri... cosa deduco? Faccio come fanno i grafologi: un elemento solo non basta per giudicare, allora tengo d'occhio pure tutto il resto: le scarpe, "la parte di sopra" dell'outfit, i capelli, i cappotti, gli accessori. Una volta appurato che questa persona non si compra più abiti nuovi dal giorno del fidanzamento, dalle giacche, alle scarpe, ai giubbini e soprabiti, allora penso ad una specie di morte interiore: tutto si è arrestato e congelato, imprigionato, ogni cosa è ancorata e soffocata e si fatica ad andare avanti.

Poi ci sono quelle ossessionate dalla moda e dalla novità che indossano qualunque cosa risulti nuovo in negozio. Magari stanno male con quella maglietta, ma hanno bisogno di mettersela per sentirsi "di tendenza" (il discorso del mettersi ciò che piace non è giustificabile, la principale regola del bon ton dice di vestirsi adeguatamente, non solo con quello che ci gira), non tengono conto dell'età, del proprio fisico e dell'ambiente. Questo tipo di psicologia mi colpisce di meno, forse perchè da adolscente ci passai pure io e, anche se non avevo problemi di peso, la considero ancora una fase superabile, mentre non riesco a capire una donna totalmente disinteressata ai vestiti. 
Certo che, se vedo un'anziana signora e provo una sensazione di "lotta contro il tempo", con i vestiti da teen ager, il trucco eccessivo e modi di fare strampalati, io percepisco una tristezza nel non volersi accettare e vivere bene con sè stessi. In tutti e due i casi queste persone sono anacronistiche, lo dicono i vestiti che hanno scelto di mettersi.

C'è una sottile, ma enorme differenza fra "abiti vintage", "pezzi d'epoca" e semplicemente: "vestiti vecchi e fuori moda".

Ok, dopo aver fatto discorsi pratici ed esteriori sulla bellezza, parliamo di quella psicologica. 
Se una persona è bella e riceve apprezzamenti, piace e si piace, col tempo si abitua a non provare invidia, almeno dal punto di vista estetico, verso il prossimo. Magari arriva ad essere superba e la superbia la rende brutta, ma se si mantiene nel limite di una buona autostima e pace con sè stessa, è bella pure fuori. 
Non invidia, non critica, non diffida del prossimo.
Prendetene una sgradevole, derisa, non apprezzata. Avete notato che spesso sono queste persone a criticare gli altri? La loro autostima non è alimentata, diventano insicure e a volte aggressive. Si imbruttiscono dentro e col tempo lo sono pure fuori, come un circolo vizioso.

Ma cos'è la bellezza? Non sono assolutamente i canoni: io sono bassa, scura, ho dei difetti, il volto asimmetrico, ma mi piaccio.

La vera "bellezza" esteriore è rappresentata dalla cura e dall'accettazione di sè, per questo, come ho scritto all'inizio, viviamo in un'epoca in cui è facile apparire piacevoli e carini. Abbiamo tutti le nozioni e gli aiuti per avere un bel fisico, per curare la pelle, per avere vestiti che ci valorizzano, per curare la salute, essere puliti. 
La vera "bruttezza" esteriore invece, è quella di colui o colei che non si ama e di conseguenza non ci tiene a sè, non ha un minuto della giornata da dedicare alla sua immagine allo specchio. Chi sceglie di essere "brutto", è perché è turbato pure dentro, chi trasmette "bellezza", è perché anche i suoi pensieri sono più sereni.

Non succede anche a voi, di trascurarvi quando siete turbati e di farvi più belli quando siete innamorati?


domenica 4 giugno 2017

Inerzia

Non sono belli i fine settimana, lo sono di più i giorni feriali.
Non mi piacciono neanche i festivi, non mi sono mai piaciuti.
La gente si dedica alla propria identità, ma io non ne ho mai avuta una. Ero così persa e smarrita.
Io son sempre stata la ragazza senza volto.

lunedì 29 maggio 2017

A piedi nudi nel parco...

... il verde giù e l'azzurro su.
Anche se la vita mi ha reso tanto razionale e pratica, nel mio cuore sono ancora quella bambina che ficcava in borsa il flauto dolce per avere compagnia ovunque andassi, come quei viaggiatori solitari e vagabondi che suonano i pensieri attraverso un' armonica, col cuore in subbuglio e gli occhi persi e malinconici. La mente piena di sogni ed aspirazioni. 
Quella bambina, nei miei momenti più difficili, quando cerco di usare la testa per ragionare, per risolvere le cose, batte prepotentemente nel mio petto per farsi sentire, come a voler sfidare la ragione, e io sto male perché il sangue pompa alla svelta e i battiti cardiaci vanno a mille. Non è bene tradire sè stessi mi ricorda, sono nata per sbagliare col cuore, non con i calcoli. Devo ascoltarlo.
E poi, usare la testa non garantisce di fare la cosa giusta.
E' tutto un casino la mia vita, ma starmene a piedi nudi nel parco, con la musica del vento e del mio soffio, leggere le note nelle nuvole e perdermi nel tempo, anche se nulla risolve e domani proseguirò nel mio caos, mi rasserena, in quell'istante fuori dalla quotidianità.

Oggi è così.




lunedì 22 maggio 2017

Lo spettacolo deve continuare 2

Sono nata per gli imprevisti. Ci sono persone che piangono e vanno in crisi quando le cose non rispecchiano un determinato percorso che si sono costruiti in testa, considerano i problemi improvvisi come delle "cose" per cui la giornata è rovinata. Per loro la vita intera diventa un peso e una paura continua di quel che potrebbe succedere, io invece fin da piccola mi annoiavo sempre quando tutto scorreva nella monotonia, e aspettavo in grazia che succedesse qualcosa che ravvivasse la giornata. Avevo voglia di novità e di fantastiche situazioni. Di vita.
Mi divertivo e, soprattutto, trovavo stimolante aguzzare il mio ingegno e la mia fantasia per risolvere al meglio le cose, arrivare ad un risultato anche migliore del previsto. 
Ancora oggi, quando succede un problema, le vie diventano due: se c'è tempo mi arrovello e trovo il modo per tirarmene fuori con una certa gloria, se invece bisogna reagire subito, improvviso al momento, con la faccia di bronzo dello studente che non sa niente, é consapevole di non avere studiato ma é abile a giocare, e durante l'interrogazione regge la parte del secchione che parla e parla, fino ad ingannare il professore... Che entusiasta premia l'alunno studioso e preparato.

Questa caratteristica mi ha sempre molto aiutato nello spettacolo. Anche se avevo una paura folle, ero angosciata o preoccupata, la gente credeva sempre che fossi decisa e tranquilla.

Ricordo l'episodio della birreria, un piccolo locale nel cuore del centro, in una sera di fine primavera.
Avevo poco più di vent'anni ma con una certa esperienza nel campo delle birrerie, pub, locali fumosi con maschi e vecchi non proprio principi galanti. Per esperienza intendo come musicista: facevo swing con diversi chitarristi, ma pure con i gruppi di cover mi era capitato di partecipare a concorsi e gare. Avevo imparato quando era il caso di mandare a quel paese qualche sgradevole cliente o ignorare le battute e le provocazioni, o se era il caso di interagire, parlare con quelli gentili. Sapevo inoltre che atmosfera richiedeva il pubblico: in che momento puntare ai suoni soft e quando farli ballare.

Al tempo, avevo preparato con una pianista un repertorio per una prima uscita con lei in una birreria.
Ricordo che mi sentivo un po' perplessa perché avevamo pochi brani, le dissi che, per prolungare i tempi, doveva continuamente suonare il giro di accordi mentre ci improvvisavo. Le avrei fatto capire io quando dovevamo chiudere, ciò nonostante non superavamo un'ora di esibizione con i soli titoli selezionati e all'ultima prova mi raccomandai che portasse tutte le canzoni, anche quelle non incluse nella scaletta.

Premetto che ero io a provvedere all'acquisto di tutti gli spartiti, a fotocopiare e scrivere, trascrivere assoli e la mia parte. Questa premessa serve a far capire che, quando si lavora in coppia e si percepisce la stessa ricompensa ma uno dei due ci investe più tempo, fatica e denaro, si parte già con uno certo svantaggio che facilmente porta a mal sopportare le lacune di chi sembra investire di meno.

Le dissi di non vestirsi come in un concerto di musica classica sul palco del conservatorio, sarebbe stato fuori luogo, non riuscii a farle capire che non venivamo pagate per l'ora di esecuzione ma per la serata, che se il pubblico richiedeva di più, dovevamo andare avanti a suonare. Lei protestava dicendo che la paga era bassa e quindi avrebbe suonato per quella quantità di tempo, e basta. I soldi erano oggettivamente una buona ricompensa per l'ambiente e tenendo conto che si parla di più di dieci anni fa. Le spiegai che in una piccola birreria con pochi tavoli, era una buona percentuale sui loro incassi, che al ristorante avremmo potuto chiedere di più, che era meglio essere chiamate spesso che una volta all'anno. 
Ero anche una cameriera che si faceva i chilometri e i muscoli ogni giorno per cinque euro all'ora e prenderne venti volte di più, per suonare e fare una cosa che mi piaceva in un paio di ore, era denaro facile ed apprezzato. Inoltre non mi ritenevo una concertista di fama mondiale da chiedere al gestore di una birreria di Brescia, centinaia di soldi per una prima uscita (la sua, non la mia).

Beh, niente. Fu un disastro. Si presentò convinta di fare la concertista, con il pubblico pronto ad applaudire, andò in pallone per qualsiasi battuta. Quando i brani, dopo neanche un'ora, finirono e la gente si era accalcata attorno a noi e voleva sentire ancora, le dissi di attaccare a suonare le canzoni non incluse, mi rispose che aveva lasciato le parti a casa, e non perchè si era dimenticata, aveva ritenuto che non servissero, semplicemente, non le aveva neanche ripassate.
Ma allora io che mi sbattevo e parlavo a fare? Sbottai che le avevo detto di portare tutto. Lei rispose offesa lasciando lo spettacolo e andandosene fuori. Mi ritrovai da sola con la folla in attesa di sentire ancora musica, non avevo neppure le basi per suonare da sola il sax, ma lo spettacolo doveva continuare.

Come un robot molto sciolto e disinvolto, ma invisibilmente non del tutto cosciente delle conseguenze, prontamente mi misi al posto della pianista ed attaccai a suonare tutte le cose che sapevo a memoria: Einaudi, Nyman, Tiersen, mentre la mia socia era occupata ad essere piccata per come le avevo parlato davanti a tutti.
Non avevo previsto di suonare il pianoforte quella sera, ma quella parte improvvisata e quelle melodie minimaliste, le colonne sonore, furono gradite e mi sentii sollevata di essermene tirata fuori. Ci furono delle ragazze così commosse dalla musica, che vollero pagarmi da bere ed offrirmi qualcosa. Una mi disse che ogni volta che sentiva le musiche del "Favoloso mondo di Amelie", piangeva sempre, provava indescrivibili emozioni e mi ringraziava di avergliele fatte ascoltare.
La serata si risolse con successo per il concerto, un po' meno per noi due.

In seguito le nostre strade si divisero ed io proseguii la mia gavetta, da sola e con altri musicisti.

Nella terza storia della serie: "Lo spettacolo deve continuare", vi narrerò una situazione che fu anche più critica e rocambolesca, ma che terminò come sempre con entusiasti applausi e complimenti da parte del pubblico ignaro.

Ah! L'emozionante retroscena della vita d'artista!



giovedì 18 maggio 2017

Momento

Oggi é un giorno un po' diverso dal solito. Scrivo pigra e mezza sveglia (o mezza assonnata) dal telefono, perciò scriverò poco e male.
Me ne sto sdraiata sul divano mentre in giardino gli uccellini fanno chiasso, ma sono carini, dai. Lascio la finestra aperta anche se entra il polline, ma é bello vedere il verde e l'azzurro. Tutto é tranquillo, la scuola é chiusa per il passaggio delle Mille miglia e quindi me ne sto a riposo.
Oggi niente "profe", solo Thasala, che vive e lascia vivere e se ne sta nel suo mondo. Non é tagliata per controllare ed imporre.
É bellissimo riposarsi, soprattutto nell'animo, non sono tagliata ad alzare la voce dal nervoso, come devo fare di solito, e troppe corse non fanno bene. Provate ad immaginarvi... Vi svegliate al mattino perché gli occhi si aprono, non perché la sveglia vi interrompe il sonno. Vi crogiolate un po' nel letto, poi con calma scendete e vi coccolate mangiando con calma frutta, yogurt, cose buone. Senza alcuna fretta. Qualche assestata alla casa e poi studio al pianoforte, al sax, pranzo dalla mamma.
La musica, la musica esercitata con la freschezza e la concentrazione del mattino.
E ora qui.
Più tardi me ne andrò a fare lezione in Accademia. Ma é più tardi.

Ora il mondo sembra rallentato in questo piccolo angolo di tempo regalato dalle Mille Miglia, che ferve nel caos, nel traffico e nell'atmosfera mondana di festa, e dalla primavera serena che vuole volgere all'estate.

Ma io sono lontana da tutto ciò. Oggi riposo, e ho sonno. Ho sonno... Mi lascio cullare dalla vita.

lunedì 10 aprile 2017

Lo spettacolo deve continuare 1

Quando voi andate a vedere uno spettacolo che vi piace un casino... e battete le mani e raccontate in giro: "Era proprio bello, bravi, riuscitissimo!", vi siete mai chiesti cosa ci sia nascosto dietro le quinte?

Ve ne racconto un po', inauguro una nuova serie di racconti. Oggi cominciamo con l'aneddoto numero 1: non fu proprio uno spettacolo, anche se sempre un'esibizione importante, ma ho voglia di cominciare da qui.

Quando le cose fanno parte del passato, ricordarle fa anche ridere e si narrano gli aneddoti con divertimento, ma tutti i trambusti, gli intoppi, le novità degli ultimi momenti e gli istanti prima di salire su un palco, certe volte fanno disperare e mettersi le mani nei capelli... allora che si fa? Si ride! Mica si vorrà piangere?

Sì, perché vivere nel mondo dello spettacolo è alquanto divertente, e qualsiasi cosa accada, si sale in scena e si va avanti!

Mi piace oggi ricordare come sia arrivato in casa mia uno dei miei sax preferiti: quando ero già al biennio di specializzazione, successe che, esattamente il giorno prima di un importante esame, il mio strumento mi cadde. Colpì una buona parte dell'ottone, le chiavi si stortarono e fu impossibile suonarlo.

Come può sentirsi un musicista e studente con l'esame il giorno dopo, in quel tragicissimo istante della vita?
Ve lo lascio immaginare. Da musicista il cuore si spacca di dolore, perché uno strumento musicale fa parte della sua vita e vederlo "ferito", ammaccato, fa piangere non solo gli occhi. Poi c'è la parte pratica, perché si può, sì, rimettere a posto, ma viene a costare non poco, e nel mio caso non ci sarebbe stato tempo sufficiente per farlo. Come studente ero ovviamente in panico. Che fare? 
Come riuscii in meno di ventiquattro ore a risolvere?

Non volevo assolutamente rimandare l'esame ad un'altra sessione. Non avevo nessuno che potesse prestarmi uno strumento dello stesso livello, anche perché chi ne ha uno professionale, a meno che non sia una persona con un forte legame, non se ne stacca.

Così nel giro di cinque minuti mi ritrovai in macchina, alla guida per comprare un altro sax. Fu un impulso, quando devo risolvere io decido alla svelta... e faccio le cose in grande! Avevo già guardato in internet, telefonato, svuotato i miei risparmi e deciso. Ecco. In partenza!
Partii con l'intenzione di prenderne uno gemello, uno identico al mio sax malato, per sostenere l'esame senza sentire alcuna differenza... ma quel giorno c'era lì un vintage, un Mark VII che mi fece innamorare. Andò così... e anzichè tornare a casa con un altro Super action serie II, me ne andai via con lui.

L'esame andò bene. Feci sistemare l'altro sax, che tornò come nuovo, e da quel giorno dissi a tutti saggiamente: se lo fai di professione, devi sempre averne almeno due professionali in casa. 


giovedì 23 marzo 2017

Nel rosso

In una danza di coppia, di solito funziona così: 
ci si allontana, per poi tornare vicini. 
Si fa qualche passo insieme e qualcuno per conto proprio. 
E' l'uomo che sostiene la donna, che a sua volta, con la sua presenza, sostiene l'uomo. 
Per questo lo spettacolo è bello da vedere. 
Un ballo non è sensuale o complice con la sola coreografia, è l'intesa fra i ballerini che lo crea: sono lo sguardo e il pensiero, il  battito che il pubblico può percepire o indovinare, ma non conoscere a fondo. 
Per tutta la danza però vi è sempre la musica ad unire l'arte, con un ritmo suadente, il vorticare fra luci, ombre e colori, fino all'ultimo respiro che riunisce le due metà. 

Una danza non può funzionare se i ballerini non sanno allontanarsi e riavvicinarsi.

Quando il sipario cala, il pubblico applaude, la musica svanisce, le luci carezzano l'intimità del silenzio... rimane una tenda rossa.

lunedì 20 marzo 2017

Thasala e basta

Quando una persona nuova mi conosce e dopo un po' sa che suono, la prima curiosità che mi viene richiesta é: "Suoni in qualche gruppo?"
A me questa domanda sembra bizzarra, chissà perché, ma forse sono io ad esserlo.
Cosa bisognerebbe rispondere?
La risposta giusta per me è: "Collaboro con delle persone".

Sapete come mi sento? Come un attore indipendente che viene ingaggiato in qualche spettacolo di teatro o film a chiamata, cioè con una scadenza temporale, e prende una paga per quel progetto. Ma di fatto non è e non vuole essere etichettato come parte di nessun nome, nessun telefilm e compagnia teatrale in particolare.

Ecco: sebbene musicalmente, io sono così, non sono legata a nessuno. Sono Thasala e basta, e non: "Thasala, quella di..."
Io collaboro con alcune persone e, per periodi più o meno lunghi, suono in formazioni, ma fondamentalmente sono sola.
Non suono per la gloria, non mi interessava da piccola, ora che ho poco tempo ancor meno.
Suono per i soldi e/o perché la causa mi interessa, e/o perché mi piaccciono le persone.

Essere musicisti non significa che la passione sia così grande da farlo gratis.
Io suono per i soldi e mi sembra giusto. Ho studiato e pagato tasse e materiali per anni, studio tutt'ora, ho dei titoli accademici riconosciuti, mi devo sempre allenare per essere pronta alle chiamate, direi che non è più solo una passione, ma un lavoro, e i lavori vengono pagati. Giusto? Anche un medico che lo fa per vocazione, per poter mangiare deve farsi pagare. 
Così, a meno che la causa non sia molto interessante, non pensiate che mi interessi "suonare per farmi conoscere". Non mi interessa se non mi pagate. Non mi interessa di faticare solo per far sapere che ci sono.

Di questi tempi, i locali, a meno che non siano ambienti di un certo tempo, con vip e turisti, non pagano molto. L'entrata economica maggiore e più semplice viene rappresentata dai matrimoni. Io non intrattengo, non canto, non faccio ballare: tutto ciò comporta un notevole investimento per l'acquisto di impianti e materiali costosi. Bisogna rimanere fino alla fine, caricarsi di pesi e mille cavi, essere sempre aggiornati con le canzoni e la playlist. Certo si prendono centinaia e centinaia di euro in un solo giorno, ma preferisco essere una presenza soft e swing durante gli aperitivi. Mi piace essere lasciata in pace. Forse voi credete che è chi intrattiene che non "lascia in pace il pubblico", in realtà è proprio il contrario. Siccome non ci sono portata, essere al centro dello spettacolo e dover essere divertente, mi richiederebbe uno sforzo talmente impegnativo, che di fatto mi sento io disturbata dagli altri.

Perciò siamo io e il mio sax, nelle serate primaverili, estive, al calar dell'estate, quasi anonimi, accarezzati dalla brezza, dal vociferare della gente che parla e parla (ma qualcuno mi ascolta) ad accompagnare discretamente i rinfreschi degli ospiti e degli sposi, che posano sorridenti ai fotografi. 
Gli ambienti cambiano sempre, a volte qualche cameriere mi porta un vassoio di cibo e da bere, a volte gli sposi mi parlano pure, i fotografi mi scattano qualche foto mentre soffio e mi esprimo, finisco in quelle immagini, che io lo voglia o meno, ovviamente. D'altronde faccio parte dell'evento, negli album delle nozze si mettono anche i musicisti? Non ho mai richiesto quelle foto. Anche nei video. Quello è un giorno che dovrebbe essere il più felice per loro, e io sono una bella infiltrata in famiglie e compagnie di gente che neppure conosco.

Non è che non interagisco perché sono scorbutica, ma perché non credo che a loro interessi, per i festeggiati sono una lavoratrice e basta, il mio nome non è importante, faccio semplicemente parte di quel pacchetto dell'agenzia che comprende la musica in chiesa, la musica per l'aperitivo e la musica per il dopocena. Alcuni pacchetti più ricchi offrono pure diversi intrattenimenti e spettacoli per allietarli. Siamo diversi artisti che ci incrociamo ogni volta. Veniamo da province e realtà variegate, e poi ognuno, il giorno dopo, si spoglia di quella festività, dei fiumi di alcol e della breve complicità. 
Ogni volta va così, ogni volta mille sconosciuti. 
Quando gli sposi vanno via e i camerieri sparecchiano e iniziano ad andare nelle sale, siamo sempre io e il mio sax a sparire nel buio, dopo, ovviamente, aver incassato il guadagno.

Un altro modo per farsi pagare con la musica, è finire in qualche orchestra, ma i guadagni sono nettamente inferiori, e poi bisogna interagire con troppe persone: tutti gli altri musicisti. 
La cosa più impegnativa sono le prove, il dover rispettare gli impegni, gli orari, la scadenza, cosa che non succede invece quando c'è una data con le basi e devo andarci da sola.

Mi capita anche di suonare senza prendere un euro, a dire il vero.
Siccome non sono portata per il volontariato faticoso (fare cose fisiche) e soldi da dare non ne ho così tanti, faccio quello che mi viene più facile: suonare in spettacoli e concerti per raccogliere i fondi da inviare alle associazioni. Naturalmente il volontariato non va ai locali e ribadisco che la gloria non è una beneficenza. Per beneficenza ed associazioni del genere mi riferisco ai bambini poveri, le persone povere, le donne bisognose, gli animali, cose di questo tipo.

La cosa più bella della musica però, è quando si può farla con persone e amici con cui ti trovi bene. Allora i soldi perdono valore: perché sono momenti di condivisione e arricchimento emotivo e personale e non serve essere pagati. Mi piace molto provare qualche brano con i miei amici, poi uscire a bere un drink e chiacchierare di sè e della vita. Suonare assieme è solo un'alternativa all'andare a prendere un gelato, fare una passeggiata o una vacanza in compagnia.
Sono amici e non solo un gruppo con cui provare ogni settimana in qualche cantina per poi andare a caccia disperata di serate e notorietà. Ho già dato per anni in gruppetti del genere: va bene a vent'anni, ma dopo non si ha più tempo e voglia di accollarsi pure lo stress di un leader, che decide i brani, come suonare e cosa fare. Per questo motivo le mie formazioni, o meglio collaborazioni, sono di poche persone: due, tre. Quattro al massimo. La mia amichetta pianista, la mia amichetta attrice, i miei amici cari, cose così. E capita anche che con gli amici faccia  eventi retribuiti o per beneficenza.

Suono con tantissima gente, ma non mi sento di appartenere a nessun gruppo. Io sono Thasala sola, e basta. 


martedì 28 febbraio 2017

Sabato 4 marzo 2017




Quando una fiaba diventa musica: una storia per sognare e tanti suoni da ascoltare! Spettacolo musicale per due voci recitanti e tanti strumenti a fiato.

A cura di Francesca Cherubini (Edizioni Didattica Attiva).

Il fascino della luna, il suo pallido viso senza età e… una conchiglia ritrovata fra gli scogli del mare. Quale contesto migliore per incoraggiare Theobald, pescatore solitario, a raccontarsi agli altri suonando? Un concerto di archi in libreria! Recitano Livia Castellini e Francesca Cherubini, intervengono i musicisti Daniela Tarolla, Gioele Dusina, Emanuele Trivella, Thasala Phan, Alessandro Canori, Matteo Maggini, Andrea Squassina, Michele Minervini, Camilla Capitanio, diretti dal M. Davide Bottarelli.

Età: dai 4 anni.

Ingresso gratuito, con prenotazione obbligatoria al numero 030 3099737 o via e-mail brescia@lalibreriadeiragazzi.it


Dettagli

Data:
sabato 4 marzo
Ora:
17:00 - 18:30
Prezzo:
Libero
Categoria Evento:
Evento Tag:

Organizzatore

La Libreria dei Ragazzi
Telefono:
+39 030 3099737
Email:
brescia@lalibreriadeiragazzi.it
Sito web:
http://www.lalibreriadeiragazzi.it

Luogo

La Libreria dei Ragazzi
via San Bartolomeo 15/a Brescia, 25128 Italia+ Google Map:
Telefono:
+39 030 3099737
Sito web:
http://www.lalibreriadeiragazzi.it

lunedì 13 febbraio 2017

Domenica aperto

Oggi ho voglia di fare l'opinionista.
Parliamo dei negozi aperti di domenica e della gente che ci lavora?
Prima che qualcuno mi si rivolti contro, dico che, sì: ho lavorato per anni come commessa e come cameriera la domenica, e pure il venerdì e il sabato sera, se è per quello.

Io non è che sono o meno favorevole all'apertura dei negozi e dei centri commerciali, ma trovo che la gente che faccia questo lavoro (le commesse, più che altro) si lamenti troppo e chiami in causa scuse che non reggono. Sapete perchè?

A parte i periodi natalizi o saldi o comunque temporanei, una commessa non lavora sette giorni su sette, il che vuol dire che ha spesso dei giorni di riposo durante la settimana. Mi ricordo che per me questo era bellissimo: fare le commissioni e le spese senza fila e ressa e senza chiedere permessi, solo, se necessario, uno spostamento di turni. 
Tante commesse si lamentano chiedendo che per parità (di cosa?) allora anche gli uffici dovrebbero aprire di domenica perché loro devono andare in posta e in banca. Ma perché dovrebbero? Se gli uffici aprissero anche nel fine settimana, per avere anche loro il giorno di riposo dovrebbero chiudere durante la settimana, e come farebbero le commesse ad andarci? E' meglio che le categorie lavorino in giorni ed in orari diversi per far girare il flusso di gente e di attività. 
Poi, non voglio offendere eh! Ma per lavorare in banca (per dire) servono certi titoli di studi, che ad una commessa non è richiesto. A me è stato insegnato che se volevo evitare lavori faticosi e poco pagati dovevo studiare, c'era questo sacrificio. Per me non ha senso predersela con chi ha lavorato sodo in precedenza per arrivare ad un lavoro più "comodo". 

Mi ricorda quella mia amica (con terza media, commessa) che si lamentò del notaio, che per scrivere e firmare "una letterina" le aveva chiesto un bordello di soldi. Le risposi: "Beh, diventa anche tu notaio, così puoi farlo anche tu". 
Ditemi sinceramente, se dopo anni di fatiche, quando gli altri la sera uscivano e avevano già lo stipendio mentre voi dovevate stare a casa a studiare, dare esami e pagare le tasse universitarie, oggi diventaste notaio, e doveste pagare l'affitto di uno studio, lo stipendio ad una segretaria, chiedereste venti euro per scrivere la "letterina"?

Sì, sì, lo so che ci saranno le incavolate con le loro opinioni ma ribadisco: so di cosa state parlando, ho fatto pure io la commessa. 

C'è pure un altro punto: comunque nei periodi normali il tetto massimo per lavorare sono le quaranta ore settimanali, il che vuol dire che, mentre uno in ufficio ci sta otto ore al giorno, ed esce che è già sera, una commessa, se anche facesse sei giorni a settimana, lavora un po' di meno in una giornata. Se è in un negozio di un centro commerciale, che chiude tardi, magari ha tutto il mattino o tutta una mezzagiornata libera. Se poi becca un buon datore (ma dalla mia esperienza è spesso reciproco il rapporto, quindi spetta anche al lavoratore disponibile) riesce a far conciliare altre attività. Ho conosciuto un ragazzo che lavora in una catena di un centro commerciale, e mi ha confidato che riesce a fare l'allenatore di pallacanestro in alcuni pomeriggi e il commesso in negozio. 

Pure io, quando ho inziato a fare la gavetta come insegnante di saxofono nelle scuole, il pomeriggio, ho potuto agire grazie ad alcuni giorni con turni fissi durante la settimana e recuperando il sabato e la domenica (ma non erano tutte le domeniche, si faceva a turni).

Perché vedete sempre l'erba del vicino più verde e tutte le sfortune a casa vostra? 

Io anche oggi lavoro spesso la domenica e pure i mie colleghi insegnanti passano i pomeriggi delle festività a correggere le verifiche o a preparare le lezioni. Io suono quando gli altri festeggiano. Tutti si lamentano di qualcosa, tutti accusano gli altri di passarsela meglio e si fa la gara a chi suda e soffre di più.

Vi hanno insegnato a vivere così? Se non vi piace una situazione, cercate un modo per cambiarla, e nel frattempo cogliete il lato positivo. Ascoltare persone lamentose che pretendono e non vogliono faticare è un po' pesante.

Immagino che adesso ci sia tutto quel discorso dei super laureati che non trovano lavoro, perché c'è crisi. 
Lo so che è un brutto momento, ma ne conosco tanti che, se non possono fare il lavoro per cui hanno studiato, non si piegherebbero a farne un altro "più umile". Che vi devo dire, se potete farlo siete fortunati, io preferirei fare un lavoro più umile per avere dei soldi e dignità, che stare a casa disoccupata. 

Appena uscita dal conservatorio ho servito ai tavoli, obbedito alle signore, ordinato in negozio, ripiegato gli abiti, pulito e lavato i pavimenti e i bagni per anni. Ma almeno avevo una mia indipendenza economica e non pesavo sui miei. 
Sapevo che non avrei fatto quel lavoro a vita, per questo nel frattempo cercavo comunque una via di fuga, ma ero felice di starmene, non so, il mercoledì a casa mentre tutti gli altri stavano nel traffico per correre al lavoro.

Da disoccupata stavo male, invece nel mio primo giorno in negozio, sotto Natale, ricordo che ero estasiata da tutti quegli strass e dalle mille luci in negozio. Ero circondata di bellissimi abiti per le feste e il Capodanno. Avevo fatto amicizia con tutte le mie colleghe.

Tornando al discorso iniziale. Quando vi lamentate perchè dovete lavorare di domenica, però, raccontatela tutta, che avete gli altri giorni di riposo. Pensate ai medici e alle persone che lavorano anche la notte di Natale e su turni. 

Volete non lavorare quel giorno per poter uscire e andare al ristorante, o portare in giro la famiglia?
Ma il ragazzo che vi serve la pizza e porta il succo di frutta per il vostro bimbo o la ragazza che vi stacca il biglietto del cinema o per Gardaland, si sta divertendo in quel momento, o sta lavorando per voi? E se iniziassero a protestare pure loro e a chiudere tutti i divertimenti per voi e la famiglia? Come fareste?