giovedì 18 dicembre 2014
Il sassofono e la colonna sonora
Il periodo della stesura della mia tesi fu piuttosto anomalo: passavo ore a guardare film, telefilm, cartoni animati e pubblicità per studiarne le trame intrecciate alle colonne sonore, agli stati d'animo e agli assoli di sax. Forse per una tesi di laurea ad indirizzo cinematografico sarebbe stato nella norma, era un argomento interessante in un contesto sbagliato, ma dovete sapere che nella mia rosa di scelte di studi per dopo le scuole superiori, vi erano il DAMS ad indirizzo spettacolo, a cui pure mi iscrissi per qualche mese, oppure scenografia al Brera di Milano. Alla fine mi ritrovai all'università di medicina.
Per un conservatorio di musica invece, quando tutti sudavano nelle biblioteche e seguivano concerti, analizzavano spartiti e manoscritti, questa prassi era abbastanza "originale".
Per un conservatorio di musica invece, quando tutti sudavano nelle biblioteche e seguivano concerti, analizzavano spartiti e manoscritti, questa prassi era abbastanza "originale".
La discussione di ogni tesi doveva occupare circa cinquanta minuti. I candidati potevano scegliere di suonare una mezz'oretta, ovviamente proponendo un repertorio inerente al contenuto e, quindi, scrivere meno caratteri, oppure occuparla tutta oralmente e presentare uno scritto più "consistente". Io scelsi la prima opzione.
Il quarto capitolo introduce le colonne sonore che avrei analizzato nei prossimi capitoli. Di queste mi sono rimaste le riprese delle mie esecuzioni del primo e terzo tempo di "Catch me if you can" (clicca e clicca) ma non ho idea di dove sia finita quella del secondo, se troverò il video lo posterò su YouTube.
Riuscii anche a far riprendere "Poirot" (clicca).
***
Fuga e mistero
Spesso il sassofono viene impiegato per creare atmosfere intriganti e sensuali o misteriose, grazie alla sua duttilità di volume, che va dal pianissimo, riuscendo a concorrere con un flauto, al fortissimo degli ottoni. Il sax tenore e il sax baritono hanno un'estensione più profonda e più “morbida”, che conferisce alla melodia quel “non so che” di non afferrabile ed enigmatico, mentre il contralto riesce ad arrivare a suoni più acuti e lirici.
Chi non conosce le poche ma incisive note de' “La pantera rosa”? Il successo del film, su stessa ammissione del regista, fu dovuto in maggior parte grazie alla colonna sonora. Questo tema venne poi utilizzato anche nella successiva serie animata, e sia nel film che nel cartone compare nei momenti più intriganti, quelle in cui il ladro o la pantera si muove furtivamente per commettere qualcosa di losco.
Meno conosciuta, ma bellissima, enigmatica e con una nota di amaro e malinconia, è la colonna sonora del telefilm inglese “Poirot”, basato sul personaggio e sui gialli creati da Agatha Christie. Il mistero e l'intrigo pervadono ogni puntata, perché quello che lo spettatore vuole sapere è: “Chi è l'assassino?” La musica descrive bene l’atmosfera, compare all’inizio di ogni puntata per annunciare uno nuovo caso da risolvere, e quando riappare a fine episodio, la sua amarezza assume un altro significato, perché sebbene Poirot abbia fatto luce su un altro intricato caso, abbiamo assistito a quei più bassi e tristi sentimenti umani come l’invidia, la gelosia o la bramosia di soldi e potere che hanno portato al delitto.



Il primo tempo del tema “Escapades” di Williams è come un mare agitato, un’ansia con pochi momenti di respiro e con un perenne senso di allarme e pericolo, come la fuga che il protagonista del film “Prova a prendermi” (Catch Me If You Can) vive quando si nasconde dal suo inseguitore.
Sebbene apparentemente lontano dall’intento delle due colonne sonore precedenti, la composizione si avvale di molti espedienti in comune: come l’apertura sulle note gravi per marcare qualcosa di cupo, per poi salire verso le zone “più chiare” e scendere di nuovo. Le pause fra un breve gruppo di note e l’altro, esattamente come nella “Pantera rosa”, rende l’idea di pochi, rapidi movimenti e di tanti arresti di uno che sta sull’attenti. Quando poi il fuggiasca di entrambi i temi raggiunge il registro acuto del sax, non è certo per aver trovato qualcosa di celestiale, piuttosto, le molte note serrate e suonate sul forte o sul fortissimo sembrano una sirena isterica, un allarme che incita: “Corri, corri, non hai più tempo per esaminare, corri!” Le affinità fra il tema della “Pantera rosa” e fra “Escapades” non sembrano un caso, Williams infatti dichiarò che Mancini era la sua ispirazione e studiò composizione col suo stesso Maestro.
Violenza e terrore
Questo è un aspetto meno conosciuto del sassofono, che si allontana da tutta quella forte carica sensuale di cui si è fatta fama nel cinema.
Sono pochi i film che hanno saputo sfruttare il suo timbro per creare paura, ma io sono riuscita a trovarne almeno due: “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino e “Planet Terror” di Robert Rodriguez, un thriller d’azione il primo e un horror tutto splatter il secondo. Non è un caso che Rodriguez, regista e musicista e compositore lui stesso del tema del sax “terrificante”, sia il pupillo di Tarantino e abbia con lui collaborato per la regia di alcuni film, perché i gusti musicali e cinematografici sono molto simili.


Nel tema di “Planet Terror” il sax suona con una chitarra distorta e strumenti elettronici. Sembrerebbe lui stesso distorto, se non conoscessi le molte risorse delle strumento: sovracuti acidi e “impazziti”, note gravi suonati in growl, che in inglese vuol dire letteralmente “ringhiare”, e suonate a quel modo fanno paura. Paura come gli zombie ringhiosi della trama.
“Pulp fiction” è un film d’azione basato sulla violenza e azione, fatto tutto di pistole, donne affascinanti, tradimenti, atmosfere soft, boss e mafia. È un misto di leggerezza ed ironia che rende naturale e persino divertente la violenza. Tarantino si avvale di molti temi eterogenei di cui tanti con il sassofono nel ruolo principale, come in “Comanche”. Anche in questo caso il sassofono si avvale dell’uso di “frullati” e “growl” per dare aggressività al tema.
Il ruolo del sax


La colonna sonora di un film non è solo la musica dei titoli di testa o di coda. A volte si fanno uso di frammenti di sigla anche durante la narrazione di un film, come il tema di “Poirot” e “La pantera rosa”. In altri casi invece, vengono utilizzate musiche che non fanno parte della sigla, ma sono solo in riferimento a determinate scene e di solito convergono con il visivo, trasportando lo spettatore maggiormente nell’ambientazione. In questo contesto il sax è largamente impiegato per le scene sensuali o sentimentali in cui un lui e una lei si incontrano, come Deckard e Rachel del celebre film “Blade Runner” degli anni Ottanta di Ridley Scott, o come Travis e Betsey nel film “Taxi Driver” di Martin Scorsese.
Solo in un raro caso è stato adoperato per descrivere una ambientazione naturale, selvaggia e primitiva della Nuova Zelanda: nel film “Lezioni di piano” di Jane Champion.

Per ultimo, ho incluso in questa sezione anche il cartone animato “Robots”, e il telefilm per bambini “Sabrina vita da strega”, per mostrare che anche laddove l’erotismo non è esplicito nel visivo, il sassofono, meglio di qualunque altro strumento, riesce a sottintenderlo e anzi, dal momento che in scena vengono mostrare azioni del tutto innocenti, questo messaggio indirizzato agli adulti (magari il genitore che guarda la televisione col figlio) è solamente e interamente affidato al sonoro.


***
Leggi i capitoli precedenti:
lunedì 15 dicembre 2014
Tattiche d'amore
Ieri sera leggevo su un gruppo dei consigli che davano ad una ragazza per "conquistare" un uomo. Delle e vere e proprie tattiche d'amore che usava la nonna, ma pur sempre valide. E un po' di luoghi comuni, come: "In amore vince chi fugge", "Non andarci a letto subito" ecc...
Fra i tanti libri che ho letto, mi è capitato anche di leggere: "Le regole", "Gli uomini preferiscono le stronze" e "Tattiche d'amore". Consigli come: concludi prima tu la telefonata, quando ti chiede di uscire non dire subito sì, rispondi che prima controlli che impegni hai. Non dire mai prima "Ti amo". Non essere sempre disponibile e altri consigli di questo tenore.
La mia opinione? Questi consigli funzionano per conquistare un uomo, ma ne vale il gioco?
Voglio dire: lo scopo è di incontrare la persona giusta o di concludere un affare, in questo caso una proposta di matrimonio?
Perché io credo che quando si riconosce la persona giusta, e anche l'altra riconosce te, le cose funzionano senza tattiche, semplicemente si sta bene insieme e ci si cerca per quel benessere che si prova. L'intesa mentale, c'è o non c'è: non si crea a tavolino. L'intesa fisica, c'è o non c'è. Non si costruisce con delle regole. L'intesa emotiva è spontanea.
Certo le tattiche funzionano, mirano a far sentire "l'avversario", in questo caso l'uomo-cacciatore, sempre in dubbio e con la brama di conquista. Ma in questo gioco la donna non sta bene, perché sono consigli dati senza andare alla radice e senza spiegare perché funzionano.
Sono d'accordo che la donna non dovrebbe vivere attaccata al telefono e non dovrebbe chiamarlo sempre, ma non perché è una delle regole per conquistarlo, e magari è lì che le manca e sta male, ma perché se una persona ha degli interessi, passatempi o qualcosa da fare, come è sano che sia, di conseguenza non riesce a stare ore al telefono con lui. Oltretutto è un problema da risolvere se si sta male e non sarebbe normale che lui, o chiunque, abbia sempre la disponibilità per rispondere e correre da lei in ogni momento.
Concludi sempre tu la telefonata, o l'uscita, o il tempo passato assieme: mah! Non sono sicura che questo consiglio abbia un senso, anzi non ci vedo il senso...
Non andarci a letto subito. Bisogna capire cosa vuol dire "subito". Due che escono la prima volta insieme? Il primo appuntamento: è da considerare se ci si sta appena conoscendo, o c'era prima un legame di altro tipo, come amicizia, conoscenza. Le uscite servono per conoscersi, non per fare numero. Ne' "Le regole", mi pare, che il numero prefissato per fare l'amore fosse il terzo appuntamento. Io con uno che conosco da qualche ora non ci riuscirei, perciò sarei propensa ad aspettare anche senza regole, anche se non saprei quanti appuntamenti, però so di coppie dai rapporti felici e duraturi che sono andati a letto quasi subito, e di altre che non hanno funzionato o si sono lasciate anche se hanno aspettato un anno o di più.
Certo non è la regola, appunto: non ci sono regole. E poiché come ho detto prima, l'intesa fisica non si crea a tavolino, non è che cambi o migliori in base ai mesi di attesa, io credo che è meglio fare quello che ci si sente.
Non più di tre appuntamenti a settimana, se lui vuole vederti tutti i giorni ti deve sposare. Questa proviene da' "Le regole". Oddio, questa è veramente brutta secondo me, lui che mi chiede in sposa perché è l'unico modo per vedermi tutti i giorni... e se poi quando stiamo insieme sette giorni su sette, non ci sopportiamo più, come si risolve? Oramai siamo sposati. Preferirei invece che, avendo passato tanto tempo con me, scoprisse che è quello che cerca e desidera. Tanto se non si sta bene insieme da non sposati vedendosi sempre, non è che dopo le cose magicamente migliorano, anzi, con tutti i problemi di un matrimonio è più facile che peggiorino, meglio saperlo prima.
In amore vince chi fugge. Io in amore sono a volte fuggita, altre ho "inseguito". Quando scappavo "vincevo", certo, loro soffrivano, mi desideravano, ma quando mi fermavo, scoprivamo che non era stato l'amore a spingerli ad "inseguirmi", c'era attrazione da parte loro, sete di conquista, desiderio, bramosia, competizione, quando magari anche qualcun altro mi "dava la caccia", ma le cose non funzionavano, cose legate ad aspetti del carattere, ideologie, abitudini. Io non mi sento vittoriosa quando fuggo e, anche se lo fossi, non mi interessa vincere. Più che fuggire o inseguire, sono stata bene quando davo e ricevevo amore. Senza calcoli, senza interessi e senza ricordarmi quanti minuti sono stata al telefono, se durante la settimana ci siamo già visti tre volte.
Siamo in troppi e diversi perché le regole valgano per tutti. Vi ricordate quella canzone, "Teorema"?
Prendi una donna e trattala male. Io sono stata più conquistata dalle premure e dall'affetto che dalle distrazioni e dall'indifferenza. Ad altre donne invece piace vivere sempre sul filo, in bilico. Perciò con loro funzionerebbe e con me no.
Siamo diverse fra donne, immagino che anche gli uomini fra di loro lo siano.
Ho letto tanto sulle tattiche d'amore e sulle regole. Poi ho chiuso i libri e ho fatto di testa mia: in amore vince chi ama. Questa è l'unica regola.
domenica 14 dicembre 2014
Riconoscere la cattiveria
Questi pensieri, benché nascano dalla mia testa, non sono tutti farina del mio sacco, ricordo che lessi a riguardo un articolo da qualche parte, ma riguardava le persone buone, quali sono, cioè, le caratteristiche tipiche delle persone definibili "buone". Da allora, io che una volta vivevo nel dubbio che le persone cattive non esistano veramente, mi guardo attorno con più consapevolezza e chiarezza.
Da un punto di vista di crescita personale, le persone "cattive" non esistono, nel senso che ci sono persone che non hanno ancora sviluppato alcune caratteristiche come l'empatia o la pietà, e probabilmente non si accorgono del male che fanno, sempre spiritualmente, sarebbero da considerare "più indietro" sulla scala di questa crescita, più "deboli" e quindi da comprendere e perdonare.
Sono però dell'idea, che nella "realtà" e nella vita di tutti i giorni i cattivi esistano eccome, che non bisogna cadere nel buonismo e porgere sempre l'altra guancia, che è da stupidi vivere con le fette di prosciutto sugli occhi, che se si riconosce la cattiveria, bisogna evitarla e/o contrastarla, se non per noi, almeno per chi ci sta attorno.
Le persone cattive esistono?
Hitler lo definireste buono? I killer che ammazzano su commissione, a sangue freddo, i bambini e i disarmati, come li considerereste? Le infermiere e le maestre che negli ospizi o negli asili infieriscono, perché chi dovrebbero accudire non sono in grado di reagire o di difendersi, come li consideriamo? I genitori che ripudiano i figli perché gay, lesbiche, perché non seguono la stessa religione, perché non scelgono il lavoro che loro vorrebbero e li "deludono", li hanno messi al mondo per pura bontà o per avere un riscontro personale?
I cattivi esistono eccome, purtroppo si tende sempre a pensare che ciò che succede agli altri non succederà a noi. Che chi ci sta attorno non può essere cattivo.
State attenti.
Non sempre i cattivi si riconoscono. Alcuni hanno paura della legge, della religione, altri temono i più potenti e si controllano, oppure non hanno il coraggio di esprimere in azioni i loro desideri, altri magari non compiono azioni eclatanti come ammazzare, stuprare, violentare, ma uccidono con le parole.
Sì: le parole possono far ammalare e uccidere lentamente, giorno dopo giorno. Dentro.
Infatti io non sono d'accordo che si possa sempre giustificare quello che viene detto durante i litigi e "scherzando" e lasciare correre tutto con un paio di scuse, come se niente fosse: la maturità umana, se non adulta, comporta anche un certo autocontrollo e non si tratta l'aver detto qualche parola, ma di esprimere pensieri che rivelano cose che non si possono ignorare. Alcuni sbagli più grossi si possono perdonare. Alcune semplici frasi no. Le frasi sono pensieri. Bisogna capire l'origine di tali pensieri.
Dalla parte opposta, anche il silenzio uccide: il silenzio uccide tormentando con il distacco, la freddezza e l'indifferenza, quasi più delle parole. Familiari che non si rivolgono la parola da anni, genitori che non comunicano, verità taciute. Interrogativi senza risposta.
Mi viene in mente l'immagine di un cuore che, senza calore, si raffredda, si congela e si indurisce nel tempo, o di un fiore, che senza sole, senza acqua e cure, muore soffrendo e aridamente. Il silenzio è anche questo.
Cosa bisogna fare allora? Eppure nessuno ci obbliga a subire.
Come si riconosce la cattiveria?
Essere buoni o cattivi è comunque una scelta, che sia questa dettata dall'educazione o dalla convinzione. Nella nostra società ci sono leggi che vietano azioni "cattive" e, poiché la legge vale per tutti, c'è chi non ruba o uccide perché è sbagliato e chi sceglie di non farlo comunque. Qui sta la differenza fra un indole buona e una non buona.
Cosa succederebbe in una società senza leggi?
Io credo che esistano caratteristiche precise ed innate fra una persona "buona" e una "cattiva".
La prima caratteristica che aiuta nelle scelte "buone" è l'empatia.
Preciso: essere solo empatici non fa una persona buona. Non tutte le persone buone sono empatiche e anche le persone cattive possono esserlo. Assieme all'empatia ci vanno altre caratteristiche. Ma cos'è l'empatia?
"L’empatia è la capacità di comprendere a pieno lo stato d'animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Empatia significa sentire dentro [...] significa andare non solo verso l’altro, ma anche portare questi nel proprio mondo. Essa rappresenta, inoltre la capacità di un individuo di comprendere in modo immediato i pensieri e gli stati d'animo di un'altra persona.
L’empatia costituisce un modo di comunicare nel quale il ricevente mette in secondo piano il suo modo di percepire la realtà per cercare di far risaltare in sé stesso le esperienze e le percezioni dell'interlocutore. È una forma molto profonda di comprensione dell'altro perché si tratta d'immedesimazione negli altrui sentimenti".
(Wikipedia)
Scoprii di essere troppo empatica durante la prima psicanalisi: avevo ventitrè anni, ma già durante la mia esistenza, dalla nascita, mi ero accorta di "percepire" cose nell'aria e questa caratteristica mi faceva soffrire tantissimo, io ero spesso malinconica quando guardavo il mondo.
L'episodio che più mi è rimasto in testa fu durante l'adolescenza, quando due miei amici molto vicini si lasciarono e, io in mezzo a loro, mi ritrovai ad ascoltare le confidenze. Una volta sentii portarmi per giorni, il peso e l'immensa tristezza e sconforto che non erano solo miei, li avevo inglobati senza saperlo da loro. Ero io a stare male perché stavo vivendo il loro tradimento, il loro abbandono, il loro fallimento, la loro rabbia e nostalgia. Ma non era la mia storia!
La diagnosi della psicologa, ricordo, mi descrisse come una spugna che assorbiva, senza barriere e senza difese, qualsiasi avvenimento esterno, e il nostro lavoro sarebbe consistito nel costruire una barriera osmotica e una consapevolezza che mi aiutasse a fare passare informazioni non nocive per me. Fu esattamente questa la parola che usò: spugna. Una spugna senza barriere.
L'empatia può essere positiva per certi lavori: per esempio per l'attore, per un artista o anche per uno psicologo, ma senza questa barriera può essere molto nociva. Tante persone arrivano ad ammalarsi o a suicidarsi senza una protezione emotiva, perché non reggono la sofferenza propria e del mondo.
Ho messo l'empatia come prima caratteristica per la scelta di essere buoni, perché capire come si sente l'altra persona quando agiamo in un certo modo, ci da maggiore consapevolezza del male. Ma come ho poi detto, una persona può comunque essere empatica e scegliere di fare male, consapevolmente.
La seconda caratteristica è il senso di gratitudine. Le persone cattive sono spesso anche ingrate.
Perché la gratitudine? Perché ci permette di vedere e ricordare quello che abbiamo ricevuto, anche nei momenti di ostilità e di incomprensione, e questo discorso è rivolto soprattutto alle persone che condividono con noi la famiglia. Ma anche nei rapporti di amicizia.
Ricordarsi di quella volta che quella persona è stata gentile, che ci ha fatto del bene, ci ha cresciuti, aiutati... E' anche questa la differenza fra un figlio che arriva ad odiare un genitore e un altro che, pur avendo subito gli stessi trattamenti di ingiustizia o cattiveria (i genitori possono essere cattivi con i proprio figli? Certo che sì) sceglie solo di allontanarsi, per non soffrire ulteriormente, ma non arriva ad odiarlo.
Non sempre i genitori amano i figli, ma possiamo scegliere di perpetuare l'odio reciproco o solo cercare l'amore da un'altra parte.
Nei rapporti di coppia, spesso ci si lascia e si litiga per soldi, per diritti e priorità che, forse, non sono poi così importanti, ma lo si fa per rivendicazione e per vedere l'altro perdere. Ma tutto quello che c'è stato prima? L'amore finisce, ma il senso di gratitudine di quello che ci è stato dato? E cosa ci è stato dato? Momenti insieme, compagnia, esperienze di vita.
Provare rabbia e delusione è normale per tutti, ma il senso di gratitudine, soprattutto quello spontaneo, permette in un secondo momento di bilanciare gli istanti negativi, di ricordare qualcosa, di scegliere di andare avanti. Le persone ingrate sono spesso infelici e scontente del prossimo, cancellano e danno per scontato che tutto gli sia dovuto, non vedono l'azione di generosità che hanno ricevuto, e l'infelicità, il risentimento che cresce, porta all'odio e alla cattiveria.
La terza caratteristica è il coraggio. La parola deriva dal latino coraticum o anche cor habeo, aggettivo derivante dalla parola composta cor, cordis cuore e dal verbo habere avere: ho cuore.
Per me coraggio significa affrontare le paure, le dicerie, le malelingue, agire anche con la paura. Significa essere coerenti nei confronti degli altri e a volte "sconfiggere" se stessi. Coraggio vuol dire anche cambiare, scegliere la strada difficile per cambiare. Camminare a testa alta, guardare negli occhi. Ci sono persone che passano la vita a giustificarsi: "Io sono fatto così", per concludere in fretta un argomento a loro spinoso, per poi proseguire l'esistenza con le proprie debolezze e continuare a subire. Subire una cattiveria non è essere buoni, ma significa incentivare la cattiveria e permettere che questa si propaghi. Avere coraggio implica in prima persona di rispondere se necessario, di lottare e di fermare la prepotenza.
"Io sono fatto così".
Anch'io sono nata emotiva e impulsiva, anch'io ho subito l'indifferenza, la violenza. Anch'io sono impaziente. Anch'io ho paura. Dicevo sempre di sì. Ero sempre disponibile. Avevo persone che non volevano che cambiassi, che contrastavano la mia voglia di lottare perché così era per loro più comodo. Credete sia semplice? Essere sempre disponibili e gentili era essere buoni?
No.
Sarebbe stato più semplice stare in silenzio, lasciare che quelli più forti ed egoisti di me avessero il sopravvento. Continuare a conservare la pace per evitare contrasti. Stare male e morire dentro, per ritrovarmi un giorno uguale a quelle persone che mi facevano del male. E intanto lasciare che gli altri, con la tacita approvazione e debolezza, proseguissero ad alzare la voce, a pretendere, a umiliare e a schiacciare le personalità accondiscendenti. Ne sarei diventata complice.
Ora dirò una cosa che pare un controsenso: io non sono sicura di essere buona.
Non sono sicura che non farò mai azioni negative e di essere nel giusto.
Non ho messo altre caratteristiche perché non sono in grado di sentirle e di descriverle con mie parole, come la generosità, la pietà, la pazienza. A volte, nonostante tutto, ho il dubbio di fare del male. Specialmente nei momenti difficili, vorrei che anche gli altri sentissero un po' di quello che sto passando, e mi ci vuole tanta forza per soffocare questo aspetto e scegliere di non propagare la sofferenza.
Ho scritto tutto questo per arrivare a questa conclusione. Vivo nel dubbio, in questo dubbio. So di essere empatica e riconosco di essere più coraggiosa della media. Ma se la vita mi portasse a prove ancora più dure e difficili?
Siete così sicuri pure voi di essere buoni? Siete sicuri che chi vi sta accanto sia una persona buona? La cattiveria esiste. Le persone cattive esistono, e se fossimo noi quelle persone?
domenica 7 dicembre 2014
Oh albero!
Perché nella mia testa il Natale è un momento magico? Se penso alla mia vita di adolescente e di adulta, di magico non c'era molto, anzi mi ricordo momenti a casa, vacanze tristi e una certa atmosfera di mesto e di tensione nelle mie immagini. Eppure ogni anno quando arriva, penso sempre alla magia. Per esempio, mi ricordo di una scatola di cartone da cui mia madre tirava fuori palline colorate e festoni e un alberello verde in sala, lei seduta ad addobbarlo, io e mia sorella che giocavamo sul tappeto, l'altra sorella al pianoforte, mio fratello che forse le dava una mano.
Ora mi rendo conto di una cosa: quando eravamo piccoli, conscia del fatto che non avevamo parenti, che non avevamo quel Natale che avevano i nostri compagni di classe con le tavolate a pranzo e a cena e tutte le usanze connesse, che pure andavano a catechismo e ricevevano regali e paghette da nonni, zii e zie. Che magari andavano a sciare o partivano per chissà dove, mia madre si sforzava di renderci quei momenti magici, perché non ci sentissimo diversi e soli, più di quanto fossimo già, diversi e soli.
Così l'albero luccicante e addobbato è sempre stato fatto ogni anno in segno di speranze liete, anche l'anno in cui mio padre era in ospedale in fin di vita o durante gli avvenimenti tristi di qualche membro, come una separazione, un incidente.
Per questo, più che all'allegria, io lo ricordo come un qualcosa di infantile e incantato, come se facesse parte del mondo delle principesse, dove vivono gli eroi, i draghi e i castelli.
Mi ricordo anche delle ghirlande alla porta, la tovaglia rossa, i fiocchi di neve finti e i festoni un po' ovunque.
Non ero sicura di voler fare l'albero quest'anno, che è il primo Natale da sola nella mia casetta, e un po' mi sono fatta forza. Forse non si risolvono i problemi con un albero finto e qualche pallina, ma è bello tornare un po' bambini e sapere ricreare l'atmosfera di sogno conservato nel cuore.
Ci vuole immaginazione, ma a volte il sorriso comincia da queste cose. E poi col sorriso, anche la vita sembra che ti sorrida.
Coraggio a tutti! Vi regalo un po' della mia magia... l'incantesimo è appena cominciato!

Etichette:
Albero,
Bellezza,
Diario,
Fotografie,
Magia,
Morgan cammina sulle nuvole,
Natale,
Ricordi,
Stare bene
Tecniche della comunicazione
Il terzo estratto della mia tesi è incentrato sulle tecniche della comunicazione e sulla nascita e funzione delle colonne sonore. Per quanto possa sembrare strano che in un corso di discipline musicali vi sia dedicato uno spazio a questo argomento, fu invece inerente al mio piano di studi, personalizzato con i corsi e gli esami che scelsi. Studiai le tecniche della comunicazione col Maestro Francesco Gatta e dedicammo ampio spazio al ruolo dell'insegnante e alla didattica, su come cioè trattare gli allievi, comunicare con i ragazzi e sapere "prendere" quelli difficili.
Ma la parte che preferii fu sicuramente la comunicazione multimediale e in particolare quella sulle colonne sonore. Guardammo spezzoni di film, analizzammo pubblicità, sia quella sulle riviste, che in radio e in televisione, ponendo attenzione ad ogni minimo cambio di doppiatore, sfumature di colore nel visivo e messaggi subliminali. Fu sicuramente anche grazie a questo corso secondario che mi venne l'idea per l'argomento della tesi.
***
La colonna sonora è una forma di comunicazione.
La colonna sonora di un film o di una pubblicità è uno degli elementi più importanti per enfatizzare o sminuire un momento narrativo. Spesso la musica viene ricordata ed ottiene più successo della pellicola su cui è stata creata, come nei casi di tanti temi hollywoodiani divenuti standard jazz, e come testimoniano le vendite discografiche di raccolte musicali tratte dai film.
Questo breve capitolo introduce qualche concetto sulla tecniche della comunicazione, per poi passare rapidamente alla storia della nascita del sonoro nel cinema muto, spiegandone le funzioni.
La comunicazione
Comunicare significa “mettere in comune qualcosa”, comunichiamo sempre agli altri qualcosa di noi e riceviamo sempre un messaggio dagli altri anche quando non parliamo, il silenzio è già di per sé una forma di comunicazione.
Quando per comunicare utilizziamo la parola, questa è chiamata comunicazione verbale.
La comunicazione verbale è sempre accompagnata da quella paraverbale, ed è l’insieme di tutte quelle caratteristiche che ci sfuggono al controllo quando parliamo. Questi sono il ritmo, l'intonazione, la velocità, l'enfasi, il timbro della voce, le pause ecc…
L’abbigliamento, la pettinatura, il portamento, il modo di camminare, di guardare, di ridere, fanno invece parte della comunicazione non verbale.
Elementi della comunicazione
La comunicazione coinvolge sempre un emittente, un ricevente e un messaggio.
Codice e canale
Il codice è l'insieme dei segni con cui il messaggio viene formulato. Ad esempio l'uso della lingua italiana.
Il canale è il mezzo attraverso cui passa questo codice, che contiene il messaggio.
Nel comune conversare il canale è rappresentato dalle onde sonore. Altro canale potrebbe essere la comunicazione scritta.
I fattori che interagiscono nella comunicazione
Sono l’identità dei comunicanti e il tipo di relazione che hanno.
Per identità si intende il ruolo che intercorre, per esempio se sono colleghi di lavoro, insegnante e allievo, genitore e figlio oppure compagni di classe.
Questi ruoli sono a loro volta differenziati dal tipo di relazione: di amicizia, concorrenza, diffidenza, affetto, conoscenza ecc...
Altri fattori che interagiscono nella comunicazione sono lo scopo del messaggio, il contesto (se ci si trova in un luogo pubblico o privato, al bar o all'università) e il contenuto (l'argomento del messaggio).
I canali della percezione
Quando l’emittente trasmette un messaggio, questo attraversa il canale e arriva al ricevente, che lo può percepire in diversi modi. I canali in cui percepisce il messaggio sono di tipo:
Uditivo, visivo, olfattivo (per esempio un profumo), gustativo (offrire un cioccolatino ad una donna può racchiudere un preciso messaggio), tattile.
Nella visione di un film, la percezione del ricevente è solo uditiva e visiva. Ancora più limitata è la ricezione attraverso la radio, che coinvolge solo l'udito.
La pubblicità
Il nostro vivere quotidiano è costituito sempre più spesso da musiche di film, telefilm, soap opera, videoclip, spot pubblicitari, videogiochi, suonerie, internet.
Al giorno d'oggi, le musiche che bombardano maggiormente i ragazzi sono quelle che passano in televisione, soprattutto negli spot pubblicitari. In uno spot vi è quasi sempre la presenza di musica.
Il vantaggio della comunicazione musicale è che è una lingua multinazionale e non richiede traduzione.
Jingle e Hedline
Jingle in inglese significa letteralmente “tintinnio”, “filastrocca”. E’ il motivetto portante, la colonna sonora di uno spot televisivo. Potremmo considerarlo il leitmotiv che caratterizza un prodotto o una Casa.
Hedline vuol dire “titolo” ed è lo slogan di uno spot, per esempio: “l'Oreal, perché io valgo”, o “Vodafone, tutto intorno a te”.
Target
In inglese, significa “bersaglio”. E’ il tipo di consumatore a cui uno spot mira, in base al sesso, l’età, la professione, per reclamizzare un prodotto.
Il cinema e la colonna sonora
Quando il cinema era muto ed in sala vi era il forte rumore di fondo del proiettore e del pubblico, la musica serviva ad allontanare tutti questi disturbi. Questo ruolo era affidato ad un pianista, che poteva anche improvvisare, o ad una piccola orchestra che eseguiva brani musicali preconfezionati.
Poiché la musica non doveva a sua volta “disturbare” la comunicazione delle immagini in movimento, doveva trovare una coerenza con questa.
Con l'avvento del sonoro nel 1927, venne a crearsi il problema di far convergere o meno i diversi linguaggi in campo. Ne nacquero dibattiti sulla convergenza o divergenza fra colonna sonora e colonna visiva.
Nei film e telefilm di largo consumo, nei film di animazione per il pubblico infantile e negli spot pubblicitari, la colonna sonora di solito è convergente col visivo, viene definita quindi con il visivo.
Se la colonna sonora diverge dall’immagine è contro il visivo, e per capirla va interpretata in chiave di lettura.
Prendiamo ad esempio la scena dello stupro del film “Arancia meccanica” di Kubrik, a cui fa seguito la rissa tra la banda di Billy Boy e Alex. Il visivo ci mostra una scena drammatica e violenta, ma il sonoro ci fa sentire l'ouverture de “La gazza ladra” di Gioacchino Rossini, una musica sbarazzina e non tragica. Il tragico e il comico convivono nella medesima scena. Ciò non sminuisce la drammaticità della scena, al contrario: perché per Alex una situazione di stupro o rissa viene vissuta con leggerezza.
L'utilizzo della musica divergente all'immagine è tipica dell'Opera buffa del '700, quando alla vicenda presentata seria, l'accompagnamento orchestrale contraddiceva.
La colonna sonora viene anche utilizzata per indicare un preciso periodo storico o uno spazio temporale, una nazione o un personaggio, senza necessariamente andare di pari passo con il visivo. Quando il sonoro ha la funzione di fornire più elementi di quello che viene mostrato, viene definito intorno al visivo.
In una trama di un film per esempio, il personaggio racconta qualcosa del suo passato. Ma nella scena dei ricordi non vi sono immagini che ci indichi il luogo e il narratore non lo specifica, è la musica di fondo de’ “La marsigliese” che fa capire di essere in Francia. Così un’orchestra d’archi o di flauti in legno, un clavicembalo, possono suggerire immediatamente il Barocco (caratterizzazione temporale), dei mandolini tremanti a Napoli (caratterizzazione spaziale).
Oltre il visivo. E’ la quarta ed ultima funzione della colonna sonora e richiede una conoscenza ancor più profonda della musica utilizzata. Amplia notevolmente il significato delle parole e dell'immagine, divenendo elemento essenziale dell'espressione multilinguistica.
Prendiamo ad esempio il film “2001: Odissea nello spazio” del 1968, altro film di Kubrik.
Nella scena in cui l'ominide scopre che l'osso che tiene fra le mani può diventare un prolungamento del suo braccio, o un'arma, uno strumento, sentiamo il tribale martellare dei timpani.
La scena a poco a poco si dilata e cominciano le prime battute di “Also sprach Zarathustra” di Richard Strauss.
Strauss compose la musica ispirandosi espressamente ad un testo di Nietzsche:
“Zarathustra scese giù dalla montagna [...] Io porto un dono agli uomini [...] Avete percorso la via del verme all'uomo, e vi è ancora molto verme in voi. Un tempo eravate scimmie e anche ora l'uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia [...] Ecco, io vi insegno il superuomo”.
Il testo di Nietzshe è convergente con la colonna visiva, ma per essere richiamato alla mente è necessario che lo spettatore lo conosca, e conosca a fondo la musica di Strauss per ricollegarla.
Sonoro intradiegetico e extradiegetico
Per diegesi si intende il contenuto di una qualsiasi narrazione.
La musica intradiegetica è quella che costituisce parte della vicenda, e che in quanto tale viene udita anche dai personaggi (per esempio suoni di carillon o rumori facenti parte della storia, o motivi musicali eseguiti dai personaggi del film), mentre quella extradiegetica ha funzione di commento o di sottolineatura sonora ed implica di conseguenza la presenza di un narratore.
Sigla, siparietto e coda
La sigla è la colonna sonora posta prima di un film o di un programma e ne annuncia l’inizio.
Il siparietto è posto circa a metà di una narrazione ed indica un'interruzione per la pubblicità. E’ molto più breve, informa che è finito un primo tempo, ma che la vicenda riprenderà.
La coda è la colonna sonora posta al termine della narrazione e ne indica la fine. Può essere diversa dalla sigla.
Il silenzio sonoro
La musica è fatta sia di suoni che di pause. La comunicazione funziona sia col verbo che col silenzio.
L’assenza di suono è fondamentale anche nel cinema per creare momenti di tensione o atmosfere incantate. “Shining”, di Kubrik, alterna aspre sonorità ad improvvisi silenzi, ma sono proprio le scene di silenzio quelle che fanno rimanere col fiato sospeso.
Ne' “Gli uccelli” di Alfred Hitchkock del 1963, la scena finale mostra una gran massa di volatili aggressivi che rimangono enigmaticamente quasi immobili. Non vi è musica, solo il silenzio, che in realtà è una sorta di sordo ronzio del motore, è un momento carico di suspense.
Il silenzio assume quindi una funzione sonora.
***
Leggi i capitoli precedenti:
venerdì 5 dicembre 2014
Punti di vista (due casi)
La questione dei diversi punti di vista mi ha sempre attratta e affascinata, soprattutto nei romanzi. Per questo i gialli sono uno dei miei generi preferiti: ognuno dei sospettati racconta la propria versione di uno stesso omicidio. Una mente geniale e perspicace mette insieme i tasselli e risale alla verità.
Devo ammettere che spesso riesco a risolvere i misteri prima che sia l'autore a rivelarlo. Per me i delitti romanzati sono una sfida intellettuale e psicologica, sia per la risoluzione dei casi, che nei confronti dello scrittore stesso. Al secondo o terzo romanzo di uno stesso autore, mi piace capire la sua psicologia e il suo metodo narrativo e a volte risolvo proprio perché ragiono: "Ti conosco, presenti questa scena... non hai descritto fisicamente bene quel personaggio, hai dato troppa importanza a quel momento e solo una riga di descrizione a quell'altro: ho capito!"
Un romanzo esemplificativo è "La quarta verità" di Iain Pears: un assassinio ambientato nella cupa Londra del 1600, una ragazza accusata, quattro verità. Qualcuno mente, qualcuno non è al corrente di tutto, solo la quarta versione rivela l'insospettabile verità.
Mi piace per lo stesso motivo la scrittrice di fantasy Marion Zimmer Bradley, che spesso fa scrivere in prima persona ai suoi personaggi delle pagine di diario o di lettere, che vanno a completare il quadro dei suoi racconti, da lei narrati in terza persona come semplice cronista.
Nel mio piccolo, anch'io ho vissuto due strani casi con diversi punti di vista.
Non sono delitti (per fortuna) o storie avventurose, ma spesso li ricordo e racconto, questa sera mi sono tornati in mente e voglio narrarli pure a voi.
Il primo caso, coinvolge due mie amiche che non sapevano nulla l'una dell'altra. Era una domenica verso l'ora di cena e squillò il mio telefono.
- Pronto?
- Tha, sei libera? Ho voglia di chiacchierare, sono in coda a Iseo, qui è lunga. Che scatole! Che sfortuna! - Era scocciata, annoiata, stizzita e stanca e voleva solo poter tornare a casa.
- Certo! Perché coda?
- Incidente in galleria, una macchina e una moto. E' morto qualcuno. Forse quello in moto. Starò ore qui!
In effetti, le feci compagnia al telefono, per ammazzare il tempo, circa un'ora.
Qualche sera dopo uscii con l'altra mia amica, mi raccontò che era triste perché un suo amico era morto. Mi raccontò la sua versione:
- Quello che mi fa rabbia è che non sarebbe morto, si è solo ferito il tipo in moto! Erano in due in macchina, il mio amico, passeggero, si è visto arrivare in contromano la moto, gli stava venendo addosso, ha avuto terrore e gli è venuto un infarto - era addolorata, arrabbiata, non capiva, non accettava.
Solo quando mi disse:
- Domenica scorsa, in galleria, ad Iseo - collegai i due eventi.
Il secondo caso risale a molti anni fa, fu dopo un Capodanno, l'alba del 1° gennaio, anno 2000. Vivevo in una zona quasi ai piedi del colle Maddalena e per qualche misterioso motivo, io che di solito non esco dal letto caldo di prima mattina neanche sotto tortura, quella volta mi ritrovai a passeggiare solitaria su per i colli.
Camminai, camminai su per le salite. Non so a cosa pensai. Tutto era terso, gelido, silenzioso e le villette addormentate. La grande festa era finita, eravamo appena entrati nel nuovo millennio.
Poi, mi ricordo di un botto violento. Proveniva da vicino a me, da una di quelle villette. Troppo vicino a me.
"Qualcuno festeggia ancora" pensai. E di nuovo silenzio di tomba. Il primo giorno dell'anno. La città vista dall'alto, con i tetti rossi.
Tornai giù. Rientrai in casa: c'era un tepore piacevole in contrasto col freddo mattutino. Le palpebre mi crollavano, ritornai nel letto a dormire.
A casa mia non si compravano quotidiani, perciò non ricordo e non mi spiego come mi capitò quella volta il giornale fra le mani. Forse ero ad un bar o in una sala d'aspetto. Un titolo attirò la mia attenzione: il primo gennaio, un uomo si era sparato un colpo alla testa. L'ora e il luogo corrispondevano al momento in cui avevo sentito quello che avevo creduto fosse un botto, invece era stato uno sparo.
Chissà chi era. Lui credeva di essere solo in quell'alba silenziosa, quando decise di abbandonare la vita. Non sapeva che a qualche metro di distanza, io avevo assistito ignara al suo suicidio.
giovedì 4 dicembre 2014
Le origini del jazz
Questo è il secondo capitolo della mia tesi, dopo aver parlato della nascita e dello sviluppo del saxofono, scrissi un breve capitolo sulle origini del jazz. Non ne trattai lo sviluppo e l'evoluzione perché un capitolo non sarebbe bastato e non ne avevo le competenze, e anche perché mi sarei allontanata dal tema del mio progetto, che era analizzare la comunicazione multimediale e l'utilizzo del saxofono nei vari canali quali cinema, pubblicità e televisione.
Già dalla nascita il sax fu uno strumento vittima di ostilità e pregiudizi, come visto nel primo capitolo, il destino volle che anche il genere musicale a cui venne associato era mal visto e considerato "degenerato".
Questo secondo capitolo fu necessario per capire l'ottica collettiva associata allo strumento presso il vasto pubblico, ad esempio come in pochi sanno e si ricordino che il sax nacque come strumento classico e il suo creatore lo volle in un ambiente accademico, e il suo conseguente utilizzo in particolari scene di film e persino cartoni animati dedicati ai bambini.
***
In genere, il jazz è sempre stato rappresentato come il tipo d'uomo con cui non vorreste far uscire vostra figlia.
DUKE ELLINGTON
Il jazz è uno dei fenomeni culturali e sociali più importanti del secolo scorso e la forma musicale che, assieme al blues, ha dato maggior spazio al sassofono.
Come il cinema nasce quasi nello stesso periodo, alla fine del XIX secolo. Dal connubio di queste due forme artistiche sono nati numerosi film entrati nella storia del cinema. Storie che parlano di jazz, dei personaggi o semplicemente ne utilizzano la musica come colonna sonora. Biografie di grandi sassofonisti come Charlie Parker (Bird, Clint Eastwood, 1988) e Lester Young (‘Round Midnight, Bertrand Tavernier, 1986).
Il jazz è un “bastardo”, è il prodotto in continua evoluzione di tradizioni e culture differenti fra bianchi e neri, fra Europa e Africa, fra musica classica e musica leggera.
Questo capitolo vuole essere una breve sintesi delle sue complesse origini, a cominciare dal fenomeno della schiavitù che, importando i neri in America, ne portò anche le tradizioni e le concezioni musicali.
La schiavitù
Nel 1619 venne registrata la prima tratta di schiavi neri dall'Africa alle nuove province americane bisognose di mano d'opera, un fenomeno destinato a durare circa duecento anni. In tutto, gli schiavi deportati furono almeno dieci milioni.
Nel 1649 la popolazione della Virginia contava quindicimila bianchi e trecento neri, per un rapporto di uno a cinquanta, ma nella seconda metà del secolo il rapporto si invertì (cinquanta neri per un padrone bianco). I neri erano concentrati nella zona del sud agricolo dove venivano impiegati nell'agricoltura, nella coltivazione del tabacco e del cotone. Mentre al nord prevaleva ancora la popolazione bianca. Nel 1800 gli schiavi neri erano già un milione, e allo scoppio della Guerra Civile erano saliti a quattro milioni e mezzo.
Nel 1865 la schiavitù venne abolita con la guerra di Secessione, ma la condizione del nero peggiorò: finché serviva al bianco per lavorare aveva un luogo dove vivere e mangiare. Con la libertà si ritrovò a dover emigrare verso il nord, oltre il Mississippi verso le grandi città, per cercare un lavoro e condizioni di vita migliori, ma fu vittima del problema sociale del razzismo che sfociò in molti casi in atti di ostilità e violenza da parte del bianco contro il “negro”.
Il nero non poteva frequentare luoghi e servizi pubblici riservati ai bianchi. Nel 1883 la Corte Suprema gli tolse gran parte dei diritti che erano stati loro promessi. Negli anni '90 diversi stati del Sud non consentivano ancora ai neri di votare. La maggior parte di essi decise di rimanere perciò nei luoghi nativi.
Il blues rurale
È una forma musicale. Nacque da schiavi liberi, ma vittime del razzismo, nel tardo ‘800. Fu il prodotto di una comunità, una alta forma lirica musicale forgiata dal popolo afroamericano, che aveva armonie e ritmi sconosciuti per i bianchi.
La vita nei campi era dura e faticosa, ma la musica e il canto collettivo gli faceva sopportare le fatiche e la sofferenza. Cantava sempre in prima persona; anche quando raccontava avvenimenti accaduti altrui, come l'inondazione del Mississippi. Il cantante cieco parlava addirittura di cose che vedeva con i suoi occhi.
I testi, spesso su un solo accordo e senza una forma precisa, descrivevano le vicende del contadino, mai di politica: egli non contestava mai. Ma più spesso parlavano di sesso. Il sesso non aveva tabù, la masturbazione, l’omosessualità e l’impotenza venivano cantati con l’uso di metafore, ma non per pudore, bensì perché non essere in grado di raccontare le cose indirettamente era segno di incapacità intellettuale. Così l’impotenza diveniva: “la mia matita non scriverà più”.
Nonostante si parlasse del proprio dolore, vi era sempre un spiccata nota di ironia, di un particolare senso dell'umorismo che non lo faceva sembrare mai ad un canto di dolore puro. Questo tipo di humor, così come la musica, era di difficile comprensione per un bianco.
Era questo il blues rurale, la vera voce del contadino nero e musicalmente non si evolse mai.
Il blues che invece conosciamo fu una trovata commerciale ben studiata e concepita.
Il nero schiavo delle origini non possiede nulla. Il nero schiavo delle origini canta il suo dolore e non possiede uno strumento per accompagnare il suo canto. Non esiste uno schiavo nero che sorridendo spensierato strimpella il suo banjo seduto su una balla di cotone. Questa è solo una creazione romantica, non è la realtà. Solo col tempo gli strumenti sono entrati nella vita del nero e, anche quando molto più tardi il jazz era solo quasi esclusivamente strumentale, il suono che ne usciva era assai simile alla voce umana.
VILLARI CINZIA, attrice teatrale
Blues commerciale o jazzistico
Verso la fine degli anni ’10 William C. Handy decise di maneggiare il blues rurale, lo inquadrò in dodici o sedici battute, gli diede una forma con delle armonie, apportò alcune modifiche e, poiché da solo non si reggeva, lo inserì nel ragtime e lo lanciò, facendolo così entrare dalla porta di servizio della musica leggera.
A differenza del blues rurale i testi delle canzoni potevano essere anche in terza persona e si alternava fra tonalità maggiore e minore.
Nacque il blues jazzistico che si impose come forma predefinita del blues.
Le altre radici del jazz
Mentre il blues commerciale prendeva vita e veniva lanciato, gli avvenimenti storici e musicali delle altre città confluivano a dar vita al jazz.
A Cuba e in seguito a New Orleans, veniva rappresentata molta musica classica proveniente dall'Europa. In particolare le opere di Giuseppe Verdi. Ma dall’Europa venivano anche le marce militari.
A Broadway nascevano i musical, intanto nasceva la musica a stampa e l'editoria musicale era sparsa oramai in tutto il paese: Philadelphia, Boston, New York.
Le controdanze caraibiche subivano influenze musicali importati dagli schiavi neri del sud, introducendo nuovi elementi ritmici, e al tempo stesso “contaminavano” a loro volta la musica statunitense con lo spostamento verso il nord dei musicisti neri.
Dai primi del '900 il fenomeno dell'immigrazione portò a New Orleans anche inglesi, francesi, spagnoli ed ebrei che si trovarono a convivere con creoli e schiavi neri.
La nascita del jazz
Il confluire di questi avvenimenti diede vita al jazz, che fin dall’inizio subì il destino di crescere e di propagarsi nei luoghi legati al vizio, alle bische, nei bordelli e nei saloon.
Anche il blues commerciale nacque in città più ricche di vita notturna come New Orleans, Kansas City e Memphis.
In queste grandi città, i musicisti neri di musica classica erano esclusi dagli ambienti colti riservati ai bianchi, e non trovando un impiego, avevano come mecenati i padroni dei bordelli. Per sbarcare il lunario proponevano musica leggera, d'intrattenimento. Nei loro biglietti da visita alla voce “musica d'intrattenimento” era indicato il jazz.
Questo creò nel tempo il luogo comune che i neri e i musicisti jazz non sapessero leggere la musica e che suonassero solo ad orecchio.
Il sassofono nel jazz
Il jazz è quasi al giro boa del primo secolo: un’epopea che se dovesse trovare in uno strumento musicale il suo vessillo, questo non potrebbe che essere il saxofono. I saxofonisti hanno dominato la storia della musica sincopata.
LUCA BRAGALINI, musicologo
Il sassofono comparve negli spettacoli vaudeville (genere di spettacolo comico che spopolò negli Stati Uniti tra l’Ottocento e il Novecento) dove si rivelò virtuosistico, con i suoi arpeggi, le scale cromatiche, i fraseggi, le terzine di crome e i tripli staccati. I sassofonisti vibravano più violinisticamente che clarinettisticamente, e alla fine degli anni Venti il sax divenne il simbolo del Jazz.
Dalla seconda metà degli anni Venti, qualsiasi formazione jazzistica ospitava nel suo organico uno o più sassofoni, anche quando non era presente la figura del sassofonista, veniva richiesto al clarinettista di suonarlo. Conquistò anche New Orleans e il Mississippi. Prima di allora, sebbene la “Patrik Gilmore Band” includesse un quartetto di sax già nel 1870 e la “Marine Band” di Sousa ne aveva nel suo organico dal 1880, le orchestrine di teatro non lo inclusero fino, ad almeno, al 1916.






***
Leggi il capitolo precedente: Storia del sax
Leggi il capitolo successivo: Tecniche della comunicazione
Leggi il capitolo successivo: Tecniche della comunicazione
mercoledì 3 dicembre 2014
Storia del sax
Da oggi comincerò una nuova sezione dedicata al sassofono, lo strumento con cui mi sono diplomata e in seguito specializzata in conservatorio.
Questi che pubblicherò, sono estratti della mia tesi presentata per l'esame del biennio di II livello, dal titolo:
"Cinema, spot e televisione, il ruolo del sax nella comunicazione multimediale".
La prefazione della tesi, che fu un vero affronto per l'ambiente accademico, la pubblicherò nella apposita pagina intitolata "Il sax", in cui raccoglierò man mano i link in ordine dei vari post, per consentire così di trovare più facilmente e velocemente i diversi capitoli.
Spero che questa nuova iniziativa vi piaccia!
Il primo capitolo che scrissi fu: "Storia del sax".
Fu inventato da Adolphe Sax nel 1841 e brevettato il 22 giugno del 1846.
Questi che pubblicherò, sono estratti della mia tesi presentata per l'esame del biennio di II livello, dal titolo:
"Cinema, spot e televisione, il ruolo del sax nella comunicazione multimediale".
La prefazione della tesi, che fu un vero affronto per l'ambiente accademico, la pubblicherò nella apposita pagina intitolata "Il sax", in cui raccoglierò man mano i link in ordine dei vari post, per consentire così di trovare più facilmente e velocemente i diversi capitoli.
Spero che questa nuova iniziativa vi piaccia!
Il primo capitolo che scrissi fu: "Storia del sax".
***
Fu inventato da Adolphe Sax nel 1841 e brevettato il 22 giugno del 1846.
Nonostante il suo corpo in ottone, il sassofono fa parte della famiglia dei legni perché ha tra i suoi antenati il flauto ed il clarinetto, da cui ha ereditato la struttura, ma non il materiale.
Adolphe Sax
Antoine-Joseph Sax, detto Adolphe, nacque a Dinant, nel Belgio francofono. Ereditò dal padre, musicista e costruttore di strumenti musicali, la stessa passione. Costruì come lui flauti, clarinetti, fagotti e serpentoni già all’età di undici anni. L’azienda dei Sax godeva di ottimo prestigio e di contatti per la fornitura di strumenti per orchestre, bande e fanfare militari delle principali città della regione. Dinant era inoltre una regione ricca di giacimenti di metallo, e il molto rame a disposizione favorì la costruzione di strumenti in ottone.
Sax partecipò all'Esposizione Industriale Belga quando aveva solo sedici anni, esponendo flauti perfezionati nella meccanica e clarinetti in avorio. Dal 1828 studiò flauto, clarinetto ed armonia alla "Ecole Royale de Musique" a Bruxelles.
Nel 1844, dopo molti esperimenti, elaborò la sua celebre legge acustica: "il timbro di un suono è determinato dalle proporzioni della colonna d'aria e non dal materiale del corpo che la contiene." Applicò questa intuizione alle sue costruzioni, primo delle quali un nuovo modello di clarinetto basso che brevettò all'età di 20 anni e, anni dopo, per la realizzazione del sassofono.
Il sassofono
Il 1841 fu l’anno di nascita del sassofono. Sax lo riteneva la sua più grande invenzione, e lo presentò all’esposizione di Bruxelles. Nelle sue intenzioni doveva essere uno strumento con la stessa ricchezza espressiva degli archi ma con maggior volume, maggior estensione e facilità d’emissione e con una diteggiatura intuitiva e identica per tutta la famiglia. Per costruirlo, prese dai legni l’ancia semplice e il sistema di chiavi, e dagli ottoni la forma del canneggio. Utilizzò per la tamponatura pelle d’agnello e, in corrispondenza dei fori, dei corti camini per chiuderli perfettamente e favorire l’intonazione.
Da subito il sassofono creò controversie, perché gli altri costruttori lo accusarono di non aver creato nulla di nuovo. Sax li sfidò a costruire uno strumento con un timbro identico, e allo scadere dei cinque anni previsti vinse la sfida. Brevettò il sassofono nel 1846.
Il dibattito
Il sassofono è una pura invenzione o una evoluzione dei suoi presunti antenati?
Alcuni lo ritennero una naturale evoluzione dell'oficleide o del serpentone, altri il risultato delle sperimentazioni operate da Sax sul clarinetto basso. Sax stesso inizialmente lo chiamò “nuovo oficleide a bocchino”, fu Berlioz a chiamarlo “saxophone”.
L'oficleide “Ophis Kleis”, o serpente a chiavi, risale al 1820, era costruito in ottone. Cedette il posto a fine '800 al trombone e al basso tuba.


Il serpentone risale al 1500 circa, era in ottone ricoperto di cuoio con un corpo conico e un bocchino emisferico. Aveva sei o nove fori ed era in si bemolle. La sua estensione era di oltre otto ottave. Fu dimenticato con l'avvento del trombone basso e dell'oficleide.

Clarinetto di Desfontelles: risale 1807 circa, aveva il padiglione ricurvo con una vaga somiglianza al sassofono. Ma produceva suoni armonici in dodicesima anziché in ottava.

Il sassofono in Francia
Nei primi venticinque anni dalla sua invenzione, il sassofono raggiunse il successo, grazie soprattutto alla sua introduzione nell’organico delle bande militari francesi. Deluso infatti dal risultato dell’esposizione di Bruxelles, Sax si trasferì a Parigi, dove ottenne l’appoggio di Berlioz e l’apprezzamento del generale De Rumigny, che ritenne il sax uno strumento adatto per l’esercito militare. Berlioz parlò con benevolenza del sassofono, scrivendone anche sui giornali, e compose e trascrisse alcune sue composizioni perché venissero eseguiti con gli strumenti di Sax.
A Parigi, Sax decise quindi di impiantare la sua fabbrica, e fu anche il primo insegnante di sassofono al Conservatorio Superiore di Parigi, dal 1857 fino alla chiusura, nel 1870, dovuta allo scoppio della guerra franco-prussiana. In questo periodo cercò di promuovere il sassofono non solo come strumento per bande militari, ma incitò i suoi colleghi a scrivere brani per sax e pianoforte e composizioni originali da concorso. A questa iniziativa aderirono l’insegnante di clarinetto Hyacinthe Klosè, il clarinettista Jerome Savari e il compositore e direttore d’orchestra belga Jean-Baptiste Singelée. Fu questo il momento di successo più alto ottenuto dal sassofono nell’Europa del 1800.
Dopo la chiusura della classe di sassofono al conservatorio, Sax si offrì di continuare ad insegnare gratuitamente, consapevole del fatto che senza un insegnante non potevano esserci nemmeno studenti, ma la sua offerta fu respinta. Continuò allora la sua attività di costruttore, ma gli altri fabbricanti di strumenti erano decisamente ostili e, con le loro azioni, lo portarono due volte alla bancarotta. Fu boicottato in tutti i modi, incendi dolosi scoppiarono nella sua azienda, i suoi duecento dipendenti furono intimoriti o lusingati per costringerli a licenziarsi, subì numerose aggressioni fisiche e venne trascinato in tribunale in innumerevoli processi.
Tutti i suoi tentativi di ottenere giustizia furono vani e morì in miseria nel 1894 a Parigi.
In assenza di un insegnante vennero nel tempo sempre meno esecutori e i compositori non composero più musica per sassofono, che venne allontanato dal mondo accademico. Da questo momento in poi, il sassofono in Francia e in Europa precipitò nel buio e venne completamente dimenticato per ben settantadue anni.
Il sassofono negli Stati Uniti
Nel 1853, mentre in Francia il sassofono stava conoscendo un periodo di prosperità e diffusione, l’orchestra diretta da Antoine Jullien, di cui faceva parte il sassofonista Edouard Lefèbre, tenne alcuni concerti in America ed ottenne un enorme successo.
Qualche anno dopo Lefèbre si stabilì definitivamente negli Stati Uniti e nel 1873 entrò a far parte della 22nd “Regiment of New York” Band diretta da Patrick Gilmore, acquistando popolarità grazie anche alla sua tecnica stupefacente. Mentre in Europa lo strumento di Sax veniva dimenticato, in America la sua fama cresceva smisuratamente. Gli americani se ne innamorarono subito.
Nel 1895 Charles Gerard Conn, mostrò un vivo interesse per le sue potenzialità commerciali e fondò la prima azienda negli Stati Uniti per la produzione di sassofoni in serie. Lefèbre fornì il suo sax contralto “Adolphe Sax” come modello per la costruzione dei primi sassofoni e ne fu uno dei supervisori delle varie fasi di costruzione, i risultati furono eccellenti.
Il sax venne impiegato dappertutto, nacquero le prime orchestre composte solo da sassofoni, con l'impiego di tutte le sue taglie. Grazie ai neri, gradualmente si affermò nel jazz e divenne ineguagliabile per l'improvvisazione. Duke Ellington nella sua orchestra adottò due alti, due tenori ed un baritono.
Negli anni Venti nacque una vera e propria “sax-mania”.
Le bande militari e civili adottarono parecchi sassofoni di diverso taglio nel loro organico, e come un tempo le bande europee fecero conoscere agli americani il sassofono, ora le orchestre americane in tournee in Europa lo riportarono a casa, determinando il suo rilancio e un ritrovato interesse anche in Francia, la sua patria.
Nelle scuole di composizione francesi della nuova generazione vi era un clima completamente diverso. I giovani compositori anelavano alla ricerca di nuove soluzioni timbriche, di antiaccademismo, e questo strumento “americano” sembrava soddisfare le loro richieste. Le nuove composizioni fondevano i suoni e i ritmi del jazz con i canoni stilistici della musica colta. Così compositori del calibro di Ravel e Milhaud si interessarono spontaneamente e composero musica per sassofono.
Il sassofono in Austria e in Germania
Alla fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento, il sax era escluso dalle bande militari in Austria e in Germania perché considerato strumento “non tedesco”. Tuttavia, durante gli anni Venti lo si poteva trovare nei cabaret, nelle music-hall e nelle orchestre d’intrattenimento che suonavano il jazz. Diventò così sempre di più il simbolo di una nuova concezione sociale, una società che rappresentava la libertà d'espressione. Diversi compositori austriaci e tedeschi, alla ricerca di nuove forme artistiche, si interessarono, e fu grazie a Hindemith, Schönberg, Berg, Blacher, Hartmann e molti altri che lo troviamo nelle composizioni sinfoniche e da camera. Queste nuove musiche d’avanguardia erano però reazionarie per la morale borghese, e l’utilizzo del sax nel jazz e nelle music-hall diede origine nel tempo a pregiudizi sul suo conto. Per lo più molti di questi compositori erano ebrei, i nazisti cominciarono a considerarlo il simbolo di un'arte degenerata e soprattutto dei neri, e nel 1933 il ministro di propaganda nazista ne vietò l'utilizzo e lo boicottò.
I migliori compositori tedeschi furono così sradicati e fuggirono.
A causa della storia e della politica, in Austria e in Germania non vi furono più interpreti per ben due generazioni, e nelle composizioni del periodo il sassofono risulta inesistente.
***
Alcuni compositori tedeschi e austriaci che inclusero il sassofono nelle loro composizioni:
Arnold Schönberg, compositore austriaco, nacque a Vienna il 13 settembre 1874 da un commerciante di origine ebraica. L'avvento al potere di Adolf Hitler, nel 1933, lo costrinse a fuggire in Francia, nello stesso anno ottenne asilo negli Stati Uniti, dove trascorse il resto dei suoi anni.
Alban Marie Johannes Berg, compositore austriaco, nacque a Vienna il 9 febbraio 1885. Fu allievo di Schönberg. La sua musica si impose rapidamente in tutta l'Europa centrale fino all'avvento di Hitler. Le sue composizioni vennero censurate come musica degenerata, un marchio d'infamia che privò l'Austria del tempo dei suoi migliori talenti musicali.
Paul Hindemith, musicista e compositore tedesco, nacque ad Hanau il 16 novembre 1895. La sua musica venne condannata come "degenerata" dai nazisti, e nel 1940 emigrò negli Stati Uniti.
Boris Blacher, compositore tedesco, nacque agli inizi del Novecento. La sua carriera venne interrotta da nazionalsocialismo. Fu accusato di scrivere musica degenerata e perse la cattedra al Conservatorio di Dresda.
Karl Amadeus Hartmann, compositore tedesco, nacque a Monaco di Baviera il 2 agosto 1905. Durante il regime nazista si ritirò dalla vita musicale tedesca e non consentì che le sue opere fossero eseguite in Germania. Guadagnò tuttavia fama all'estero.
domenica 23 novembre 2014
Domenica
Questa mattina mi sono svegliata un po' triste, non sarei più scesa dal letto, succede. Pensavo alla mia vita fuori dalle coperte, e volevo rifugiarmi ancora più sotto. Nel frattempo controllavo il mondo dal telefono, spiando gli altri, protetta da uno piccolo schermo. Diversi sono i motivi per cui non impazzisco al pensiero di affrontare le giornate. In mezzo al caos e al turbine dei pensieri che mi animavano la testa doloranate, c'erano anche frasi deprimenti come:
Quell'esercizio è difficile, non ne esco più.
Non ho tempo per studiare.
Non ho voglia di studiare.
Fa freddo.
Devo studiare.
Devo lavorare.
Devo andare.
Devo lavare i piatti.
E' tardi.
Mi sento sola. Mi sento stanca.
Non ce la faccio.
Ieri mattina mi sono sentita così e poi mi è balenato in mente l'invito di una mia vecchia compagna dell'asilo, che ora ha pubblicato un libro. Avevo ricevuto l'invito tempo fa, poi, presa troppo dai miei pensieri, me ne sono scordata. Allora le ho risposto che volevo acquistarne delle copie e lei, felice, mi ha invitata ad un incontro per la consegna, con altre ragazze che non so chi siano. Da quanto tempo non la vedo? Da quando ho finito l'asilo. Ci rivedremo. Ecco.
Mi sento sola.
Quando ci si sente così, allora non bisogna aspettare che la vita ti porti il servizio in camera, bisogna fare qualcosa.
E ho anche risolto il pensiero di alcuni regali di Natale.
Di solito mia madre mi aspetta a pranzo da lei per le undici e mezza. Ogni giorno mi esercito al pianoforte, poi cerco di arrivare in tempo per quell'ora perché so che mi aspetta, altrimenti la roba si raffredda, lei ha già mangiato e mi chiede come mai sono arrivata tardi. A volte per arrivare in orario, non lavo i piatti della colazione e lascio il letto disfatto, poi mi butto giù per le scale.
Durante la settimana, quando già ho l'ansia di rispettare la tabella di marcia, mi è molto di aiuto il suo intervento, non dover cucinare e riordinare a pranzo mi risparmia tempo e fatica.
Ma oggi l'orologio andava veramente veloce e l'ansia cresceva insieme al rumore delle lancette.
Visualizzavo il numero 11:30 e gli esercizi al pianoforte e mi sentivo inchiodata, impotente.
Perché?
Chi mi obbliga a studiare?
Cosa cambia se oggi salto il pranzo da lei?
Qui c'è il telefono, basta comporre il numero ed avvisarla.
E se oggi suonassi quello che mi pare e piace e lasciassi da parte la tecnica?
Oggi è domenica. Non dev'essere un giorno di routine come gli altri.
Spezza la routine
Ho chiamato mia madre.
Mi sono appena svegliata, ho i mestieri, devo ancora iniziare a studiare. Vengo tardi. Non lo so a che ora, dopo. Quando finisco.
Le cose sono subito cambiate e mi sono sentita meglio. Oggi è domenica, non devo avere orari, non devo aprire scuole ed essere puntuale, con allievi che mi aspettano. Non devo rendere conto.
In un lampo di illuminazione, ho chiarito che le scadenze me le davo io da sola, e mia madre non mi imponeva nulla, ero io che temevo ci rimanesse male, in realtà era tranquilla. Senza orari, significa esercitarmi e ripetere le cose fino a quando mi stufo, senza dover controllare l'orologio. Così andava già meglio, non va bene esercitarsi sempre con un occhio sull'ora e l'altro sullo spartito.
E poi sì, oggi suono quello che voglio, mica ho il maestro, e anche se lo avessi? Non mi sgrida se le cose mi vengono in due settimane anzichè in una, sono anch'io tollerante con i miei allievi, perché gli altri non dovrebbero tollerare me? Perché sono più severa con me che con gli altri?
Ma la voglia di suonare viene suonando e, dopo un po', mi sono messa anche a fare gli esercizi, non perché dovevo, ma perché migliorano la tecnica e io voglio migliorare.
Meglio di qualche giorno fa, sto migliorando.
Meglio di qualche giorno fa, sto migliorando.
Ho pensato che, quando le giornate cominciano a pesare, forse è il caso di fare un elenco di quello che ci preoccupa, provare ad immaginare cosa succederebbe se "deludessimo" e non fossimo in grado di soddisfare dei "requisiti" o ce ne fregassimo un po', e poi... immaginare il seguito di queste nostre grosse mancanze.
Cosa succederebbe? Credo che per la maggior parte delle preoccupazioni, le cose per gli altri proseguirebbero lo stesso e abbastanza serenamente, anche senza che ci diamo troppo da fare.
Quando mi sono sentita meglio, poi sono andata a pranzo da mia madre, non le ho fatto compagnia durante il pasto, perché mi sono ritrovata a pranzare da sola, ma mentre sistemava la cucina e mi parlava di questo e di quello. La roba si era raffreddata, ma è bastato mettere qualche secondo nel microonde.
Dovrò ricordarmi di questo: é andata bene lo stesso.
La mia leggerezza, dov'è? Io non dovrei essere così.
Ho bisogno di Aslaath.
sabato 22 novembre 2014
Statistiche
Siccome voi sapete molte cose di me, visto che mi seguite, e io non so nulla di voi, cerco di sapere chi siete tramite le statistiche che Google mi manda. Da una settimana ho fatto caso ad una cosa: di giorno il numero delle visite non sale di molto, invece durante la notte ne capitano dalle dieci alle trenta circa (memorizzo il numero del contatore prima di addormentarmi e poi controllo al risveglio). Questa cosa mi ha incuriosita: o siete un popolo di nottambuli, oppure c'entra qualcosa il fuso orario?
Oggi ho provato a fare degli stamp delle statistiche del mio blog per studiarle con voi.
Queste sono le visite suddivise per paese, browser e sistema operativo da quando ho aperto il blog, se le immagini sono piccole, basta che ci clicchiate sopra per ingrandirle.

Ok, tante visite dall'Italia è normale, ma i lettori delle altre nazioni come fanno a capire quello che scrivo? Se fosse una visita capitata per sbaglio lo capisco, ma vedo che persone degli Stati Uniti, Russia, Ucraina... sono tornate più volte, o sono tutte approdate casualmente?
Queste invece sono le visite degli ultimi 30 giorni.


E queste di oggi.

Queste sono invece le parole che sono state inserite nel motore di ricerca per arrivare al mio blog.


... "Foto strane hard"???
Etichette:
Blog,
Chiacchiere,
Diario,
Social Network
Iscriviti a:
Post (Atom)