mercoledì 29 luglio 2015

Galateo per Facebook

Ciao uomini!
Come vi comportate di solito per "rimorchiare" le donne?
Noto che di questi tempi si usa molto il virtuale per fare conoscenze, a me non interessa, ma a tanti sì. La cosa che mi turba è come mi approcciano "i maschi" tramite messaggi privati. Mi domando: ma se io incontrassi queste persone nella realtà, farebbero lo stesso?
Che poi: non ho capito del tutto le intenzioni... cosa cercano, una scopata? Una fidanzata? Una amica?
Parlo di Facebook perché è l'unico social network che seguo: a me non sembra che il mio profilo comunichi il messaggio di cercare amanti o fidanzati. Vedo profili femminili più ambigui... ma io credo di spingere abbastanza col lavoro e con i post innocenti. Le foto che carico sono con amiche e amici, momenti in cui sto suonando e di svago. E comunque, esistono siti apposta per incontri di questo tipo, perché cercare su Facebook? Sinceramente dopo anni che succede, la cosa mi infastidisce. 
Il fatto che io accetti l'amicizia di tutti senza controllare è forse un mio errore, ma lo faccio perché mi è già successo in passato che delle persone mi cercassero ed erano amici degli amici, o fossero interessati a me come artista e mi volessero avvicinare e io dubitassi. Insomma, visto che spesso mi espongo al pubblico (nel mio piccolo, molto piccolo mondo s'intende, non sono Madonna, la cantante), mi pare gentile introdurre fra le mie amicizie un po' tutti... ma si parla di Facebook! Non è la realtà, è uno spazio dove ci stanno cani e porci e chiusa la pagina, addio a tutti! Non sono amici veri.

Vi riporto un po' di quello che mi viene scritto.

Una volta, uno sconosciuto di cui avevo accettato l'amicizia qualche secondo prima, mi chiese quando sarei andata giù a Roma. Io non controllai il profilo e credetti che intendesse quando sarei andata a Roma a suonare, gli risposi che non lo sapevo ma che speravo presto.
Nei giorni avvenire, 'sto tizio proseguì con le insistenze e con qualche parola e frase "offensiva", allora andai a vedere la sua bacheca ed era piuttosto... scurrile, per dire solo una cosa: aveva scritto un post e chiedeva: "Chi di voi mi viene a fare un pompino?".
Aveva solo amicizie femminili ed immagini pornografiche, disgustata, lo cancellai e lo bloccai, perché non venisse più in alcun modo a cercarmi.

Un'altra volta: siccome mi piace sperimentare piatti fra i fornelli, capita che pubblichi e condivida la mia vita culinaria e... la mia dieta.  
Ci fu un episodio,  era mezzanotte, quando pubblicai un piatto di pasta con un commento, in cui dicevo che in quel piatto c'era più peperoncino che pasta.
Un tizio dal nome non italiano, mi scrisse in privato cose come: "Birichina, a mezzanotte hai solo voglia di pasta o hai altre voglie?", oppure: "Ah ti piacciono le cose calde e piccanti... brava, brava molto bene".
Non gli risposi, non gli ho mai risposto, neanche ai saluti.

Poi ci sono quelli che dopo il: "Ciao" e: "Ti disturbo?" mi chiedono se ho un uomo. Quando rispondo nel vago, perché fondamentalmente sono affari miei, oppure per togliermeli di torno dico che sono impegnata, la domanda successiva è: "Storia seria? Ci credi alla fedeltà?".

O mamma! Che triste mondo, non mi piace così! Comunque alla domanda sulla fedeltà, che io reputo troppo stupida per andar oltre nella conversazione, mi dileguo e i tizi scelgono loro se cancellarmi dalle loro amicizie dopo non aver trovato nulla, o di rimanere ignorati. Ultimamente, non rispondo neanche più alla domanda se ho un uomo. E' palese che hanno altri intenti.

Invece sapete come gradirei essere approcciata da gente sconosciuta su Facebook?
Innanzitutto, visto che io sono carina, intelligente, pulita e non sono così ridotta male per cercarmi un fidanzato su Facebook, almeno, se non sei abbastanza carino ed intelligente e quindi alla mia altezza, abbi la decenza di stare al tuo posto. Sono superba? Mah, sì, abbastanza, diciamo che so di potermi permettere di meglio di qualche sfigato, volgare e stupido bavoso.
Comunque, non me la tiro così tanto da non diventare amica con ragazzi conosciuti su Facebook, ci sono alcuni con cui scrivo volentieri da anni, ma hanno un modo di fare differente.

Quello che più mi da fastidio è questo: non puoi chiedermi cosa faccio nella mia vita, perché sul mio profilo ci sono i link al mio sito, al mio blog, ci sono le foto, ci sono scritti i miei titoli di studio e il mio lavoro. Sei tu che mi hai chiesto l'amicizia, abbi almeno la pazienza di interessarti, clicca un cavolo di link, leggiti due righe di me, non occorre tutto, perché veramente, in questo caso, una domanda del genere denota la realtà: totale disinteresse nei miei confronti, di me come persona.
Che poi, quando rispondo che suono, e mi viene risposto che è un bellissimo passatempo ma poi mi viene chiesto che lavoro faccio, mi cadono le braccia. Per me la conversazione è finita lì e non mi interessa andare oltre.

Altri ancora, mi chiedono se capisco e parlo l'italiano. Vuol dire che si sono soffermati solo e solamente alla foto!

Altra cosa fastidiosa, è quando non mettono mai nemmeno un "like" sulle cose che pubblico e poi ci provano in privato: ma scusa non so chi sei, se vuoi che mi interessi a te, che mi accorga che esisti, almeno interessati tu a me no? Se non te ne frega niente di me, cosa vuoi che me ne freghi di te?  

E poi ci sono pure i permalosi: quelli che se non rispondi subito ti cancellano.
Io non sempre rispondo subito agli sms dei miei amici e parenti neppure nella vita reale, neppure ai colleghi e superiori di lavoro, che sarebbe faccenda più importante, vuoi che stia tutto il giorno incollata su internet a Facebook, per rispondere a te, proprio a te, che sei uno sconosciuto fra tremila profili? Ma secondo te, uno nella vita non mangia, non cucina, non fa i mestieri, non fa la spesa, non dorme, non si lava, non guida, non esce con gli amici? E in quei momenti riesce anche a risponderti? Per favore, ridimensionate il vostro ego e le vostre insicurezze. 
E poi, visto che mi trovi così interessante, potresti anche essere in fila d'attesa con altri che stanno scrivendo le stesse cose da copione che stai scrivendo tu... non ci hai pensato?

Di recente un tizio mi ha scritto dal nulla chiedendomi di che etnia sono. Io penso che sarebbe stato più educato presentarsi e spiegarmi perchè vuole saperlo, perciò visto che non l'ha fatto, non ho voglia di dargli questa informazione.

Comunque mi piacciono i corteggiamenti classici: quelli che leggono i miei pensieri, ascoltano la mia musica e mi seguono un po' prima di farsi avanti in maniera galante, da vero uomo. Mi piace il linguaggio che si addice ad una principessa che si rispetti e l'amicizia che si protrae per mesi. Ecco.
E poi mi piace ridere, sono un tipo solare.
Il cervello dev'essere molto intelligente, perché gli uomini stupidi, proprio non li reggo. 

Per concludere, se sei troppo vecchio e brutto, non farti proprio avanti, perché io sono superficiale e me la tiro e non ho interesse ad approfondire e al limite puoi avere la mia amicizia come se fossi mio nonno o mio padre, ti porterei rispetto e ti darei del lei. Ma non farti venire in mente altro.

E' dura la vita on line... Che giungla!


lunedì 20 luglio 2015

Un po' di me

Vivo senza adsl, senza televisione, non ascolto la radio, non conosco le pubblicità e non mangio carne e pesce.
No, non sono un'eremita.
Sono stata una bambina cresciuta a merendine e cartoni animati e, da adolescente, ero una fanatica dei fast-food, MTV, le riviste di moda. Avevamo una televisione per ogni stanza.
Ho sempre vissuto con la connessione veloce e mi scaricavo il mondo, chattavo, conoscevo tutti i social network e vi ero pure iscritta. Oggi non ho bisogno, non ho voglia di avere tutto questo.

Non sono cambiata, ho solo ritrovato me stessa e sto meglio così. Sono sempre stata così, ma in un'altra forma.

Oggi vi racconto e spiego questi aspetti di me che fanno incuriosire le persone.

Se scavo e ricordo bene nel mio passato, a scuola, durante la ricreazione, preferivo farmi gli affari miei al mio banco anzichè aggregarmi ai gruppi. Ci fu un mio compagno alle elementari che in un compito in cui bisognava descrivere la classe, parlò proprio di me sotto questo aspetto: "Mi è simpatica Thasala perché quando c'è ricreazione se ne sta da sola al suo banco, non va a fare merenda con le altre bambine, si fa sempre gli affari suoi".
Mi è rimasta impressa la frase di questo suo tema, perché io non mi rendevo conto di farmi gli affari miei.

In gita scolastica alle superiori, l'unica che durò quattro giorni, divenni insofferente al secondo giorno perché mi mancava di starmene per conto mio. Eravamo sole ragazze e questo mi indusse ad essere ancora più scocciata dalla compagnia, perché tante femmine messe assieme provocano un viperaio.

Una volta mi persi perché anzichè seguire la classe, rimasi ferma, ammirata, a guardare la lavorazione di una chitarra in un negozio del centro storico di Volterra che costruiva artigianalmente strumenti musicali. Quando mi accorsi di essere rimasta sola, me ne ritornai beatamente all'albergo ad aspettarli, mentre gli insegnanti, preoccupatissimi, avevano disseminato la classe a cercarmi. 

Adesso che ci penso, io mi perdevo spesso quando si andava da qualche parte con tante persone, o meglio, gli altri perdevano me, fin da piccolissima. Oggi che sono adulta, capisco perché mia madre mi raccomandava sempre di non giocare ed inseguire i piccioni delle piazze di Venezia. Nonostante fosse una specie di vigilessa con quattro figli, riusciva sempre a perdermi di vista: fra le corsie del supermercato, a Gardaland, al pic nic, alle fiere...

Io non riuscivo proprio a stare attenta a cosa facessero e dove andassero gli altri.

Credevo che essere distratti o meglio, menefreghisti, fosse un difetto, oggi, che lo sia o meno, so solo che non sento di dovermi giustificare a nessuno quando ho voglia di starmene per conto mio.
Ho imparato che qualsiasi cosa si faccia, qualunque persona si sia, c'è sempre qualcuno a cui piaccio o non piaccio: almeno se mi comporto in modo naturale, fatico di meno e piaccio anche a  me stessa.
E poi siamo nel 2015, se ci si perde, ci sono i cellulari per ritrovarsi.

Mi sembra facile vivere senza televisione, si possono comunque avere notizie da tutto il mondo tramite internet (sul telefono) senza dover dipendere dal telegiornale o quotidiani, e si possono pure scegliere gli argomenti e le fonti. Se mi interessa un film mi cerco il dvd e lo guardo dal pc. I programmi sono diventati degli show dove tutti gridano e litigano e sinceramente posso pure farne a meno. Non mi interessano più i telefilm o le storie a puntate, preferisco gestire i miei tempi seguendo le storie sui libri, senza la dipendenza di dover essere a casa ad una determinata ora o registrare una puntata per non perderla. Il libro invece posso portarlo con me e decidere io quando voglio o posso continuare a seguire "quello che succede". 
Guardavo solo i cartoni animati da bambina, tanti, tutti, perché erano un mondo innocente e mi piaceva ammirare i disegni dei giapponesi. Ora guardo solo qualche brutto cartone disegnato con il computer per fare compagnia alle nipotine, quando vado a trovarle a casa dei miei.

Non conosco le pubblicità e non so nulla di quello che succede sullo schermo. Esattamente come quando a scuola non avevo idea dei pettegolezzi in classe. Non mi sono mai sentita interessata e abbastanza "difesa" per partecipare e far entrare nel mio mondo questo aspetto competitivo della vita, perché per me stare al passo con tutto quello che mi succede attorno è molto impegnativo e bisogna essere un po' prevenuti per sopravvivere.

Per quanto riguarda la carne, non la mangio perché non mi piace. E' una cosa così semplice, tuttavia le persone mi guardano con compassione, come se rinunciassi a chissà quale piacere della vita, mentre io per educazione evito di spiattellare che quella cosa nel piatto mi fa schifo e mi fa venire in mente pezzi di cadaveri che dovrebbero essere putrefatti.

Avete presente quando da piccoli, la mamma ti obbligava a mangiare qualcosa e finchè non finivi non potevi alzarti? Nel mio piatto c'era sempre un pezzo di carne, non ricordo di aver mai faticato con la verdura o un piatto di pastasciutta. De gustibus!

Poi ci fu quella storiella che mi traumatizzò per anni e non mi facilitò a superare questo blocco.

Gli adulti spesso parlano fra di loro non dando molta importanza alla presenza dei bambini, credendo che non ascoltino o non capiscano, ma io ascoltavo e capivo benissimo, a modo mio.

Avevo forse sette, otto anni. Parlavano di una storia vera di attualità, accaduta in Cina: la storia di due fratelli che avevano un ristorante l'uno e una agenzia funebre l'altro. Venne fuori che, per risparmiare, il ristorante dava in pasto i cadaveri che finivano all'agenzia del fratello, all'insaputa dei clienti naturalmente, che diventavano senza saperlo dei cannibali.
Bene, io dopo quel racconto, non riuscii più ad ingoiare nessun pezzo di carne, sospettando che nel piatto ci fossero delle persone morte.

Crescendo, mi dissero che la carne contiene tante proteine e fa diventare alti, allora solo per quello mi sforzai di mangiarla, ma mi piacevano solo gli affettati e i pezzi impanati e fritti, oppure le polpette e gli hamburger con tanta salsa, che non avessero la forma del cadavere, tipo il pollo, che invece aveva fin troppo bene le sembianze di una gallina ghigliottinata. La bistecca non mi piaceva, le frattaglie non le ho mai neppure guardate.
Riuscivo a mangiare il pesce, se così si può chiamare, solo il tonno in scatola e i bastoncini impanati.
Tuttavia decisi di diventare vegetariana più volte in vita mia, per non uccidere animali e non mangiare della violenza, diventando sempre stanca e anemica.

La mia famiglia è tutta onnivora, vivere in casa con altre persone e non potendo decidere la spesa e il menù, significava per me mangiare solo i primi e la verdura. Solo quando ho iniziato a lavorare e a farmi la spesa, ho potuto seguire un regime senza carne e senza subirne le carenze, comprando e cucinandomi da sola i piatti completi. Sono vegetariana da quasi cinque anni e sto bene, anche se la gente mi guarda ancora e mi dice: "Non sai cosa ti perdi". Io sono ben contenta invece di "perdermi" una cosa che invece so benissimo cos'è.


Come facevano i ragazzini di una volta senza internet e cellulare? Io e la mia amica ci sentivano velocemente al telefono di casa, perché se la bolletta era alta, i nostri padri ci sgridavano, ci mettevamo d'accordo e poi ci trovavamo in centro a chiacchierare, davanti ad una cioccolata o distese sul prato del castello. 
Le ricerche scolastiche si facevano in biblioteca, c'erano gli amici di penna, quelli che mettevano inserzioni sui giornali indicando i gusti e cercando persone, amiche affini, per conversare, raccontare, parlare da lontano. Per avere notizie, si aspettavano anche quattro, dieci giorni il postino. 
Per cercare qualche negozio si usavano le pagine gialle e per farsi un pecorso stradale si consultavano le cartine. 
Per i timidi era sempre un ostacolo alzare la cornetta, affrontare la mamma o chi rispondesse al telefono per farsi passare l'interessato e parlargli. Meno male che hanno inventato gli sms e le e-mail. 

Non sono contro la tecnologia, anzi, a me il progresso piace, ma ricordo le ore passate a chattare in quei mesi in  cui da ventenne mi ero fatta prendere e, paragonate alle uscite goliardiche in compagnia sul lago, mi rendo conto che spesso si è soli in casa propria a mandare sms, non c'è più necessità di vedersi per dire le cose. Mi manca invece uscire per incontrarsi. 
Preferisco ridere, piangere, litigare o scherzare "in diretta", in compagnia, abbracciarsi, bere qualcosa insieme. Tanti hanno l'adsl e passano le serate a scaricare, fare i giochi on line e a chattare. Comunicano col mondo in pigiama e una birra solitaria. 
Io ho una casella di posta elettronica e i giga che servono al mese sul telefono, per leggere e rispondere ai messaggi di lavoro, seguire un po' il mondo, conversare con qualche amico e poco altro. Vi starete chiedendo come faccio a scrivere un blog senza poter navigare dal computer: ogni tanto uso il telefono come modem e aggiorno dal pc: ecco fatto.
Per questo ho scelto di non avere una vera connessione, preferisco stare fuori da questi meccanismi di surrogata conversazione, sentirmi libera di essere irraggiungibile quando ne ho voglia e non avere dipendenze.

Io preferisco il mondo semplice, osservare dove il vento porta le mie nuvolette.


mercoledì 15 luglio 2015

Osservazioni

Le persone credono di essere tolleranti, dicendo che siamo tutti uguali. E' facile accettare gli altri quando sono "uguali" a noi, ma la vera tolleranza è invece accettare ciò che riteniamo "diverso".
Pensavo ai gay in questi giorni e alle immagini arcobaleno che hanno messo tanti utenti su Facebook: io non l'ho messa.

Il mio motto è: "Vivi e lascia vivere", se quello che fa una persona non è nocivo alla società e soprattutto non cambia la mia vita, per me può fare quello che vuole. Per me i gay possono sposarsi e adottare pure figli se lo vogliono. Ho visto tanti bambini crescere felici e sereni dove l'ambiente è amorevole e sereno e altri turbati o con visioni distorte dell'amore, in famiglie cosidette "tradizionali", perciò non credo proprio che un bambino venga traumatizzato da due persone dello stesso sesso che si vogliono bene, piuttosto che vedere il papà che picchia la mamma, genitori ubriachi, violenti, mamma e papà che si insultano o non si parlano. Senza contare che non tutte le mamme sono amorevoli e comunicative e non tutti i padri sviluppano istinto paterno.

Però, non sono d'accordo che venga considerato nella norma l'amore omosessuale. E' particolare, ma non "normale". Uno dei miei film preferiti è "I segreti di Brokeback mountain" e parla di due cow-boy e del loro amore in una America puritana. Lo trovo sofferto e poetico, lo trovo bellissimo, ho pianto, sono corsa a comprarmi il libro il giorno dopo averlo visto al cinema e poi il dvd, ma sarebbe ipocrita affermare che non ci sia nulla di strano in due uomini o due donne che si amano.

Sto rileggendo un libro interessante che avevo letto dieci anni fa: "Perché le donne non sanno leggere le cartine e gli uomini non si fermano mai a chiedere?" di Allan & Barbara Pease. John Gray già anni prima si era cimentato, da psicologo, a studiare le differenze di comunicazione fra uomo e donna, ma questo libro va oltre: vi sono alla base esperimenti, ipotesi e tesi. Con un linguaggio leggero e di facile comprensione, viene spiegata la struttura del cervello femminile e maschile dal punto di vista scientifico.

Per esempio, la visuale maschile e femminile: l'uomo vede un raggio meno ampio, ma più lontano. La donna vede meno lontano ma ha visione più ampia degli spazi vicini. E' la natura, così come di solito gli uomini sono più alti, hanno le spalle più ampie, la voce più grave e le donne sono più basse, con le spalle più strette e la voce più acuta: certo ci sono le eccezioni, ma avreste da obiettare su queste affermazioni?

Questo esempio delle diverse visuali, comportava più facilità all'uomo, in passato, di cacciare, e ad oggi di pilotare, guidare, scorgere in lontananza il pericolo. La donna invece trova tutto, riesce a occuparsi dei figli, a fare anche più cose contemporaneamente. Gli uomini aprono il frigo e non trovano quello che è sotto il loro naso, e quando gli si chiede: "Ma non hai visto che, non ti sei accorto che?" di qualcosa che qualsiasi donna ha notato, rispondono sorpresi di no.

Perciò non è per maschilismo e discriminazione che certi lavori siano più scelti dalle donne e altri da uomini, nonostante la parità dei sessi consenta di svolgere qualsiasi cosa, sono poche le donne che sognano di diventare piloti d'aereo e uomini che scelgono la carriera di stilista di moda.

Il libro spiega che ciò dipende dagli ormoni, dalla quantità di estrogeni e testosteroni. Li abbiamo sin dalla nascita.

Ora non ricordo se l'ho letto su questo libro, forse sì, ma mi piace ricordare un esperimento fatto su centinaia di bambini molto piccoli: in una stanza vuota con un vetro, viene messo un bambino, che può vedere la mamma dall'altra parte attraverso la parete trasparente. Bambini così piccoli, quasi neonati, non sono ancora stati influenzati dalla società, perciò le reazioni sono spontanee e naturali, "primitive". Quasi tutte le bambine, vedendo la mamma, hanno reagito piangendo e chiamandole, per farsi notare e venire a prendere, per essere "salvate". Quasi tutti i maschietti invece, individuata la mamma, si sono messi a gattonare e a picchiare contro il vetro per andare da lei, istintivamente hanno dovuto agire e non aspettare.

Questo dimostra che la natura ci ha programmato per essere diversi: trovo tutto ciò molto affascinante.

Naturalmente, non tutti gli uomini sono maschili e non tutte le donne femminili. Dipende dalla quantità di ormoni maschili e femminili. Stasera mi sono divertita a rifare il test: io ho ottenuto una dose molto alta di estrogeni nel mio cervello, la mia amica è risultata molto bassa. Guarda caso: questa mia amica parcheggia in un secondo ovunque, trova le strade, la scambiano per lesbica. Io preferirei non avere a che fare con i parcheggi: mai. Anche i nostri corpi fisici sono diversi, ma entrambe siamo felici di essere quello che siamo, perché siamo noi stesse.

Ci sono donne molto femminili in alcune cose e maschili in altre e viceversa per gli uomini. Ci sono lesbiche femminili e mascoline, oppure etero più mascoline di lesbiche. Lo stesso discorso vale per gli uomini. Un uomo può essere gay ma rude, l'omosessuale effeminato esiste, ma è un po' uno stereotipo. Il libro chiarisce anche questi punti.

Grazie a questa lettura, dieci anni fa, sapevo che l'essere gay o lesbiche è una cosa che si è fin dalla nascita, lo si è o non lo si è: non si "diventa", si capisce solo di esserlo, e non c'entrano nulla l'educazione, la religione, la società. I genitori la smettano di sentirsi in colpa o di voler "aggiustare" il figlio. Perché nascono i mancini? Una volta li si obbligava a scrivere con la destra, causando un sacco di problemi, finchè non si è capito che non bisogna violentare e forzare la natura. Dopotutto, è meno "grave" avere un figlio gay di uno che uccide o violenta. Il primo, alla fine, ama solamente e non fa del male a nessuno.

Ho provato a pensare che se io, donna, provassi amore per donne e proprio non riuscissi ad amare uomini, e i miei genitori, la mia famiglia, i miei amici e la società mi macchiassero e mi ripudiassero per questo, come starei? Che diritto abbiamo noi di impedire la felicità ad un'altra persona?

L'ignoranza genera cattiveria. In passato si credeva che fosse la donna a "decidere" se avere un figlio maschio o femmina. Poi la scienza ha chiarito che è l'uomo a determinarne il sesso, perché la donna può trasmettere solo il cromosoma X in ogni caso, mentre il padre ha il 50% di probabilità di trasmettere il cromosa X e generare una femmina, e il 50% di trasmettere quello Y e di avere così un maschio. Se i re del passato, quelli che arrivarono ad uccidere e a ripudiare le mogli, incolpandole di non dare a loro eredi maschi l'avessero saputo, avrebbero trattato così quelle povere vittime? La colpa, se così si piò chiamare, era loro!
Dove c'è violenza, c'è sempre ignoranza.

Però questo post lo scrivo con intenti più generici: per me il termine uguale e diverso non deve essere confuso con l'accettazione.

Sono cresciuta con disabili in famiglia e ho parenti che hanno cambiato sesso, erano uomini nati per sbaglio in corpi di donna: succede, e con enorme sofferenza hanno intrapreso il difficile cammino dell'accettazione e del cambiamento. Tanti parlano per retorica e buonismo, io invece dico le cose per vissuta e diretta esperienza.

A volte, la natura, crea dei patrimoni genetici "diversi". Non sono migliori o peggiori, sono però particolari, anzi direi schiettamente che alcuni sono dei "difetti". 
Come si trattano queste persone? Ho notato che quelli che per buonismo dicono che bisogna trattare tutti allo stesso modo, invece sono i primi a non farlo. L'ho imparato con alcuni tipi di disabilità mentali: di fronte ad un'azione grossa in cui ci sarebbe da incavolarsi e riprenderli, li perdonano e la fanno passare liscia, come a dire che, siccome sono scemi, non è il caso di sgridarli, invece è sbagliatissimo, se sbagliano vanno ripresi, sempre con gentilezza. Come noi. Loro non vogliono essere trattati da scemi. Non trattateli da scemi. 

Giorni fa ero ad una festa per bambini con mia madre per le nipotine. C'era un bambino in una carrozzella, credo fosse ritardato. Mia madre disse: "Poverino, che vita è?".
"Poverino lui?" dissi sorpresa "Mi sa che è quello più felice, guardalo".
Era beato ed innocente nel suo mondo.
"Poverini gli altri che hanno pena per lui. Magari lui non si fa tutti questi problemi e si gode la vita. Mi sa che sfigatelli siamo noi che pensiamo e ci affanniamo troppo, abbiamo un sacco di pesi e responsabilità sulle spalle" osservai.

Dalla tiritera "Tu sei uguale a noi", sono stata io per prima macchiata tante volte da persone che, mettendosi le mani avanti, volevano dimostrarmi che mi avevano "accettato" nel loro "gruppo" e sinceramente non mi piaceva l'idea di essere uguale a qualcuno, soprattutto perché non lo sono. E poi magari non mi interessava neppure essere "accettata" da quelle persone. Se io vivessi al mio paese e mi ritrovassi in classe un unico europeo, non gli direi mai che è uguale a tutta la classe, passerei per un'idiota che non ci vede, che non capisce. Lo considererei diverso, speciale, mi interesserei un casino alla sua cultura e alle sue diversità.

Non si dice che: "Il mondo è bello perché è vario"?
Teniamo distinte le variazioni, non siamo tutti uguali, per fortuna. Se lo fossimo, saremmo come una canzone su una stessa nota, un quadro con un solo colore, una poesia con una sola parola...

E' per questo, che io non considero i gay e le lesbiche "normali", nel termine generico di "comune". Sono geneticamente particolari, sono diversi. Alcuni sono simpatici e altri antipatici, altri odiosi. Ci sono quelli con cui non vorrei avere nulla a che fare, non perché sono gay, ma proprio perché sono insopportabili di loro. Ho degli amici gay e amiche lesbiche, che reputo di piacevole compagnia.

In questo senso non hanno nulla di particolare, qualsiasi persona può essere antipatica o simpatica. 
Beh, vista la cosa così, da una dimensione cosmica, lo devo dire pure io: alla fine... siamo tutti uguali!


venerdì 10 luglio 2015

Estate

Preferisci la formica o la cicala?
Io preferisco la cicala, ma ho bisogno della formica. Ho bisogno che mi sgridi, solo un po', non troppo.

Sdraiata su un grande asciugamano, mi addormento, col libro aperto accanto, le fronde che si muovono dolcemente adombrandomi, le formiche che mi fanno il solletico, l’erba che mi punzecchia le braccia.
Quanto tempo passa? Non lo so. Mi risveglio pensando: “Sono felice”.
Apro il libro e, la prima frase che leggo, dice che la consapevolezza porta alla felicità, quella vera che abbiamo dentro, indipendentemente dagli eventi esterni.

Il venticello mi fa i dispetti: sfoglia le pagine quando non dovrebbe, cerco una posizione comoda per leggere, mi giro e mi rigiro. Uff! Le formiche… uff, i capelli che mi vanno in faccia!

Vicino a me, un gruppo di ragazzi chiacchierano parlando del futuro: Erasmus, vacanze, quanti progetti, quante speranze e voglia di scoprire oltre i confini di questo paese!
Alla mia sinistra, un bambino tenta di scappare, felice, al controllo dei genitori. La mamma lo richiama e lo insegue.
Coppiette di innamorati passeggiano tenendosi per mano, personaggi sportivi che corrono attorno al parco: ma come fanno? Io scelgo  la sonnolenza e la pigrizia piacevole di starsene sdraiati nella pace estiva senza far nulla. Ci vorrebbe solo un ukulele per strimpellare e cantare canzoncine stonate.

Sono la cicala.

Poi il mio stomaco brontola. Ecco: dopo il riposo e il letto, i miei piaceri della vita sono il cibo, l’amore, la musica, la bellezza e la soddisfazione dei sensi.

Ok mi alzo e vado al chiosco. Voglio una merenda seria.


Sono sola, eppure tanto ricca. Mi guardo attorno e sono in tutt’uno con il mondo.
Se venisse la formica a farmi il sermone, le dedicherei una canzone e un paio di patatine fritte, con la maionese.
E poi ci faremmo compagnia, senza criticarci, anzi diverremo grande amiche. In questa briciola di tempo nell’universo dello spazio temporale.

Brescia, luglio 2015.


Il sole nel cuore

Sul lago di Garda, c'è un minuscolo negozietto di giocattoli per bambini lavorati col legno. Vi si possono trovare pure piccoli porta dentini da lasciare a Santa Apollonia, scatole, bambole, puzzle, libri, trenini, tessere, carillon.

La prima volta che casualmente entrai, l'anno scorso, era verso metà giugno, con un'amica, venni attratta immediatamente da una vivace esposizione di carillon, in particolare da quelli con disegnati api, fiori, ranocchiette o coccinelle.
C'erano giostre e piccole scatoline scorrevoli, con all'interno l'ingranaggio e un minuscolo pupazzo in legno che appariva ogni volta che si faceva scorrere il coperchio e si apriva la scatola. Allora si "svegliava" la bambolina e fluiva dolcemente il tintinnio della musichetta.

Trovo carini i carillon, perché si possono portare con sè, hanno il sapore dell'antico e suonano ninne nanne. Da piccoli ne avevamo tantissimi in casa: i miei ci portavano spesso a Livigno, in questo negozio di cose di legno e oggetti fuori moda, e ogni volta mia sorella se ne tornava a casa con un carillon nuovo. Se ne stavano su una mensola, io ero molto affascinata dall'ingranaggio interno e a volte rimanevo per delle mezz'ore a guardare la ruota girare e le minuscole lamelle colpite, produrre piccole e dolci melodie.

In quel negozio serviva un signore, spontaneamente e quasi subito, presi il carillon con il ranocchietto buffo e lo portai in cassa.

- Mi può fare un pacco regalo? - chiesi.
- Certamente - disse, aprendo un cassetto e depositando sul banco vari tipi di carta - è un maschietto o una femminuccia?
- Un... maschietto.
- Allora ce l'ho azzurrina... o bianca con i disegnini, anche quest'altra è carina per un bimbo - disse, scartando la carta rosa o con i fiorellini o cuoricini e lasciandomi scegliere fra i tre tipi rimasti.
- Questa - indicai.
- Quanti anni ha il bambino? - chiese, mentre faceva il pacchetto.
- Deve compiere quarantadue anni, è per il suo compleanno - risposi.
Mi guardò per un secondo sorpreso, poi sorrise divertito, mi misi a ridere.
- Non voglio indagare oltre, io mi sentirei colpito nella mia virilità - rise.

Io e la mia amica uscimmo dal negozio ridendo.
- Sono troppo felice di averlo preso! - esclamai. Pensavo che avrebbe potuto permettersi di comprare tutto quello che desiderava, se lo poteva permettere, perciò volevo donargli un pezzo di me, della mia voglia di giocare e scherzare. Cose che non avrebbe potuto ottenere pagando, neanche con tutte le ricchezze del mondo.

Era un fresco giorno estivo e spensierato, quel giorno sul lago.

Mi ricordo poi, l'8 luglio di quell'estate, il vestitino rosa acceso, le fotografie da diva, gli occhiali da sole con i bordi viola, come le scarpe e la borsa, il pranzetto vegano, la passeggiata in centro, e la sera, il temporale forte, le finestre che sbattevano, il regalino scartato, ridevo: - Io ti vedo come un bambinone! - lo prendevo in giro. A mezzanotte, volevo essere la prima a fare gli auguri.

E' passato un anno.

Quarantatre anni, quarantaquattro, cinquanta, cento anni. Non hanno importanza l'età e il tempo che avanza. Non contano le rughe, uno sguardo diverso e il volto più scavato, e non c'entra niente la virilità.
Io avevo scelto il ranocchietto e mi piaceva così, non ci tenevo che diventasse un destriero valoroso e un principe azzurro su un cavallo bianco, con obblighi e vincoli. Ero contenta di saltellare assieme a lui, libera, sulle foglie di ninfee nei laghetti sotto le stelle.

Era questo che sentivo quel giorno.
Era questo che amavo tanto del principino ranocchietto.
Ci sono bambini che crescono e diventano grandi e poi adulti. Fanno tanti compleanni, diventano importanti e invecchiano, ma conservano ancora questo cuore.
Cuore puro, cuore innocente e un po' ingenuo, cuore immenso. 
Cuore di bimbo.


domenica 5 luglio 2015

Istanti

A volte, basta poco per essere felici: un parco pubblico, polmone verde di laghetti e risa di bambini, l'ombra rinfrescante sotto un albero, una tela per sdraiarsi sull'erba e stare a piedi nudi. Un libro, o due, o tre. Ma quelli cartacei.
La fresca brezza estiva e il cicalare degli oziosi. Un gelato per merenda, un chiosco pronto a servirti.
Le persone, la pace, la natura.
Inspiro a pieni polmoni questa vita.

giovedì 2 luglio 2015

Sacro e profano

Mi è sempre piaciuto il vento sulla pelle e la pioggia estiva contro il viso.
Perché hanno inventato gli ombrelli?

Camminare scalza e sentire le vibrazioni della terra, il pavimento fresco.
Perché hanno inventato le scarpe?

E poi. L'acqua e il sole che bagnano i corpi, la sabbia in un giorno di felicità in spiaggia.
Perché hanno inventato i vestiti?

Adoro il fanciullino inconsciente ed indecente che infischiandosene della morale vuole solo cogliere il suo piacere, con il broncio dei bambini a cui viene proibito un giocattolo.
Perché hanno inventato la paura?

Mi piacciono le finestre spalancate, i vestiti fluttuanti al vento e la libertà, il cielo celeste carico di avvenire. Sono colei che profana le regole del buon vivere.
Perché ci hanno costretto al pudore?

Mi sento bene, quando sono io, con lo spirito libero dagli ombrelli, dai vestiti e dalle scarpe, giocando e canzonando, come i bimbi monelli che a scuola finiscono in punizione. 
Non cercate di vestirmi.
Voglio stare così, vicina al cielo, vicino all'amore.

Anima nuda, anima sacra.