martedì 30 luglio 2013

Dal passato



Carte su carte rilegate. Libri impilati. Ma quante storie, quante avventure in queste pagine.

- Mamma mi servono altri scatoloni! - grido da questa mattina.

E lei, sempre mi guarda ansiosa: - Vuoi andartene? Stai traslocando?

"Sarebbe pure ora" penso, ma la tranquillizzo: - Nooo... faccio spazio.

Ancora carte e carte rilegate, ma non sono solo storie scritte da altri, in mezzo a tanta cellulosa che prende polvere, ci sono pure quadernetti scritti da me a quindici, sedici anni. Li chiamavo diario. E il primo fu un quadernetto minuscolo acquistato nel quartiere di Chinatown, a San Francisco. Una forma di blog primitivo. Oppure è il blog, che è una forma di diario moderno? 

A parte alcune pagine, non è che scrivessi tanto diversamente da ora, sebbene il diario lo leggessi solo io, mentre qui chiunque può farsi i fatti miei, avevo già il vizio di scrivere criptato. Chissà perché.

Questa sera non ho voglia di parlare del presente, questa sera leggo e ricordo. Ero una bambina, ma mi sentivo in imbarazzo in quel corpo che si prestava a diventare donna, e forse non lo volevo.

Mi rifugiavo fra quei quadernetti.

Chissà se un giorno, se diventerò mamma, mia figlia si perderà anche lei davanti alla finestra, mordicchiando la penna e scribacchiando come facevo io da ragazzina?

"Piccola Regina delle nuvole" mi confidavo "senza re. Credevo fosse tutta una fiaba, ma non fu così. Andai a dormire credendo di sognare, ma fu tutto un incubo, e vorrei svegliarmi, ma la notte non finisce più, l'alba non arriva più.

Una sera d'estate.
In villeggiatura al mare, l'estate che mi rideva.
Ma io non riuscivo a godermi la spensieratezza dei miei anni.
Strane riflessioni.

"La visione di mestizia si è avverata, ma avevo in mente una distesa selvaggia con le onde spumeggianti in cui si perse una risata cristallina. Passò troppo tempo, mi resi conto che quel che mi attirava allora non erano le amicizie, nè le albe e i tramonti, ma semplicemente quel raggio caldo e gaio in fondo al mio cuore... Ho cercato tanto e dappertutto, molte volte mi sono ritrovata sola in una silenziosa agonia. Pensavo di perdermi. Sono corsa incontro ad ogni orizzonte e non capivo perché non riuscivo a toccare. Mi sono fermata un istante per chiudere gli occhi. Ti ho compreso. Nulla in me, nessuna emozione. Compresi e cercai l'antica solitudine che incombeva il mio piccolo cuore, e mi resi conto di tante cose. Capii chi eri: goccia di rugiada di un'immensa tempesta".

A volte, chiamavo il mio diario "Il quadernetto dei matti": bizzarra opinione di me stessa.

"Ho ritrovato il mio quadernetto dei matti. Volevo bruciarlo, ed invece eccolo di nuovo qua. Anche solo a rivederlo mi mette malinconia".

E c'erano le lettere che dedicavo al mio futuro amico immaginario:

"Caro amico, non so se tu ci sarai veramente e se un giorno ti incontrerò... forse non arriverai mai, e questa lettera non la leggerà nessuno, ma io te la scrivo lo stesso, perché spero tanto, lo spero con tutto il cuore, di poterti incontrare".

Ricordo. Quando scendevo negli abissi più bui e profondi e poi risalivo e andavo in su. Su.
Più di tutti quanti.

Tornava la quiete. 

Ma erano piccoli, momenti di quiete.

"Un sorriso dai mille volti e un sospiro, e nulla di più. Chiudo gli occhi sul letto e mi rilasso. E' passato, lascialo passare".

Questa sera ho fatto un tuffo nel passato, mi ci voleva.
Alla fine le persone non cambiano per davvero. Avrei scritto oggi, le stesse parole di anni e anni fa...

"Non ci sarà il crepuscolo in questo giorno, perché il freddo ne ha impedito la visione del tramonto".

Scrivere. Questo è quello che volevo fare veramente nella mia vita. 

"Cosa vuoi fare da grande?"
"La scrittrice".

O forse no? Era pure una condanna.

"Scrivere mi indebolisce. La devo smettere. Finirò queste pagine e poi finirò di sognare: la vita non è il sogno".

Ma poi, finivo le pagine, finivo i quaderni e ne cominciavo un altro. Ritornavo sempre alle mie stesse debolezze, o punti di forza, a seconda di come si preferisca osservare.

Ora concludo.
Lascio il compito di farlo a dei sussurri che dal passato tornano:

"Questo è tutto. E' il preludio. Mi rimane una notte intera, un tempo per cui pensarci e riflettere. Ti scriverò domani".


venerdì 26 luglio 2013

Estate

L'estate è quella stagione dell'anno in cui le zanzare pungono, le cicale e i grilli si alternano di giorno e di notte a cantare e io mi ritrovo per la casa cavallette, lucertole e insetti indefiniti. Durante l'anno scolastico mi riprometto di fare tutte quelle cose che di solito non riesco per mancanza di tempo, appena arriva l'estate. Poi questa arriva, e con la pressione sotto i piedi e la stanchezza cronica, combino ancor meno che nei ritagli di tempo fra una corsa e l'altra. 

Mi piace parlare delle stagioni, perchè mi piace pensare che mia madre abbia fatto nascere i suoi quattro figli ognuno in una stagione diversa, persino in ordine di arrivo... La prima in primavera, il secondo in estate, io in autunno e la più piccola in inverno... Ovviamente senza programmare nulla. Siamo arrivati quando ne avevamo voglia, a sorpresa, e ci siamo scelti la nostra fetta dell'anno diversa dal fratello precedente.

Mi crucciavo qualche giorno fa che, a differenza delle altre estati, quest'anno ho poco tempo per leggere. Ma leggere significa più che altro starmene sdraiata sul divano al fresco, senza pensieri, a perdermi nelle storie. Non è una cosa che riesco a fare per riempire delle pause, mi devo sentire in uno stato di rilassamento. 

Capitavano anche gli altri anni serate e concerti in estate, ma di solito giravo con musicisti di Brescia, che erano anche amici miei, e non mi stancavo così tanto per spostarmi. Giorni e giorni lontano, in albergo, ma mi sentivo a casa mia. Mi portavo sempre qualcosa da leggere.

Mercoledì sera, col trio Miza Mayi, ho terminato il pacchetto delle cinque date a Cernobbio, ed è stato un sollievo per me non dover più ripercorrere tutti quei chilometri in macchina. Io poi che non amo guidare. Solamente l'ansia di dover, la settimana successiva, ripetere lo stesso viaggio lontano dai miei punti di riferimento mi turbava. Ieri per festeggiare sono uscita a prendere un caffè con una mia amica in centro, e la sera a casa a leggermi un libro, come a voler rendermi conto di essere in vacanza. 

Sono in vacanza?

Certo non sono programmata per vivere con l'agenda, una ventiquattro ore, convivenze forzate con anime sconosciute e troppe responsabilità. Io mi immagino all'ombra sotto un albero, ad osservare le nuvole, a dormire, a leggere e a viaggiare con la fantasia. Disturbata solo dalle persone che scelgo di voler essere disturbata.

Oggi è la vigilia dell'ultimo week end di luglio. Mi sento un po' assente. Un po' per carattere, un po' per la solita anemia e la pressione bassa. Ma non mi importa oggi. Non devo occuparmi di nulla, non devo stare attenta. Posso distrarmi, riposarmi e anche addormentarmi. 

Che bello.

Ora stacco dal pc, prendo qualcosa da leggere, una bottiglietta di acqua fresca e scendo in sala. Perché giù fa fresco tutto l'anno. In inverno fa freddo anche con il riscaldamento al massimo, mentre la mia camera è sempre calda, anche a dicembre con i caloriferi spenti. 
In quella stagione va bene. Ma non in questa. Sto sboccando.

E' arrivata l'estate.

venerdì 19 luglio 2013

Thasy e le bambole (le bambole stupide e quelle intelligenti)

"Thasy" era uno dei nomignoli coniato per me dalle mie compagne di classe. Ne ho avuti tanti altri, ma questo è quello che preferisco perché mi piacciono i nomi corti. Particolare che cozza contro le dodici lettere che dovrei utilizzare per scrivere il mio nome all'anagrafe (senza spazi e senza cognome).
"Thasie" è nato per necessità quando ho dovuto scegliere un url per Youtube e sia "Thasala" che "Thasy" erano già stati utilizzati.

E poi ci sono le bambole.

Avevo un libro, da piccola, che trattava approfonditamente l'argomento, dalla storia alla creazione, con bellissime tavole colorate. Ma era un libro degli anni Settanta. Nel decennio successivo iniziavano a dilagare bambole che parlavano, nuotavano e camminavano con l'inserimento di un paio di batterie sulla schiena. Avere un gioco del genere era una specie di status symbol fra le bambine. Il libro era stato pubblicato prima della nascita dei giochi elettronici e tutte le bambole fotografate erano in materiale naturale, dalla paglia alla stoffa, dalla porcellana alla carta, ed erano mute. 

- La mia bambola costa di più perché è intelligente, la mia bambola parla - disse Jay.

Ero piccola, e già allora faticavo a capire i concetti generali, per esempio, come fosse possibile che una bambola che ripetesse sempre le stesse frasi, con gli orecchini a fragola che si illuminavano, fosse intelligente.

- Non dice altro? - chiesi dopo due minuti, il tempo per scoprire tutte le "capacità" del giocattolo.
- La tua non parla neanche! - esclamò stizzita Jay. Con quella bambola lei passava tutto il tempo a farle ripetere le stesse frasi e a spegnere la luce per gioire alla vista degli orecchini rossi che si illuminavano al buio.

"Bambola intelligente" pensavo dubbiosa. E lo ero un po' anche riguardo a Jay.

Le mie bambole, spesso le costruivo da sola. Ne avevamo fra me e le mie sorelle, anche giocattoli "alla moda", ma era più divertente quando, sul tavolo della cucina, mia madre disegnava e ritagliava dal cartone figurini di donna e di bambina, da vestire con abitini di carta colorati che inventavamo e coloravamo. Era il momento in cui sfogavo sulla carta il mio sogno di avere un guardaroba bellissimo. Tutti quei vestiti che disegnavo e ritagliavo per le bambole di carta, in realtà li avrei voluti io. 

Altre volte, le bambole le facevamo in stoffa, armate di ago e filo, da imbottire col cotone e con i capelli di lana. Cucivamo vestitini variopinti ricavati dai ritagli di stoffa avanzati in casa. Così spesso le bambole erano vestite esattamente come noi.

Oppure bambole di fiori. Raccoglievo dai campi i papaveri e le margherite e con i fili d'erba ne ricavavo damigelle rosse e bianche che danzavano in una sontuosa sala da ballo immaginaria.

C'era solo un particolare: non parlavano, non camminavano, non si illuminavano.

Per fortuna.

- Perché fanno e dicono quello che vogliamo noi - spiegai a mia sorella minore. E anche perchè, non osavo ancora esprimerlo, la "bambola intelligente" era vincolante e mi sapeva un po' di idiota. Giocavamo a inventare trame e storie più assurde da far passare ai nostri personaggi, fra case di Lego, castelli ricavati dai cartoni, fondali colorati, posate rubate alla cucina e mobili di legno in miniatura.

- La tua bambola è brutta ed è stupida, non sa fare niente - disse Jay.

Pensai alla nuova bambola che i miei ci avevano appena comprato: aveva il costume da bagno, la si metteva in acqua e nuotava a stile libero da una parte all'altra. Era molto pubblicizzata in quegli anni in televisione.

Pensai a come mai nonostante il nuovo arrivo avevo preferito la bambola "vecchia" e fuori moda. E poi mi fu chiaro.

Non le dissi: - Su di sopra ho la "Sirenella" - ma dissi invece: - Questa l'abbiamo fatta io e le mie sorelle assieme alla mamma.

E le raccontai di come si ritaglia, si progetta e si costruisce una bambola, e di tutto il divertimento attorno al tavolo, un pomeriggio domestico di donne grandi e piccine.

Jay.

Non era come me. Io ero fortunata più di lei a prescindere. Qualsiasi fosse stata la sua e la mia condizione. Non l'avrei mai invidiata neanche se avesse avuto tutte le Barbie e tutte le bambole della pubblicità e fosse vissuta in un castello e io in una capanna. Sarebbe bastato poco, perchè fosse stata lei invece ad invidiarmi. Forse non ne era consapevole, ma lo sentiva, e anch'io me ne accorgevo. Smisi di raccontare.

- Ho la Sirenella, ma non so usarla. Vuoi giocarci un po' tu? Così mi fai vedere - dissi.

Lei tornò di buon umore. E pace fu fatta.

La Sirenella le piacque.
La Sirenella fu per me invece la bambola che consideravo più inutile, ma non glielo dissi mai.


martedì 16 luglio 2013

Al Celtic Days

Una delle mie attività preferite, al computer, è navigare in rete alla ricerca di fotografie che riguardano me. Io non mi offendo mai se trovo la mia faccia in giro, anzi! Me la scarico e me la salvo immediatamente. In particolar modo mi interessano le immagini dei concerti che non posso farmi da sola.

Eccone qui un paio di domenica sera:



A parte la maglietta con il mostriciattolo che indossavo quella sera, che non c'entrava niente con tutte quelle camicie a quadri... Non sembro quasi quasi una Selvaggia pure io?

Tutte le foto su: www.facebook.com/sniboli 

lunedì 15 luglio 2013

Una giornata anomala

Ecco, dal titolo uno potrebbe pensare: "Chissà cosa le è successo?" e invece l'anomalia consiste proprio nel non avere impegni, nessun evento, nessuna lezione. Non ho prove, non ho concerti, neanche un appuntamento con amici... Agenda bianca, niente di niente... Ed è per questo che mi sento libera e felice, soprattutto libera. Libera di fare quello che voglio e quando mi pare e piace.

La Libertà, non è forse questo il dono più raro e prezioso?

Oggi potrei vivere anche senza guardare l'ora, quasi quasi spengo pure il cellulare e non mi faccio trovare da nessuno... non devo tener conto di niente e vivo la giornata per me, solo per me...
Stacco tutto ed esco a farmi i miei giri da sola.

Mi sento così spensierata che ho scritto questo post per condividere la serenità, perché spero di regalarne un po' anche agli altri. In questi momenti di difficoltà generale, di crisi, la felicità la si può trovare in tante piccole cose, senza andare sulla luna, senza gesti plateali, traguardi sofferti o spendere tanti soldi.

Io vorrei che tante persone nel mondo si sentissero come me, e non pecco di ingenuità nel dire che tutti potrebbero sentirsi così, basterebbe, a volte, lasciare il peso della quotidianità e ricordarsi... tanto tempo fa, quando eravamo bambini.
Eravamo felici con poco.

Tornare bambini per un giorno. Questa è la chiave di tutto.

Buon pomeriggio!

domenica 14 luglio 2013

14 luglio 2013

Questo è un evento dell'ultimo minuto. Questa sera andrò al Celtic Days di Ome. Ho scritto "andrò", perché quella è l'unica cosa sicura che farò. La band che suonerà mi ha proposto in questi ultimi giorni di aggregarmi con loro per suonare. Beh, io porto lo strumento, le parti me le troverò sul posto. Le canzoni le conoscerò suonando. E speriamo che vada tutto bene!

Ore 21 i Selvaggi band!


martedì 9 luglio 2013

Un anno fa

Qualche sera fa mi sono messa a cancellare i links inutili dalla mia pagina Twitter. Non ho mai usato adeguatamente questo social network, non avendone mai capito il funzionamento. 
Cioè: tecnicamente so come si usa, ma non capisco il senso di interagire postando non più di centoquaranta caratteri per volta e rispondendo ai "seguaci" pubblicamente. Non è un blog, non è una messaggeria. Non so cos'è.

Ma mi fa comodo perché è possibile collegarlo a tutti gli altri social network, così ogni volta che faccio qualcosa su Youtube, su Blogger, su Instagram eccetera, Twitter "scrive" gli aggiornamenti al mio posto. Il suo widget poi è carino (la colonnina dei tweets qui a sinistra) e mi evita la fatica di occuparmi anche di una sezione dedicata alle "news" per il sito.

Una sera però, rileggendo a ritroso tutti i miei tweets, ne ho ritenuti inutili e fuori tema tanti, come quelli che segnalano i video di mio gradimento su Youtube non inerenti alla mia attività, così mi sono messa ad eliminarli. Cancella e cancella, tornando sempre più indietro... sono arrivata alla data del 9 luglio di un anno fa.

Dov'ero io l'anno scorso, in questo stesso giorno?
Ascoltavo su Youtube le canzoni che mi piacevano.

Ho riflettuto un po', e ho deciso di non eliminare da Twitter i ricordi, la musica e le parole del 9 luglio.
Ci sono cose che non sono importanti, ma poi succedono degli avvenimenti, conosci delle persone e arrivi a dispiacerti di eliminare una data. Perché ora significa qualcosa. Che strano.

"San Francisco", di Scott McKenzie... Ma che bella canzone!

sabato 6 luglio 2013

Al Caffè letterario

Video della lezione-concerto di domenica 30 giugno al Caffè letterario. Buon ascolto!



Brani:

Oblivion (Astor Piazzolla)
Oh Danny boy (Traditional Irish)
Hit the road Jack (Ray Charles)

- Intermezzo allievi -

Summertime (George Gershwin)
Satin Doll (Duke Ellington)
Mary, young and fair (Traditional scottish)

***

Hanno suonato:

Daniela Tarolla: flauto
Thasala: saxofono, clarinetto
Tomislav Maggini: fagotto
Doriano Zappa: trombone

Cristina Zappa (allieva): clarinetto

giovedì 4 luglio 2013

Prati e nuvole


Quando ero a Lecco  e a Como mi sentivo lontana da casa nonostante i kilometri non siano molti, perché l'orizzonte è "circondato" da montagne. La stessa sensazione l'ho vissuta anche ad Aosta o verso le valli di Brescia. Quando non vedo bene, completamente, il cielo all'orizzonte, perché ricoperto dai monti, dopo un po' ho voglia di tornare giù. Ma non è colpa delle montagne.

Dalla parte opposta, in Irlanda non ci sono neppure le colline e gli orizzonti si estendono infiniti e verdi senza mai un raro profilo celeste di qualche modesto colle, e anche lì la vastità dispersiva mi ricordava, in mezzo al divertimento e all'avventura, che casa mia era lontana.

Per casa io non intendo l'abitazione in cui vivo. Ma l'ambiente a me familiare dove sono cresciuta e dove torno per trovare i miei punti di riferimento, i miei affetti, le mie abitudini e la mia traballante quotidianità. Le mie cose che non trovo, la mia stanza ristretta con i vestiti dappertutto, i miei sax spinti a forza negli armadi e negli scaffali. I negozi in cui saluto i commessi. Le strade da percorrere in bicicletta senza perdermi. 

Non vivo in una reggia ma è il mio nido costruito da me. Mi piace volare, andare lontano e sperimentare la vita. Ma sono un boomerang e torno sempre indietro.

I cieli e i prati, le colline e le distese d'acqua. 
Le nuvole. I campi di fiori, il vento e i colori.
Gli odori e i profumi. I suoni.

Mi perdevo fin da piccola ad osservare attorno a me la natura e a notarne i cambiamenti. 

Ricordo in California, un secolo fa oramai, l'immagine di due ragazzine col naso per aria, eravamo io e la mia sorella minore.

- Guarda - le dicevo - le nuvole... sono lontane!
- E il cielo è più grande! - osservò lei.
- Sembriamo più piccole...
- Mi vengono le vertiggini... 
- Proviamo a toccare le nuvole...

Alzavamo le braccia e saltellavamo per riuscire a raggiungerle. A casa ci riuscivo sempre, Ma non quella volta. E' un'illusione ottica: quando le nuvole sono basse e allunghiamo il braccio, l'occhio percepisce il dito vicino alle nuvole all'orizzonte. Se sono davvero troppo in alto svaniscono anche le illusioni.

Tutto ero azzurro e color grano. E gli abitanti del cielo irraggiungibili.

Ricordo invece del viaggio da Dublino per raggiungere la costa ovest, in macchina.
"Le nuvole" pensavo quella volta "mi vengono addosso".

Erano nuvole dense e gommose, come fiocchi di panna montata. Ed erano basse, così basse che non vi era molto spazio fra la terra e loro. Sembrava fossero sopra di noi, adagiate sulla macchina. Il cielo era coperto di nuvole. I prati verdi erano coperti di pecore. Così sia in alto che in basso si vedevano battufoli di cotone bianco. 

Il cielo d'Irlanda.

- Le nuvole qui sono più basse! - osservai.
- O forse siamo più in alto noi? - mi suggerì.
- No, no - contestai - sono le nuvole, non la terra. E' il cielo che è diverso.

Mi piaceva l'idea.

Quello che mi colpì in Sardegna invece, nel mese di luglio, furono i campi gialli.
La natura era chiara e giallo paglierino. Non ricordo la tinta verde, non ricordo tanti alberi e tronchi marroni. Ricordo distese di giallo. E il mare blu luccicante. 

Dove vivo io il cielo non è quasi mai azzurro carico, è sul colore sbiadito. Da lontano si vedono i profili delle montagne, le nuvole non sono ne alte ne basse. I prati sono verdi e le estati sono afose. Non so descrivere meglio la realtà. Perché non vi è molto di pittoresco. E' così.

A casa.

Ci sono nel mondo posti bellissimi da vedere, paesaggi artistici e colori e profumi che devo ancora conoscere. Tanti luoghi da imparare, persone da studiare e avventure da sperimentare.

Ecco... sono sempre irrequieta, con la voglia di fare, di vivere, di novità.
Ma oggi sono contenta di essere qui. Ho nostalgia delle persone. Di quelle che condividono la vita con me.

Tutto il resto, un'altra volta.


mercoledì 3 luglio 2013

Backstage

Volevo postare qualche foto musicale di ieri sera ma mi sono accorta che... ops! Non ho sul mio cellulare foto di noi tre che suoniamo, perché mentre ci esibivamo ero ovviamente impegnata e non potevo dedicarmi agli scatti. Però ho altre immagini di prima del concerto, "dietro le quinte".


Trio di scarpette rosse / Sfondo lago



Postazione



Prove volumi



Pausa







Nei camerini




Prima di andare in scena


Preferisco queste immagini alle foto scattate per il curriculum artistico. Perchè alla fine di ogni spettacolo, che sia andata bene o male, i ricordi più significativi sono proprio questi momenti, per me.

Qualche foto

Eccomi tornata da Cernobbio, lassù si stava freschi, Brescia è decisamente più "accaldata".
Cotta lo sono pure io dopo questa lunga giornata, adesso me ne vado a dormire. Eccovi in anticipo qualche foto scattata da Elena dell'agenzia.
Altre foto già caricate nel mio album Picasa "Live performances" e sul profilo Facebook della bella cantante Miza. Ne aggiungerò pure io qualcuno sul mio. A presto!


Miza Mayi trio: Elisa, Christina e Thasala

lunedì 1 luglio 2013

Scarpette rosse


Sembrano le scarpette magiche di Dorothy. Vernice rossa, tacchi luccicanti di paillettes!

Le indosseremo per suonare domani sera ad un evento privato a Villa Erba, perciò non posso pubblicare la data e invitare nessuno. Ma potete visitare la galleria fotografica di noi tre sul profilo Facebook della cantante Miza Mayi.

Mi piace tanto guardarle: è bella anche la scatola: elegante e femminile, tutta nera e rosa. Ho tante scarpe col tacco di diversi colori, ma rosse non le ho mai avute, e soprattutto col tacco così!

La parte più bella di domani, per me, saranno i nostri piedini!

Giovedì 4 luglio 2013 - "Et voilà le cinema"



Fonti: WWW.GUSSAGONEWS.IT

Un week end

Sabato sera, 29 giugno 2013

- Ti passo a prendere alle 21:45, è troppo tardi?
- Va bene, va bene, a dopo! - rispondo.

Guardo l'orologio: quasi le 21, conoscendola mi schiaccio un pisolino, perché so che passerà per le 22. Punto la sveglia, mi alzo, ma che sonno! E' tardi per tirar buca alle amiche e tornare a dormire? Gli antistaminici mi stendono. Mi preparo e sono pronta per le 22. Arrivano alle 22:10, non ci azzecco mai!

Scendo le scale, mi piace il suono veloce dei tacchi. Mi piace la mia gonna frou frou dai tanti strati di tulle nero. Rimbalzano su e giù quando corro. Sono struccata e tutta vestita di nero. Civetteria e faccia slavata in total black. Come le bambole per bambine oziose in pizzo e complicati fronzoli di Alice, che le colleziona.

Oggi mi sento così.

E' un ordinario sabato sera d'estate fra sole donne. Ma il tempo è autunnale e ci rifugiamo in un pub irlandese. Fuori fa freddo.

Cosa si dicono le donne fra di loro quando non ci sono gli uomini? In fondo nulla di così eclatante. Mi annoierei da sola a ripetere le conversazioni. E poi gli uomini non devono sapere tutto delle donne. Io non vorrei sapere tutto degli uomini. Per esempio: io non so ancora se le mutande e i calzini se li comprano da soli o ci pensano le donne, e non l'ho mai chiesto.

Il cielo smette di piovere e ci ritroviamo a passeggiare per il centro storico, che quasi deserto, con le piazze bagnate e pulite, il vento e le luci, io col naso per aria, mi rasserena. 

Io adoro l'autunno, è la mia stagione preferita, perché ricomincia la scuola con tante sorprese e novità... è la stagione della rinascita... E' il paesaggio con i colori più belli: caldi e rassicuranti. Il vento deciso dell'autunno spazza via la polvere e il torpore estivo dalle menti assopite, che si risvegliano e si preparano per un nuovo anno fra i banchi.

La gente si rintana e si ricomincia a preparare le musiche per i concerti di Natale... Le commesse studiano le vetrine per le feste, le maestre i lavoretti da far fare i bambini all'asilo. 
Mi piace perché è intimo. Tante immagini: fra le coperte al caldo, i fuochi scoppietanti, le castagne, il letargo, i film rannicchiati sul divano, le bevande e le cioccolate bollenti...

Ma!?! 

La scuola è appena terminata e siamo in estate! Non ho ancora fatto in tempo a intorpidire la mia mente dal caldo, non ho ancora la polvere in testa e non sono poi così abbronzata, è il 29 di giugno accidenti... e io sono ancora più fuori fase del solito. Perché i miei pochi punti certi della vita si sono messi a ballare e a disubbidire alle regole della natura? Adesso dovrei sudare e invece sono in giro con addosso tre strati di maglie!

Vado in crisi così.

- Sole, sole! Domani? Piscina? Ci sarà il sole? - invocano le ragazze. 

Questo è un angolo di piazza Paolo VI:


Siamo sedute sui muretti quando si avvicina a noi una traballante combriccola di ragazzi e uno di loro ci chiede:

- Ragazze, posso fare una foto con voi che oggi è la mia ultima serata da single?

I suoi amici sghignazzano. Ci mostrano delle foto che hanno appena scattato di lui con delle anziane signore dai capelli bianchi che hanno benevolmente acconsentito. 

- Non mi sembri felice di sposarti - osservo.
- Oh! Tutti che ti dicono la stessa cosa! - gli dicono i suoi amici.
- Ma no, ma no... Io voglio bene a Fabiola... Fabiola quando le voglio bene. Fabietta quando me la da. E Fabio in condizioni normali. Dai che così ho un ricordo e domani vi carico su Facebook... sorridiamo... grazie eh!

- Comunque non è con me che si sposa, eh! - precisa un suo amico.

Una mia amica ride divertita. L'altra scappa perché non vuole essere immortalata in momenti imbarazzanti.
Solo quando stanno per andarsene esclamo:
- Che hai in testa? Me ne sono accorta ora! Perizoma?
Vanno via ridendo e dicendo cose senza senso come quando sono arrivati. 

Penso al futuro sposo e un quesito mi passa per la testa:
- Ultima serata da single. Ma se sta per sposarsi non è tanto single...

Matrimoni. Faccende complicate.

La cosa più importante però è che da domani gireranno in rete delle foto di un avvocato e di una musicista con in mezzo un tizio con un perizoma da donna rosso in testa. 

Magari ci porterà fortuna, chi lo sa!

***

Domenica, 30 giugno 2013

Il clarinetto non è il mio strumento preferito. E poi è talmente piccolo e oscuro (è nero) che spesso non lo trovo. Di certo non è colpa mia che cerco sempre di togliermelo dalla visione e lo nascondo in posti che poi non ricordo di aver conosciuto.

Comunque, se a mezzogiorno del giorno stesso in cui dovresti suonarlo non lo trovi, e le prove sono alle 15, un po' ti viene il pensiero di cercarlo. E se alle 13 poi non trovi nemmeno le parti, ti viene il pensiero di cercare pure quelle. Dopo pranzo però: prima i bisogna primari.

E va tutto bene. Le cose non spariscono: sono per forza da qualche parte, saltano sempre fuori, bisogna avere fede!

Ho talmente tanta fede che decido di sfidare la sorte e di vestirmi interamente di viola, biancheria annessa. Questa cosa che non bisogna portare il viola negli spettacoli non l'ho mai creduta, e poi pure Shakespeare ha scritto un'opera con la protagonista che si chiama Viola. Non c'entra niente lo so: era per dire che lui non temeva di portare in scena il viola. Non so se mi spiego... 

Sono una ragazza fiduciosa della vita ma non così scema da guidare quando posso farne a meno. E' sempre quando devo esibirmi che stendo i pali e prendo i muretti. Così mi faccio portare dalla mamma. E poi sono vestita pure di viola, non si sa mai...

***

Sera.

E' andato tutto bene, siamo stati un bel quartetto. Il viola non porta sfortuna: lo sapevo. Mi sono così divertita!

Scendo in cucina, la cena c'è già. Ma mi chiede lo stesso:
- Vuoi pasta o riso?
Oggi, domenica 30 giugno, non deve tenere le nipotine, le mie sorelle non ci sono e io mi sento raramente figlia unica.

Sinceramente:
- Ho voglia di pasta -  rispondo.

Lei non batte ciglio e tira fuori un'altra pentola un po' più piccola. Taglia le verdure ma non i pomodori, perché quando le mangio poi mi vengono le chiazze rosse. Io mangio la pasta, gli altri il riso.

E' venuta pure a prendermi quando ho finito di suonare. E prima di uscire, davanti allo specchio che mi rimiro, accigliata mi dice quasi sempre:
- Devi suonare? Il tuo vestito è un po' stropicciato però. Te lo stiro.
Per lei i miei vestiti sono sempre tutti stropicciati. Per me vanno sempre bene.

Lo so che sono grande.
Lo so che so cavarmela da sola. 
Che non mi chiede mai dove dormo, quando non torno a casa la notte. 
Che così spesso si appoggia a me.

Ma certe volte.
Ho così voglia di sentirmi bambina.