mercoledì 27 maggio 2015

L'amicizia

In questo ultimo anno ho dovuto rivedere molto il mio concetto sull’amicizia, mi verrebbe da scrivere quante amiche si sono rivelate inattendibili o false eccetera… ma non voglio fare la vittima, e mi metto qui invece a guardare come mi comporto di solito come amica.

Quello che fanno gli altri non lo capirò mai fino in fondo. Quello che pensano, vivono o hanno vissuto, è un percorso che non è il mio e con fatica, mi astengo dal giudicare, anche se non credo che per ciò io debba essere la figura su cui sfogare il proprio vissuto.

Partiamo da questa storiella: ci sono due persone in barca, tu sei una di queste e stai remando. Pensi: che bella l’acqua, che bella questa giornata di sole, e sono in compagnia… sono felice… compagnia? Sei molto stanco e ti riposi un attimo, e ti accorgi che se ti fermi la barca non va avanti. Attorno a te un paesaggio silenzioso, di fronte a te la persona dormiente. Andavate avanti perché tu remavi. Tu faticavi e ti illudevi che la barca e il viaggio progredisse, ma sei sempre stato solo. Se tu fossi solo veramente, almeno ci sarebbe meno peso e andresti più velocemente, l’altra persona dorme, è un’illusione.

Lessi questa storiella su un libro scritto da una psicologa americana che trattava i rapporti di coppia. Si riferisce a quelle coppie, dove uno dei due fatica tanto per far funzionare le cose, quando un giorno apre gli occhi e si sofferma a riposarsi, si accorge però che l’altra persona non c’era mai veramente stata, che viaggiava da sola.

Io oggi non voglio parlare d’amore di coppia, ma di amicizia, e questa storiella mi serve per paragonare certi rapporti d’amicizia che sembrano andare avanti a fatica. Credi di avere degli amici. Poi quando tu smetti di cercare una persona, quel rapporto si dilegua.

Ho sempre avuto delle amiche e amicizie con cui passare del tempo, chiacchierare, confidarsi. Finché si era “nella stessa barca”. Ma nell’ultimo anno mi sono ritrovata, come nella storiella, più sola che mai.

Che è successo? E’ colpa mia? Sono stronzi gli altri? Sono stronza io?

Ecco, a sorpresa.
Ecco. Onestamente, non credo di essere una grande amica. E’ il mio pensiero su di me, non so se oggettivamente poi sia così.

In amore io do tanto e vivo fino in fondo, ma le amicizie le ho sempre viste come figure “interscambiabili”.

Mi ricordo fin da piccola, non avevo la mania della “migliore amica”. Qualche volta mi venne chiesto se volevo diventare “l’amica del cuore”, con imbarazzo… non ricordo cosa risposi. Di solito legavo con la compagna di banco, ma non sentivo con trasporto quel vincolo di “fedeltà” e intensa complicità che vedevo nelle altre amicizie.

L’amore è un rapporto romantico, spirituale e fedele, l’amicizia è un concetto cameratesco, ci sono milioni di persone al mondo, posso avere più amici e amiche senza legarmi a nessuno, l’ho sempre vissuta così.

Probabilmente questi miei pensieri sono filtrati nel mio modo di fare e le mie amiche hanno percepito qualcosa, oppure ho sempre trovato amicizie con persone che la pensavano come me, di conseguenza io ho avuto la stessa importanza per loro, come loro lo erano per me. Nel momento in cui nella loro vita c’è stato qualcosa di più importante, mi hanno lasciato remare da sola.

Mi vedo così. E dalla parte opposta, mi vedo invece bimba, che ci rimanevo male quando in seconda elementare la mia compagna di banco preferì mettermi da parte per essere più amica di altre bambine con i genitori che parlavano bene l’italiano. O quando in seconda media, Francesca preferì legarsi a delle ragazze che facevano già le superiori. Io ero acerba, senza libertà di uscita, straniera, non alla moda, forse la imbarazzavo.

Mi ricordo come se non fossi io, ventenne, di Elisa che disperata mi telefonava alle tre di notte, alle cinque del mattino, io lasciavo il telefono acceso apposta perché era appena stata lasciata e magari aveva bisogno di parlare. Ero io? Così disponibile? Mi sento sempre come se fossi cattiva, non so perché.

Ero sempre io che alle superiori, troncai tutte le amicizie che mi erano state vicine e senza spiegazioni proseguii sulla mia strada, senza più loro. Non volevo più essere fragile e non riuscivo a diventare forte con tutta quella gente che non voleva che cambiassi. Credevo che essere forte equivalesse a comportarsi da stronzi, e che la debolezza fosse perdersi nei sentimenti. Per questo dovevo chiudere col passato, loro volevano che io continuassi ad essere la Thasala “debole”.

C'era Sara. Sempre presa in giro. Quella scena di lei in ginocchio alla capoclasse per farsi ridare il cerchietto. Sara era brutta e un po' ritardata, la prendevano in giro tutte. Un giorno le chiesi cosa avrebbe fatto domenica pomeriggio, per uscire insieme a giocare a bowling e per prendere un gelato. Onestamente, mi annoiai a morte quel pomeriggio, a diciassette anni non era il modo migliore di passare il tempo, ma lei era felice e a distanza di anni penso di avere fatto bene. Quando le mie compagne di classe seppero che ero uscita con la "sfigata", presero in giro pure me.

Chissà cosa avranno pensato di me: Laura, Barbara, quando alle superiori mi allontanai. Che ero un’amica falsa e cattiva. Laura, so che ci rimase così male che pianse e la sua poca autostima che aveva ripreso un po’ con la mia amicizia, crollò del tutto. Barbara mio odiò.

Nei tempi recenti pure una mia amica ha chiuso tutti i ponti con me senza spiegazioni, come ho fatto io in passato con altre persone. La differenza era che io avevo sedici anni, lei oggi trentuno. Non so darle della stronza, forse solo immatura, io oggi forse, dico forse, non so se farei così. Ma io sono immatura in tante altre cose.

Le mie amiche che nel momento del bisogno sparirono? Avevano problemi più grandi di loro probabilmente. Ho tanto riflettuto se anch’io ho fatto così. Ma onestamente, credo di no. Io nel momento del bisogno, se potevo, c’ero. Anche solo con un sms da lontano, se non subito, il giorno dopo.

Penso di essere una buona amica. Forse amo più me che gli amici, tutto qui. Forse sono un po’ troppo diretta e mi infiammo facilmente, ma non ho mai pugnalato nessuno alle spalle.

Sono passati mesi, c’è stata tanta delusione, sconforto, abbandono e solitudine. Le amicizie si sono dileguate da sole, pazienza, me ne farò altre. Altre invece, poche, sono rimaste in piedi. E poi ci sono quelle che ho chiuso io, mica solo gli altri.

Che strano quando credevo che le cose fossero per sempre, colpa delle favole e dei libri con i loro: “E vissero per sempre felici e contenti” e i film con gli idilliaci: “The End”. Mi viene da sorridere. Non voglio pensare che tutto finisca, ma semplicemente, che tutto si evolve. 


venerdì 1 maggio 2015

Il mio Inno qual è?

Il 25 aprile, come tutti gli anni da tantissimi anni, sono a suonare per la festa, quella in cui si suona l'inno di Mameli. Così anche il 4 novembre, il 2 giugno, e per altre ricorrenze.

Osservo da fuori. Mi rendo conto in quei momenti di non essere e soprattutto di non sentirmi italiana. E' bello vedere le persone che solennemente cantano e si sentono appartenere ad una nazione, io non ho mai sentito questo, io non ho mai avuto un paese. 
Anche in quelle rare feste nazionali del mio paese, svolte in Italia, in cui da piccola i miei genitori mi portavano, io sentivo di non far parte nemmeno di quel "gruppo". Parlo perfettamente l'italiano e la mia lingua madre con accento straniero. So leggerla a fatica ma non so scriverla, e avendola parlata solo e sempre con i miei genitori in un linguaggio informale, non saprei affrontare un discorso formale e professionale in altri contesti. Sono una straniera per i miei "connazionali".

La bandiera che i miei considerano ancora, è quella gialla con le tre strisce rosse orizzontali, anche se dal dopo guerra è riconosciuta quella rossa con la stella gialla in mezzo. Ho due codici fiscali perché l'anno in cui sono nata il paese era già unificato, mentre i miei hanno sempre e solo tenuto conto del Vietnam suddiviso in nord e sud e dichiarato questo per me all'anagrafe. Per loro io sono nata nel sud, anche se l'unificazione è accaduta nel 1975.
Due codici fiscali ambigui. Due iscrizioni all'Inps, due versamenti come se fossi due identità diverse, due nomi, due persone incasinate. Chissà se avrò mai la pensione. 
Nei documenti, devo specificare una nazionalità e un'altra cittadinanza. Nei curriculum da quanti anni sto qui, per la questione della lingua e le scuole frequentate.

Non ho un mio inno.

Pure la religione. Da piccola cantavo nel coro del paese diretto dal mio insegnante di pianoforte. Era una bella cosa la musica, in tutti i contesti, perciò mia madre ci portava volentieri alle prove e la domenica mattina presto per cantare alle messe. Abbiamo fatto pure il grest e andavo all'asilo dalle suore, senza mai convertirci.
Se scavo nella memoria, credo di essere entrata nelle chiese quasi esclusivamente per suonare o cantare alle messe cattoliche o per visitarle con le gite scolastiche. 
Potrei dire quasi con certezza di aver messo piede una volta sola in una chiesa, con l'intento di pregare, per vedere com'è una messa, da spettatore, l'anno scorso. Per voi forse vedere frontalmente un prete che parla è normale, per me no. Per me la messa era quel momento in cui, con scarpette lucide, vestita di nero, si stava dietro all'altare in silenzio mentre la voce parlava, poi quando finiva si cantava assieme all'organista.
Ma io non sono cattolica e neppure cristiana. E credo di aver fatto, nonostante tutto, più messe io di un credente. Al primo matrimonio di mia sorella indossai un abito tradizionale durante la cerimonia con il monaco, e uno occidentale al ristorante. 

Ci stavo pensando. Chissà come dev'essere dire: "Sono italiana", senza averne dubbi, o: "Sono vietnamita", senza sentirsi stonati. 

Boh, io non sono né carne, né pesce. Quando facevo la barista, il proprietario del bar mi disse: "Sei un cocktail ben riuscito", almeno era un complimento.

Non mi sento vittima, chiariamo, sono solo pensierosa riguardo a queste cose, che mi vengono in mente nei contesti delle feste nazionali. Per me sono dei giorni di vacanza da scuola con l'impegno di suonare. Anzi, questo post mi è venuto in mente a seguito dell'esternazione di un mio amico, che con disappunto, ha detto che l'inno sacro e nazionale, tradizionale di Mameli, non doveva essere storpiato come hanno fatto all'Expo. Io non seguo l'Expo perciò non so come l'abbiano eseguito, ma è proprio per le sue parole: "tradizione, l'Italia, il nostro paese, la storia" che mi sono soffermata in queste considerazioni, altrimenti non mi sarei sprecata a scrivere sul blog.

Il mio nome significa "regina delle nuvole", o "nuvola d'oro", le nuvole non hanno un'appartenenza: vagano nel cielo per tutte le nazioni e in tanti continenti, e quando tornano non sono mai della stessa forma, cambiano continuamente. Mi piace pensarla così: il mio paese è il cielo, libera nell'aria e senza catene, senza confini, era questo il mio destino. 
Devo scrivere un inno tutto per me.