Sognavo corridoi bianchi e sporchi.
Scale a chiocciola senza fine.
Non riuscivo a guardare giù avevo tanta paura.
Di non sapere dove sarei andata giù.
Giù.
Invece percorrevo corridoi bui e neri e non vedevo nulla.
Non potevo sapere quanto era lungo.
C'era troppo buio.
E freddo.
Sentivo dei passi in lontananza.
Potevo indovinare la profondità del corridoio dai passi in lontananza.
In lontananza...
Lontananza...
Lontananza che diventava sempre più vicinanza.
Più vicinanza...
Vicinanza.
E io volevo scappare ma non potevo e mi sentivo la fronte impregnata di sudore.
E faceva freddo.
Avevo freddo.
Brividi di freddo.
E terrore.
E lei era lì con i capelli biondi, ricci e sporchi e il suo sorriso che mi rabbrividiva per tutta la schiena.
Portava due codini crespi legati in alto.
L'abito lungo di cotone bianco, sporco.
Scappavo da lei, ma lei era sempre vicino a me, sempre sul punto di prendermi.
Ma io correvo e lei camminava.
E sentivo sempre i suoi passi. I suoi passi...
Dei tamburi a ritmo regolare moderato.
Ricordo tutte quelle porte.
Tutte uguali.
Chiudi a chiave salvati.
Ma io giravo la chiave nella toppa dieci, cento mille volte e la porta era sempre aperta.
Nessuno mi protegge.
Alice si prendeva gioco di me nel mio paese in cui le meraviglie erano le pareti nude e sporche.
Sono passati tanti anni ma è ancora dentro di me.
A volte torna.
Per tutta la vita.
Sarò ancora la sua marionetta.
(Continua...)
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