sabato 10 agosto 2013

Fog City


Ho passato la mia infanzia in paese con la campagna da una parte e la statale dall'altra. Per quanto mi ricordo, il terreno da quelle parti mutava ad ogni stagione: verde e fiorito in primavera, giallo e arso in estate, umido e marrone in autunno, bianco e ricoperto di neve o brina in inverno. Lo potevo vedere dal balcone della cucina.

Accanto alla campagna vi scorreva il fosso, penso provenisse dal Chiese. Ogni volta che pioveva forte in estate io, mio padre e i miei fratelli dovevamo scendere nel garage inondato e svuotarlo con i secchi. Anche il vicinato faceva così. Spesso vi si trovavano rane e rospi naufraghi provenienti dal fosso, lumache senza guscio, pantegane e altre strane e misteriose creature: mettere in salvo e al riparo i passerotti o le uova che cadevano dai nidi e animali dispersi, era l'ordine del giorno.

Durante la bella stagione la notte era illuminata di stelle e lucciole e il giorno animato dai canti delle cicale. Noi bambini giocavano a "nascondino", "campana" e a correre sui pattini, ma appena soffiava l'autunno gli abitanti del paese calavano in un lungo sonno profondo, in attesa del ritorno del sole. Riapriva l'unica scuola locale e la gente si proteggeva dal freddo nelle case. Intanto il resto del mondo non si accorgeva di nulla se non di un manto spesso di nebbia al passaggio sulla strada.

All'interno di questo manto, come una nuvola grigia e umida, noi bambini ci svegliavamo al mattino e grazie alle lampade elettriche ci preparavamo per andare a scuola, ancora assonnati. Il pulmino lo si poteva scorgere solo ad un metro di distanza grazie ai suoi fanali: erano come due grossi occhioni rotondi. Cercava di farsi amico degli scolari, ma noi bambini eravamo troppo assonnati e svogliati per vederlo in simpatia.
Ricordo che mia madre scendeva presto all'alba per far sciogliere le strade ghiacciate affinchè mio padre potesse uscire con la macchina e andare al lavoro.

I pomeriggi erano lunghi e uguali, ma per fortuna avevamo una biblioteca fornitissima. Se non avessi avuto la compagnia di questi amici, avrei seguito la corrente del Chiese per noia, per vedere dove finiva. Io e le mie sorelle passavamo ore e ore al giorno a leggere, e a volte la più grande di noi leggeva a voce alta per le altre.
Ma a volte non avevo voglia nè di leggere, nè di ascoltare fiabe e saghe, così me ne stavo impalata davanti alla finestra immaginandomi il mondo oltre la coltre di Fog city. Mi immaginavo un paese dove il tempo scorreva e lungo le strade si potevano leggere insegne e cartelloni pubblicitari, semafori, ragazze vestite alla moda e macchine ultimo grido.

Eppure, nonostante i continui succedersi del rosso sole estivo alla lunga notte invernale, in paese tutto era immutabile. Neppure quando aprirono un sexy bar sulla statale, a due passi dalla nostra abitazione e l'indignazione delle paesane. Neppure quando una delle maestre se ne andò via verso la capitale, neppure al lutto di un nostro amico.


Era un paese morto.


Un giorno i miei genitori dissero a me e ai miei fratelli di fare le valigie perchè andavamo via. Non avevo molto da portar via, ma mi tenni stretta durante tutto il viaggio il mio cappellino di paglia con il nastro in tulle e la grande bambola di ceramica in abito da sposa.
Da un giorno all'altro dissi addio a quel posto e non ci tornai più.

Ora vivo in città, dove guido in mezzo al traffico e dove leggo i cartelloni pubblicitari lungo le strade, quando sono ferma al semaforo rosso. Nelle vetrine dei viali inondati di luce dei lampioni, sono esposti i manichini con capi all'ultima moda.

Due anni fa, per caso, sono passata sulla statale che scorre accanto alla Fog city: era estate. Sarei anche potuta entrarci, ma scelsi di no. Forse una parte di me vuole dimenticare quegli anni. O forse proprio perchè non voglio modificare quei ricordi che spesso mi riaffiorano alla mente ogni volta che osservo la mia bambola in abito da sposa. Quei ricordi fatti di rumore dello scorrere del fosso, cicale e rane, campagne distese di grano e i girasoli. Donne del paese, nuvole e stelle, il Chiese e mille insetti senza nome, come sconosciuti abitanti di un posto dimenticato da Dio.

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