Non ero un'adolescente come le altre, era come se fossi caduta in volo sulla terra per sbaglio ed avessi fretta di andare via.
Qui per errore. Disagio.
Mi sentivo come se ogni giorno dovessi giustificarmi:
Scusatemi se ci sono.
Quando piove mi vengono in mente diversi episodi.
C'era, c'è quel mio mondo privato, di fantasticare sugli sconosciuti, di immaginarmi le loro stravaganti vite che non conoscevo.
Una volta, pioveva forte e io camminavo in via Mazzini, come al solito senza ombrello, perché io lascio sempre in giro centinaia di ombrelli, sciarpe, guanti, cappelli. Ed è per questo che non ne ho mai uno.
Come al solito ero imbronciata e non vedevo dove andavo a sbattermi. Allora non portavo ancora le lenti a contatto, e mai mi sarei sognata di girare con gli occhiali, perchè da "quattrocchi" mi vedevo orribile.
Preferivo rimanere bella e vivere in un mondo dai contorni indefiniti. Poi, non c'era nulla di bello da vedere nella realtà, tanto meglio non accorgersi.
Sedici anni, quarantun chilogrammi distribuiti su un metro e cinquantasette centimetri, sessantasette con i tacchi alti. Ma io potevo andare in giro con le microgonne, le calze a rete e le maglie aderenti che non risultavo volgare. Le magre possono mettersi tutto!
Pioveva a dirotto, dicevo, i capelli e tutto il mio corpo erano inzuppati. La camicetta scollata appiccicata alla pelle. Pure l'acqua dentro le scarpe col tacco alto. Alla fermata dell'autobus ognuno si faceva i fatti propri, sotto gli ombrelli e riparati dal paletot. Mi sembravo l'unica a curiosare quella strana gente.
Magari io col trucco colato, il rossetto abbondante e le calze provocanti sembravo una straniera da stare alla larga. Infatti: mi stavano alla larga.
Ma c'era un ragazzo, credo mio coetaneo, che mi osservava. Gli rivolsi un'occhiata. Guardai il cielo gocciolante e guardai di nuovo lui.
Mi sorrise, si staccò dal muro, venne verso di me, allungò il braccio sulla mia testa fradicia e divise il suo ombrello con me.
Ci parlammo? No.
Gli dissi solo: "Grazie".
Rimanemmo in silenzio sotto la pioggia, due sconosciuti qualunque sotto lo stesso ombrello ad aspettare lo stesso autobus. Mi sentii meno abbandonata, discriminata ed ignorata dal solito.
Dal solito mio essere adolescente sbagliato, rimproverato e invisibile di tutti i giorni.
Mi sentii protetta. Non mi capitò più di sentirmi così per molto, molto, troppo tempo.
Scesi io prima di lui.
Poi, non ci rivedemmo più.
Fine della storia.
Sono passati tanti anni. Spesso mi ritorna in mente questo episodio.
Quel giorno non ero stata sulla terra per disturbo, perchè qualcuno mi aveva notata e non per qualcosa di brutto o sbagliato in me. Solo per ripararmi dalla pioggia.
E' bello l'ombrello, quando si cammina sotto in due e quello più alto lo tiene per riparare entrambi.
Per questo, non lo porto mai. Sono anche, sempre, la più bassa.
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