lunedì 28 settembre 2015

Ridere

Scriverò  un post sui clown, mi ha sempre coinvolto questa maschera. 
Coinvolta nel senso, che mi fa tanta paura.



domenica 27 settembre 2015

I miei difetti perfetti

Oggi ero a pranzo da mia madre, e c'erano anche le mie nipotine gemelle, di quattro anni. Una non ne voleva assolutamente sapere di mangiare la carne. Dopo aver insistito un paio di volte, io ero dell'idea di lasciare stare, ma mia madre ferrea: "Deve imparare a mangiare tutto!"

Mi è venuto un déjà vu. Anch'io da piccola ho patito spesso a tavola perché mia madre insisteva che mangiassimo tutto. Risultato? Mia sorella maggiore non sopporta pomodori e formaggi, perciò odia tutti i primi e gran parte della cucina italiana, mangia tantissima carne cruda, rossa e solo riso.
Mio fratello mangia insalata e verdura solo sotto tortura. Io sono diventata vegetariana, e mia sorella minore l'unica carne che mangia è il pollo, e forse qualche volta gli affettati. 

Non voglio dire che sia sbagliato il pensiero di mia madre, ma che alla fine non è servito a nulla. Proprio a nulla. Tutti, e tutti gli adulti che conosco, non mangiano tutto, hanno diversi gusti a tavola e vivono normalmente.

Per me certe cose che si impongono ai bambini sono una perdita di tempo. Io con mia nipote ho pensato: "Non le piace la carne bovina, sostituiamo con altre proteine e ferro", perché alla fine ci alimentiamo per questo: per introdurre nell'organismo carboidrati, proteine, lipidi, vitamine, sali minerali, e per il piacere del palato, non per farci violenza. 
Oltretutto poverina, con l'esempio della zia che non tocca nessun tipo di carne e tira fuori dal frigo un uovo, mi sembrava molto confusa. Per fortuna sono abbastanza autoritaria in alcune cose e oggi mia madre mi dà retta, pur brontolando un po', alla fine le ho dato un po' di uova, ed era tutta contenta. 
Capriccio? A dire il vero, se ad un bambino piace mangiare qualcosa, non gli viene proprio in mente di dire di no. Quando le si mette il pollo in tavola, bisogna addirittura imporle dei divieti per fermarla.
E' così importante riuscire a mangiare carne bovina nel corso della vita? Influenza sul rendimento scolastico, sportivo, lavorativo, sentimentale?
Direi di no.

Le persone sono tutte diverse fra di loro e ci sono gusti innati e predisposizioni biologiche che si rivelano perfette per la loro natura. Per esempio, io sono stata spesso sgridata e ripresa, e sentita sbagliata, per l'orario del mio sonno: fin da bambina ero predisposta a fare tardi, più tardi degli altri bimbi, e a dormire al mattino.
E non era assolutamente abitudine: nonostante i tredici anni scolastici più uno di università, io non mi sono mai abituata. Andavo a scuola ma iniziavo a capire cosa stava succedendo molto dopo, la mia mente non è mai stata lucida e presente fino ad un certo orario, mentre sono in grado di leggere e fare giochi logici di diabolica difficoltà mentale, senza problemi fino a notte fonda.
Mia madre invece, è una che si sveglia al mattino presto e la sera crolla, così: naturalmente, mentre mio padre, me lo ricordo: stava alzato di notte per progettare e al mattino dormiva.

Si dice sempre che sia abitudine, ma non è vero: le gemelle sono l'una come mia madre e l'altra come mio padre, fin dai primi mesi di vita.
A volte riesco a svegliarmi presto ed ammetto che è bellissimo avere la mattina più lunga, ma se vivessi senza sveglie, il mio risveglio naturale è attorno alle otto e mezza, nove e mezza del mattino circa, e rendo subito e molto di più.

Altra mia caratteristica è essere predisposti a mangiare e a dormire ad orari indefiniti, quando invece si dice che bisogna seguire la routine.

In verità, io sono perfetta. Sono perfetta perché essere musicisti non vuol dire solo suonare, ma fare spesso tardi la sera, andare a dormire tardi e in alcuni giorni, mangiare quello che capita nei ritagli di tempo, fra una prova e l'altra. A volte un panino, altre un sontuoso rinfresco. O un lauto banchetto. Mi adatto senza problemi, gusto e godo i pasti, in un ristorante a cinque stelle o su di una panchina con una pizza al taglio senza problemi. Mi piace mangiare in compagnia, questo è l'importante.

Quando la gente mi stressa e mi dice che fatico a lasciare il letto la mattina, anzi mi critica come se fossi una fannullona, io mi giustifico che faccio tardi la sera perché ho le prove, perciò per dormire otto ore devo spostare tutto, ma lo dico per essere lasciata in pace, in verità è esattamente il contrario: proprio perché non ho difficoltà a fare tardi la sera e mi piace crogiolarmi fra le lenzuola al mattino, quello che faccio è su misura per me.

Venivo anche ripresa perché mi pavoneggiavo davanti allo specchio, criticata perché ero una bimbetta vanitosa, come se la vanità fosse un peccato terribile. Una volta, ricordo, feci impazzire mia madre prima di uscire, perché mi aveva fatto i codini e io insistevo che non erano alla stessa altezza: un codino era più alto, e volevo che lo rifacesse. Lei perse la pazienza e mi lasciò andare in giro disperata e a disagio, perché avere i codini di altezza differente mi faceva sentire insicura.

Anche da adolescente venivo sgridata perché mi truccavo per stare in casa. Forse truccarsi era esagerato, ma il fatto era che io avevo questa innata mia esigenza di sentirmi sempre carina in ogni circostanza. Ce l'ho anche oggi, e per fortuna, perché mi viene da sorridere ogni volta che leggo dei consigli per le donne sulle riviste femminili: consigliano di prendersi cura del proprio aspetto fisico anche in casa e di non apparire mai o troppo spesso sciatte per non allontanare fidanzati o mariti. Ecco, penso, l'ho sempre fatto per non allontanare il mio specchio, e venivo sgridata!

Non mi andava bene qualunque cosa, per esempio, mi è rimasto impresso il grosso complesso di avere lo stemma marrone col telefono grigio cucito sul mio grembiule e su tutte le mie cose, all'asilo. I grandi me l'avevano scelto senza consultarmi e credendo che un disegno valesse l'altro, ma io invidiavo tantissimo la mia amichetta che aveva il fiorellino giallo su sfondo verde.

Sapete che dico oggi? Io ero, e sono perfetta così.
Una delle cose per cui mi piace andare in giro a fare spettacoli, è proprio il dover scegliere abiti, truccarsi, prepararsi, agghindarsi, mostrarsi al pubblico, sentire il potere della vanità e femminilità portata allo scoperto in quei momenti. Se fossi più discreta o semplice, magari mi sentirei a disagio a farmi vedere o non avrei voglia neanche di prepararmi.

Ed ero distratta, non ripetitiva, svagata.

Poi, faticavo un sacco a stare nello stesso posto tanto tempo, come a scuola, seduta su una sedia per cinque o sei ore. Ma mi stancavo anche a stare in piedi, volevo vivere in modo da sedermi e alzarmi, camminare o poltreggiare quando volevo, non quando me lo dicevano gli altri. E allora mi dicevano che avrei dovuto imparare e sopportare, perché qualsiasi lavoro obbligava a stare seduti a lungo o in piedi. Avrei anche dovuto adattarmi alla quotidianità, che comportava le stesse persone tutti i giorni. Lo stesso luogo tutti i giorni. Gli stessi orari tutti i giorni, tutto quello che cioè, mi avrebbe fatto scoppiare, perché contro la mia natura incostante.
Insomma ero incostante, fannullona, ed incapace a sottostare alle regole, che brutto destino avrei avuto!

Tutti quelli che erano miei difetti, come quello di essere più tranquilla in privato e più esibizionista quando c'erano persone, come quello di trascurare la scuola e i doveri per suonare (musica, cioè passatempo, non roba seria), erano solo indizi di quello che era giusto per me: non avrei potuto fare altro di quello che sto facendo oggi. 

Oggi cambio luogo di lavoro ogni giorno. Dopo otto o nove mesi, quando non ne posso più delle abitudini e delle stesse facce, si interrompe per forza il lavoro e per qualche periodo mi allontano, giusto il tempo che mi ci vuole per non farmi venire la fantasia di cercare nuovi lidi, cosa che farei se fossi un'impiegata...

Quando insegno mi siedo o sto in piedi, o parlo guardando la finestra, quando lo voglio io. I giorni in cui ho più voglia di suonare e non di parlare, faccio un sacco di duetti e musica d'insieme con i miei allievi. Quelli in cui mi sento più loquace spiego. Le lezioni inziano dopo pranzo e la mattina ho tutto il tempo di esercitarmi senza dover per forza rivolgere la parola a qualcuno e di riconnettermi con la realtà, senza violenze quotidiane.

Ho fatto un sacco di lavori nella mia vita: barista al mattino, barista e/o cameriera la sera e notte. Baby sitter, segretaria, telefonista, impiegata, commessa, operaia. Ho cambiato un sacco di posti e datori di lavoro, colleghi. Mi sentivo sempre sbagliata e in errore.

Ma lo sbaglio non ero io: ero troppo tonda per adattarmi ad un quadrato, dovevo ricrearmi attorno il mondo rotondo.
Sarebbe lo stesso disagio di un quadrato che cerca di essere tondo: non si può... obbligare per esempio mia madre a stare in giro quando fa buio la madrebbe in crisi e soffrirebbe molto. Lei quando cala il sole si sente protetta in casa. Punto. Non potrebbe mai andare in giro a fare concerti e guidare da sola lontano.

Mi ci è voluto tanto per conoscermi e capire che tutto quello per cui venivo rimproverata e giudicata sbagliata, da "aggiustare", erano caratteristiche giuste per fare il mio attuale lavoro.
Per questo, dopo aver sofferto per buona parte della mia vita, oggi osservo i bambini, i ragazzini e cerco di capire le loro predisposizioni, che non significa solo valutare le loro materie preferite, ma anche caratteriali. Nessuna caratteristica caratteriale è veramente un difetto, se si cresce con la morale. Anche un bambino con "troppa" energia e tendenze "manesche", potrebbe essere un futuro lottatore e finire alle Olimpiadi... 

Ogni pregio potrebbe essere un difetto. Ogni difetto potrebbe essere un pregio. Mi piace questa frase.
Come le due facce della medaglia.
E' bellissimo per me oggi, iniziare la mia giornata e sentire che le cose si sono modellate attorno a me.
E mi sento giusta, sono io che sono arrivata da sola a sentirmi così. Una grande e dura conquista.

Voi vi sentite giusti?


martedì 22 settembre 2015

L'antagonista

Perché non la invitarono alla festa (il motivo ai bambini non venne mai spiegato) ma fu per questo che si arrabbiò tanto, la fata cattiva nella fiaba de' "La bella addormentata nel bosco". Mentre i grandi narravano la storia, distinguendo nettamente il bene dal male, i buoni dai cattivi, a me, sinceramente, faceva tenerezza: la vedevo originale, ma abbondonata ed emarginata da tutto il regno, ed etichettata come cattiva. Il fatto è, che se ti considerano cattiva, o diversa, perché ti isoli o sei selvatica, poi diventi cattiva per davvero.

Già.

Ma solo io la pensavo così. Le antagoniste mi erano sempre simpatiche, come Milady, per esempio.
La sapete la storia? In breve: lei era la bionda, bellissima e adorata moglie di Athos, un giorno cadendo da cavallo, lui la soccorse e scoprì il marchio del fiore di giglio sul braccio... devo aprire una parentesi a questo punto del romanzo: io mi chiedevo come un marito potesse solo in quel frangente vedere la pelle nuda della moglie, in un posto mica tanto nascosto. Vabbeh che andavo alle medie quando lessi per la prima volta "I tre moschettieri", e di sesso non ne sapevo tanto, ma questa curiosità me la sono sempre portata dentro... come facevano l'amore ai tempi di D'Artagnan in Francia???
Chiusa questa parentesi, quando quindi Athos scoprì il marchio della moglie, adorata fino a cinque secondi prima, sapete che fece? 
Come farebbe un uomo innamorato? Beh io chiederei la motivazione, vorrei farmi spiegare, poi capire se la donna si è redenta: tutti possono commettere errori ed avere una seconda possibilità, e cosa più importante: se ti ama. Non c'è mai scritto se Milady avesse amato Athos veramente o no. 
Ma lui non fece nulla di quello che farei io, se fossi un marito innamorato e scoprissi la fedina penale sporca di mia moglie che amo tanto. 
Lui la ripudiò immediatamente. Forse che lo scrittore Alexandre Dumas era a corto di idee e non si inventò una storia plausibile nella storia, per spiegare l'origine del marchio? Io non ricordo di averla letta, raccontata da Milady, ma solo che dalla delusione, il nobile conte, o duca, quello che era Athos prima di arruolarsi insomma, la cacciò via. Senza rimorsi e rimpianti. 
Ricordo poi in qualche punto del libro, dove venne spiegato brevemente che lei aveva raggirato un prete per i suoi vantaggi, tuttavia, nessuna scusa mi parve abbastanza plausibile per la reazione di Athos. Quasi come se nei romanzi di fantasia, il cattivo è sempre cattivo, e il buono sempre buono. Senza tonalità grigie e complicazioni psicologiche.

Uno psicologo ai giorni nostri analizzerebbe, tramite qualche seduta, la testa del'ex consorte del moschettiere e direbbe: "Povera infanzia di Milady! Orfana, povera e cresciuta da sola, senza guida, senza affetto, senza una famiglia. Che poi era pure inglese e come mai stava in Francia? Aveva bisogno di guadagnarsi da vivere, ma voi nobili nati nella bambagia e senza problemi di sopravvivenza non capite un cavolo!"
Allora l'antagonista farebbe pena, capiremmo la sua sete di rivalsa, l'ambizione di sfruttare la bellezza per entrare a far parte della nobiltà, scalare la società e diventare un qualcuno, sentirsi importanti, una volta nella vita! Ci commuoverebbe e diventerebbe un'eroina".

Là verità...

La verità per cui provavo empatia ed attrazione per le cattive delle storie, era che io ero sempre l'antagonista. Forse anche oggi. Gli antagonisti sono cattivi, e il male perde sempre. Infatti, le cose mi vanno sempre difficili.
Non mi sono mai sentita la protagonista della mia vita a lungo, chi ha scritto questo romanzo mi ha designata così: asociale, "piccola e scura come quelli del popolo fatato"... no, quella era Morgana. Morgan le fay era cattiva, brutta perché bassa e scura. Ginevra era la buona. Mamma mia, che donna irritante era Ginevra: bionda, bigotta, timorosa di tutto, ignorante come una capra, principessina. Che poi: lei tradiva Artù con Lancillotto, non è che fosse tutto questo stinco di santo. Però lei era buona perché cristiana (le cristiane tradiscono i mariti?) e faceva la dolce virtuosa.

Io, invece, volevo essere libera da pregiudizi e sapere fare incantesimi come Morgana, volevo conoscere le persone, vivere ed essere bella ed intelligente come Milady, non volevo leccare i piedi del re e della regina per essere la buona della storia. Il prezzo da pagare, cioè le sfide e l'emarginazione era di certo alto, ma cavolo, essere falsi, per me era molto più umiliante che vivere da antagonista.

I miei primi ricordi di diversità, risalgono ai tempi dell'asilo nido. Non che mi ricordi molto, delle mie immagini trovano oggi spiegazione e conferma grazie a quello che mi dice mia madre: cioè che per motivi di logistica, finii alla scuola materna delle suore, benchè fossi in età da asilo nido, con bambini quindi più grandi di me. 
Non potendo partecipare alle attività, io ero quella non solo straniera, ma che dormiva nella brandina anzichè giocare, portava il pannolino, doveva farsi imboccare per mangiare e avevo sempre attaccata suor Maria Rosa alle calcagna.
Anche alle recite scolastiche ero sempre truccata (neanche tanto) da straniera venuta da lontano. Nel presepe umano della scuola, alle elementari, non sapendo (o non volendo?) mettermi in camicia da notte della mamma, e mettermi nel mucchio degli angioletti assieme a tutte le altre bambine dalla pelle bianca e gli occhioni da bambola, pensarono giustamente di vestirmi da zingarella e mettermi vicino ai Re Magi. 
Le bambina più speciale faceva la Madonna: bionda, fine e spirituale, la bambina più bella della scuola. Perciò io non ero la più speciale: ero la zingarella. L'unica zingarella, con il gilet rosso, la sottana lunga da gitana, il fazzoletto scuro con i fiori in testa e la camicetta bianca.

"Ma che ignoranti! Io ti avrei messo in primo piano fra gli angioletti! Un angelo orientale, sai che bello? Le maestre hanno perso una così bella occasione per insegnare qualcosa di bello a dei bambini!" esclama la mia amica regista, che di lavoro "serio" è una maestra delle scuole elementari. "Che poi, la Madonna non era neppure europea, non doveva essere bionda con gli occhi azzurri!"

Ecco, dai tempi molti remoti, iniziai a vedermi come un'originale, sì, ma originale nel senso di non far parte di un gruppo, come le antagoniste, come le cattive delle fiabe. I miei capelli sono da Lucifero: avete mai visto una fatina celeste o un angiolo, un putto svolazzante nel cielo con i capelli neri e lisci?


A volte però, mi soffermo, e mi chiedo: ma chissà, come ci si sente ad essere le protagoniste delle fiabe? Quelle con il lieto e sospirato finale, quelle che incontrano il principe azzurro e sono felici, amate e buone, benvolute da tutti. Quelle dalle esperienze che finiscono bene, che quando compare la scritta. "The end", vengono fermate nello scatto sorridente. 

A volte però, non so se riuscirei ad esserlo, perché si cresce, e si tende a dare quello che si è ricevuto. Ad essere quello che si è abituati ad essere visti. Forse sì, a volte mi sento la protagonista e mi piace tanto, ma poi, credo che sia una breve novella, uno sbaglio, non un romanzo vero, perché subito le cose cambiano. Non rimango mai la protagonista a lungo.

Vorrei riprendere tutti gli antagonisti delle storie, riscrivere i romanzi dal loro punto di vista, cambiare i finali. Sarebbe bello se anche loro avessero la loro rivalsa. Una vita di lotte e di avventure che le principesse si sognano, nella loro monotona realtà.
I buoni, che di solito sono buoni per la società, perché fanno le cose giuste che garbano agli altri. Sono sempre tanto noiosi e ridicoli. 
"Sì, sì, sì..." dicono sì. Le principessine bionde, non sanno fare nulla. Sono paurose. Non si buttano.
Ma che c'è di bello a vivere così?