mercoledì 30 marzo 2016

Io e gli animali

Spesso mi viene consigliato di tenere un animaletto per farmi compagnia, perché vivo da sola e questa condizione sembra molto dura agli occhi di chi non è abituato. Io ne parlo poco, ma non lo tengo perché il mio rapporto con gli altri esseri viventi, animali compresi, ma soprattutto con loro, è troppo complesso. Io non mi sento adeguata a prendermi cura degli animali... cioè, no: il contrario, sono la persona più indicata, responsabilmente ed emotivamente per farlo, ma il casino che c'è in me si rifiuta di prendere a cuore (di nuovo) altri incarichi di questo tipo. Lo farei se avessi la certezza e il tempo per farlo bene; diversamente, il disordine, la pulizia, le spese che ora non sarei in grado di sostenere, mi farebbero sentire nervosa ed in colpa.

Partiamo dal fattore principale: io non ho bisogno di compagnia, quando arrivo a casa non sento l'esigenza di ricordarmi di qualcuno. Perciò se ne tenessi uno non è per risolvere qualche mia mancanza, quanto per salvare dalla strada e dal suo destino qualche bisognoso. Come quella mia amica pazza che decise di adottare un cagnolino e si informò su quale fosse il canile più brutto e più bisognoso d'Italia, poi prese la macchina e guidò da nord a sud per centinaia di chilometri per andare a salvarne uno.
Ecco, io non amo guidare e per pigrizia non lo farei, ma sicuramente andrei a prenderne uno dal canile più povero ed in difficoltà di Brescia o provincia.

Al momento non ho lo spirito giusto per farlo: ho pensieri miei per la testa, tante cose da fare, non mi sento generosa per ogni giorno portare a passeggio un cagnolino, farlo giocare, lavarlo, per tenere pulita la lettiera di un gatto, per fargli compagnia. Per cambiare l'acqua ad un pesce o per pulire la gabbia ad un criceto. Spesso ho la dispensa ed il frigo vuoto per me, che al limite me la cavo con una telefonata o una capatina dalla mamma o qualche cosa di veloce comperato di passaggio... ma se avessi un animale non potrei trattarlo così. Io sì, ma lui no. 
Diciamo che ho una certa dose di egoismo e non ho voglia di pensare agli altri.

Ho avuto tantissimi animali nella mia vita: avevamo una decina di criceti, gatti, cani, pesci, tartarughine, canarini, tortore. Mi ricordo in campagna i vari passerotti caduti e salvati dai nidi, i ricci dispersi rimessi nell'orto. Gli animali morti tragicamente: un cane fucilato dai vicini, una gatta investita nel mese di novembre, qualche giorno prima del mio compleanno, era incinta in stato avanzato e morirono anche i cuccioli in pancia. Un altro gatto disperso e mai più ritrovato.
Traumi, furono traumi improvvisi e mi ricordo il mio dolore di bambina e in seguito di ragazzina e adulta per queste perdite.

La cosa particolare è che non ero mai stata propensa a prenderne uno, non di mia iniziativa, erano sempre stati gli altri a trovarli carini e a prenderli, ma una volta avuti, ero quella a cui stava più a cuore la loro sorte: quando attorno a me, passato l'interesse iniziale si scaricavano le fatiche, rimanevo io, col freddo, il sole e la pioggia a portare in giro i cani. Combattendo stanchezza e pigrizia. Ad investire i miei risparmi per tenerli bene. Io e mia madre: donna terrorizzata dai cani e dai gatti, ma che fino alla fine si ricordava ogni giorno di come stessero e spendeva soldi e tempo per occuparsene, togliendoli a sè stessa, senza mai toccarli e nemmeno avvicinarsi, se non protetta dalla finestra chiusa, da dove li osservava e studiava con curiosità.
Le ho passate, sì, tutte queste cose. Perciò so come si fa a tenere bene un animale, e cosa significa per loro.

E ho visto anche cani regalati via come pacchi regalo perché i proprietari non potevano più occuparsene, che poi morivano di nostalgia, gatti investiti e scappati via perché era troppo alta la spesa per farli castrare o sterilizzare.

Io penso che non bisogna tenere animali per avere compagnia, per sè stessi, ma con lo spirito di prendersene cura per tutta la loro vita.

Voglio raccontare un aneddoto riguardante uno zio di mia madre: noi crediamo nel karma, e questa storiella sembra insegnare qualcosa.

Questo mio prozio amava tenere in una enorme gabbia in giardino, uccelli colorati di tutti i tipi, e nei vasi i bellissimi pesci dei climi caldi.
Ogni giorno usciva in giardino a rimirare i volatili che dovevano farsi bastare un pezzettino di aria per volare e i suoi pesci. Era una persona di buon cuore, ma aveva questa passione, oltre a quella di fare lunghe passeggiate e giri in bicicletta: era molto attivo, amava muoversi, correre, nuotare, godersi la libertà.

Un giorno fece un terribile incidente, e a quarant'anni rimase paralizzato, legato ad un letto. Quando non dormiva, lo portavano sempre un po' nel suo verdeggiante e vivace giardino a prendere aria, in quel bel paese sempre estivo, ma non potè mai più "librarsi" nell'aria e tuffarsi nei ruscelli e nel mare, proprio come i suoi meravigliosi uccelli e i suoi natanti. Osservava il cielo malinconicamente, guardava gli altri liberi di fare tutte quelle cose che lui non poteva più. Finì i suoi giorni così, in tristezza, morendo giovane.

Alla sua morte, i parenti liberarono nei fiumi e nei mari tutti i suoi pesci, da dove venivano, e aprirono le gabbie: quelle splendide e superbe piume, superata la fase di stupore e di diffidenza, cercarono di spiccare il volo, dapprima maldestramente, come se non avessero mai volato veramente nella loro vita, poi, provate le ali, volarono sempre più su, raggiungendo i loro simili, in alto, in cielo, cinguettando e cantando, senza più confini.

I parenti pensavano che così, avrebbero alleggerito il suo karma, oltre al fatto che nella sua vita avesse già comunque appreso duramente la lezione di comprensione verso gli altri (gli animali hanno un'anima quanto gli uomini) e di gioia della libertà: solo quando si perde una cosa che si ama si comprende il suo valore.

Concludo con questa frase. Alla domanda: "Che cosa significa amare?" la risposta fu:
Se ti piace un fiore lo stacchi e lo raccogli, se lo ami lo annaffi e te ne prendi cura.



giovedì 10 marzo 2016

Thasie "Prof."

Ho sempre pensato che insegnare nelle scuole pubbliche non fosse il mio grande sogno, diversamente dai miei amici, dopo il diploma e la laurea, non mi sono mai informata su argomenti come: graduatorie, punteggi, e tutte le questioni legali e pratiche per procedere in tal senso. 
Sinceramente, mi stupivo e non capivo tutte queste corse e tutti i sacrifici in termini di soldi, tempo e fatiche, per accappararsi un posto come insegnante delle scuole medie. Cosa c'era di bello nel passare le mattine insieme ad un gruppo numeroso di ragazzini costretti a stare lì, costretti nel mio caso a studiare musica? 
A me non piace occuparmi di persone disinteressate a studiare la mia materia, e non ho neppure la vocazione di convertire qualcuno. 
Per quel che mi riguarda: o ti interessa, o non ti interessa, e credo pure che nella vita non sia necessario dover sapere suonare, soprattutto, penso che sapere allietare le orecchie col canto o uno strumento musicale, non sia una cosa alla portata di tutti.
Cioè: c'è chi nasce con delle capacità e chi no, chi con attitudini particolari e chi no, semplicemente. Certo, ciò non toglie che tutti abbiano la possibilità di canticchiare e strimpellare, ma dev'essere una scelta, non un'imposizione.
La scuola può e deve obbligare a conoscere materie come la lingua, la matematica... ma la musica? Io darei la possibilità di sceglierla come materia opzionale. Uno si iscrive a scuola, e può crearsi un piano di studi sin dalle medie, scegliendo fra varie materie artistiche come il teatro, la danza, la musica. 
Oltretutto, uno fa il conservatorio principalmente perché gli piace suonare il suo strumento. L'educazione musicale, come viene fatta in Italia, è frustrante per un musicista: non si può assolutamente dire che insegnare a suonare il flauto sia fare quello per cui si ha studiato. Insegnare a suonare nelle accademie il saxofono magari sì. Ma il flauto no. Per carità.
Quando chiedevo ai miei amici cosa ci trovassero di tanto bello nell'anelare a fare i "professor-fessi" nel pubblico, mi rispondevano: "Cavolo, hai il posto fisso, stipendio fisso".
Tutto qui??? Solo una minima percentuale, ma credo nessuno "per intero", mi ha mai risposto: "Oh! Io adoro insegnare, era quello che volevo fare fin da piccolo/a".

Ma ne vale la pena di fare questo lavoro per un posto fisso?
Avendo io fatto centinaia di lavori, come ho scritto nel mio "curriculum lavorativo", direi proprio di no. 
Ma no! 
Ma no! 
Ma nooo!

Ad una certa veneranda età, dopo che tutti mi chiedevano perché gli altri insegnavano alle medie e io no, e con incoraggiamento, stupore, esempi come: "Angelo insegna, prova chiedere anche tu"... come se fossi troppo ingenua e non lo sapessi, e soprattutto perché una mia amica un'estate mi aveva riempita le orecchie con argomenti che ho rimosso, con termini importanti come: documenti, CGL, punteggio, III fascia, supplenze eccetera, mi sono ritrovata inserita pure io a queste maledette graduatorie statali.

All'inizio non me ne importava, ero contenta quando una supplenza veniva assegnata a qualcun altro. Molto meglio passare le mie mattinate a suonare, a preparare spettacoli e soprattutto a non avere a che fare con bambini-ragazzini rumorosi da tenere a bada. Magari maleducati, senza senso civico: non ho pazienza, io.
Non ho scritto in fronte: "Suor missionaria".
Dopo un po' ho sperato però che toccasse pure a me, così: per spirito competitivo, perché gli altri sì e io no?
Oggi che ci sono finita dentro, a fare la supplente, posso confermare quello che razionalmente ho sempre osservato con sospetto: fare la "professo-fessa" è il lavoro più brutto che abbia mai fatto. 

Mi mancano ancora pochi giorni per finire questo mandato. Poi ne parlerò meglio, poi magari verrò qui a riflettere su argomenti filosofici e sprituali come il karma, le lezioni della vita, il ricevere dagli altri... e bla bla bla... Cose profonde, come quando si va dallo psichiatra e si parla per stabilire se si è matti.
E' una punizione divina? Di certo, la prima cosa che sono corsa a fare ieri, nel mio primo mercoledì libero dopo un mese, passato senza mal di testa, è stato di iscrivermi ad un corso di 240 ore estive per imparare ad elaborare e fare buste paga e contabilità aziendale.
Quando facevo la segretaria non c'era nessuno che mi violentava le mie sensibilissime e delicatissime orecchie, e non dovevo zittire nessuno.
In verità farò il corso ma non so se farò la segretaria, sono anni che lavoro già come insegnante di sax e clarinetto nelle accademie e vivo abbastanza dignitosamente così. 
Ho cercato il corso per esorcizzare il mio presente, per una crisi di rigetto, per punirmi ulteriormente?
Comunque questa estate avrò per quelle 240 ore una bella stanza con l'aria condizionata, cioè, nelle scuole pubbliche mica c'è!

Ci risentiamo!