Spesso le cose non sono come appaiono, per esempio: non è detto che chi in apparenza viva una situazione valutata socialmente più fortunata, sia più felice di chi passa un momento più "sfortunato".
Vogliamo fare un esempio? Ora che l'estate volge al termine, parliamo di vacanze.
Ci sono persone che valutano una vacanza meritevole solo se passata in ferie in posti meritevoli di essere citati. Ovvero posti costosi e di moda.
Quando ripenso alle mie estati più belle, ce ne sono alcune in vacanza, ma se dovessi elencare quelle fatte attorno ai vent'anni, racconto, di solito, quell'estate passata a lavorare al bar.
In realtà, quell'anno a luglio, feci pure una settimana in Sardegna, ma quella non fu la parte bella, anzi... la parte per cui mi si illuminano gli occhi al ricordo, sono proprio quei giorni in cui ho più faticato al lavoro.
Perché?
Non sono masochista e tanto meno amo sgobbare, caso mai il contrario, ma in quei giorni ho riso tanto, tanto, ma davvero tanto...
Premetto che dai quindici ai ventidue anni ho vissuto in regime accademico e fra i miei rimpianti, vivo ancora la sensazione di essermi persa l'adolescenza: giorni in estate passati al caldo rinchiusa in casa a studiare, ad esercitarmi con la musica, come per il resto dell'anno, per tanti anni, mentre avrei voluto fare esperienze diverse... come, non so, passare un'intera stagione sul lago lontana dai miei, a fare la cameriera con vitto e alloggio! Sentirmi indipendente!
Oppure uscire, divertirmi. Specifico pure che nessuno mi obbligava, era la mia caparbietà e l'incapacità di distinguere le vie di mezzo, il giusto dallo sbagliato, il considerare quel che dicevano gli insegnanti del conservatorio come Bibbia sacra, a farmi pensare che non avevo diritto di perdere ore preziose perché la cosa più importante era suonare, suonare, suonare. Quindici anni, ancora pochi per ribellarsi senza far casino per nulla. Oppure ero io troppo immatura e debole per vivere la mia personalità senza ferirmi con gli scontri. Mi ero piegata al loro sistema.
Ricordo perfettamente le parole di un insegnante: "La cosa più importante è il conservatorio!!!"
Dicevano che suonare era l'unica cosa che contava nella vita, tanti ragazzini snobbavano la scuola, un diploma e una laurea per esercitarsi otto ore al giorno e diventare musicisti.
E io da quindicenne con lavaggio del cervello subìto, credevo davvero che tutti quelli che non riuscivano a sopravvivere al conservatorio non valessero niente. Credevo di essere uno zero perché, a detta del Maestro, ero superficiale, avevo un modo di fare arioso e leggero che non era permesso. Allora ero diventata cupa e depressa. Non sorridevo mai.
Oggi non è più così per me.
Comunque dopo quei sette anni, vissi un anno sabbatico in cui finalmente potei rigettare tutto ciò che mi aveva soffocato, il che significava non frequentare più l'ambiente e tutti quelli che ne facevano parte, mettere via il sax e non suonare (fare esercizi e imparare brani che non digerivo per un voto) quando non ne avevo voglia. Cancellare la parola "dovere" dal vocabolario. Ne avevo subìto troppo, in troppa giovane età. Trovai lavoro come barista e cameriera in un bar del centro, di fronte al Teatro Grande.
Mi deridevano: "Sette anni di conservatorio per finire a pulire i cessi del bar?" ma io ero più serena così, allora, e mi disturbava avere a che fare con gente che valutava il valore di una persona in base al suo lavoro, come se fosse una cosa cucita addosso a vita: il lavoro si può cambiare, perdere, trovare, la stupidità, purtroppo, no.
Eravamo principalmente tre ragazze più o meno coetanee. I clienti del bar erano commessi/e dei molti negozi del centro, impiegati/e dei vari uffici e delle banche vicino, e ovviamente, il pubblico del teatro quando rappresentava qualche concerto o spettacolo e d'abitudine si consumava l'aperitivo serale da noi.
La mia vita da ventenne, che bello! Scoprii un mondo nuovo: ricordo quando c'erano le Mille Miglia e in un pomeriggio raccogliemmo ottanta euro di mance a testa grazie ai tedeschi; qualche volta capitava anche qualche vip e personaggio famoso, ma è risaputo che a Brescia si è discreti in queste cose e noi non disturbavamo nessuno, e poi capitò quella bellissima settimana in cui la titolare andò in ferie e ci lasciò la gestione del negozio.
Io e la mia collega S., avevamo preso ad uscire assieme, fra la nostra clientela di commessi, avevamo legato di più con i ragazzi della Foot Locker. Senza titolare lavoravamo più rilassate ed in perfetta sintonia, e il bar procedeva alla grande, perché quando un dipendente è felice, lavora sempre bene.
Ricordo in particolare quel sabato quando, dopo aver lavorato tutto il giorno e chiuso il locale, alle nove di sera eravamo già preparate e pronte per uscire con i "vicini commessi".
Quella volta facemmo tardi sul lago... tipo le quattro del mattino, a sghignazzare, a ridere, a chiacchierare, mangiare, bere, a goderci l'estate giovane, poi la domenica eravamo di nuovo pronte e su di giri, alle sette, per aprire il locale. Bella la notte, bella l'aurora, bella l'alba e il sole che spunta. Noi due assonnate e pazzerelle. E io che sulla bicicletta col cestello pedalavo facendo gli slalom dal sonno.
Il giorno dopo al bar, io e S. ridacchiavamo e ci scambiavamo sguardi di intesa. Quella fu davvero una bella settimana, divertente e libera.
In quel periodo mi sentivo bella, giovane, finalmente vivente e libera, corteggiata e rimirata, guadagnavo soldi che mi permettevano di comprare belle cose. Avevo amici, potevo uscire, senza sensi di colpe, senza responsabilità, senza il pensiero di dover studiare il giorno dopo. Non dovevo pensare, non pensavo, ridevo.
Nessuno mi giudicava, anzi, ero vista come un personaggio interessante: giovane barista carina, orientale, dai lunghissimi capelli neri, e per di più musicista di uno strumento figo come il sax.
Vedete come cambiano le visioni delle cose quando le si vivono, da quando le si osservano senza conoscere? Il fatto di essere in due povere ragazzine a dover rimanere in agosto a gestire il bar, sarebbe potuta sembrare una cosa da destare compassione, ma le persone sono più importanti delle situazioni, e mi divertii di più quella settimana, che quella passata in Sardegna a luglio.
Beh, non so perché mi è venuta voglia di parlarne. Forse perché sto invecchiando e allora mi piace parlare del passato... delle cose piacevoli.
Vivete appieno la vostra vita. La cosa più importante nella vita è ridere.
invecchiando? stai facendo il tuo percorso vorrai dire! la parola "vecchio" non la immagino proprio addosso a te... una domandina: e tu stai seguendo il consiglio che dai?
RispondiEliminaCerco di farlo :)
EliminaMa a parte alcuni giorni "no", in generale penso di sì. Non significa avere tutto dalla vita, ma essere grati per quello che ti arriva e cercare di costruire delle cose positive.
Curiosa quella frase sul conservatorio, come se il senso del dovere fosse più importante del gusto per ciò che si fa
RispondiEliminaA volte sembra così :)
EliminaOvviamente è una critica nei confronti di quell'insegnante :-)
RispondiElimina