venerdì 19 luglio 2013

Thasy e le bambole (le bambole stupide e quelle intelligenti)

"Thasy" era uno dei nomignoli coniato per me dalle mie compagne di classe. Ne ho avuti tanti altri, ma questo è quello che preferisco perché mi piacciono i nomi corti. Particolare che cozza contro le dodici lettere che dovrei utilizzare per scrivere il mio nome all'anagrafe (senza spazi e senza cognome).
"Thasie" è nato per necessità quando ho dovuto scegliere un url per Youtube e sia "Thasala" che "Thasy" erano già stati utilizzati.

E poi ci sono le bambole.

Avevo un libro, da piccola, che trattava approfonditamente l'argomento, dalla storia alla creazione, con bellissime tavole colorate. Ma era un libro degli anni Settanta. Nel decennio successivo iniziavano a dilagare bambole che parlavano, nuotavano e camminavano con l'inserimento di un paio di batterie sulla schiena. Avere un gioco del genere era una specie di status symbol fra le bambine. Il libro era stato pubblicato prima della nascita dei giochi elettronici e tutte le bambole fotografate erano in materiale naturale, dalla paglia alla stoffa, dalla porcellana alla carta, ed erano mute. 

- La mia bambola costa di più perché è intelligente, la mia bambola parla - disse Jay.

Ero piccola, e già allora faticavo a capire i concetti generali, per esempio, come fosse possibile che una bambola che ripetesse sempre le stesse frasi, con gli orecchini a fragola che si illuminavano, fosse intelligente.

- Non dice altro? - chiesi dopo due minuti, il tempo per scoprire tutte le "capacità" del giocattolo.
- La tua non parla neanche! - esclamò stizzita Jay. Con quella bambola lei passava tutto il tempo a farle ripetere le stesse frasi e a spegnere la luce per gioire alla vista degli orecchini rossi che si illuminavano al buio.

"Bambola intelligente" pensavo dubbiosa. E lo ero un po' anche riguardo a Jay.

Le mie bambole, spesso le costruivo da sola. Ne avevamo fra me e le mie sorelle, anche giocattoli "alla moda", ma era più divertente quando, sul tavolo della cucina, mia madre disegnava e ritagliava dal cartone figurini di donna e di bambina, da vestire con abitini di carta colorati che inventavamo e coloravamo. Era il momento in cui sfogavo sulla carta il mio sogno di avere un guardaroba bellissimo. Tutti quei vestiti che disegnavo e ritagliavo per le bambole di carta, in realtà li avrei voluti io. 

Altre volte, le bambole le facevamo in stoffa, armate di ago e filo, da imbottire col cotone e con i capelli di lana. Cucivamo vestitini variopinti ricavati dai ritagli di stoffa avanzati in casa. Così spesso le bambole erano vestite esattamente come noi.

Oppure bambole di fiori. Raccoglievo dai campi i papaveri e le margherite e con i fili d'erba ne ricavavo damigelle rosse e bianche che danzavano in una sontuosa sala da ballo immaginaria.

C'era solo un particolare: non parlavano, non camminavano, non si illuminavano.

Per fortuna.

- Perché fanno e dicono quello che vogliamo noi - spiegai a mia sorella minore. E anche perchè, non osavo ancora esprimerlo, la "bambola intelligente" era vincolante e mi sapeva un po' di idiota. Giocavamo a inventare trame e storie più assurde da far passare ai nostri personaggi, fra case di Lego, castelli ricavati dai cartoni, fondali colorati, posate rubate alla cucina e mobili di legno in miniatura.

- La tua bambola è brutta ed è stupida, non sa fare niente - disse Jay.

Pensai alla nuova bambola che i miei ci avevano appena comprato: aveva il costume da bagno, la si metteva in acqua e nuotava a stile libero da una parte all'altra. Era molto pubblicizzata in quegli anni in televisione.

Pensai a come mai nonostante il nuovo arrivo avevo preferito la bambola "vecchia" e fuori moda. E poi mi fu chiaro.

Non le dissi: - Su di sopra ho la "Sirenella" - ma dissi invece: - Questa l'abbiamo fatta io e le mie sorelle assieme alla mamma.

E le raccontai di come si ritaglia, si progetta e si costruisce una bambola, e di tutto il divertimento attorno al tavolo, un pomeriggio domestico di donne grandi e piccine.

Jay.

Non era come me. Io ero fortunata più di lei a prescindere. Qualsiasi fosse stata la sua e la mia condizione. Non l'avrei mai invidiata neanche se avesse avuto tutte le Barbie e tutte le bambole della pubblicità e fosse vissuta in un castello e io in una capanna. Sarebbe bastato poco, perchè fosse stata lei invece ad invidiarmi. Forse non ne era consapevole, ma lo sentiva, e anch'io me ne accorgevo. Smisi di raccontare.

- Ho la Sirenella, ma non so usarla. Vuoi giocarci un po' tu? Così mi fai vedere - dissi.

Lei tornò di buon umore. E pace fu fatta.

La Sirenella le piacque.
La Sirenella fu per me invece la bambola che consideravo più inutile, ma non glielo dissi mai.


Nessun commento:

Posta un commento