Eravamo in procinto di partire, all'aereoporto. Lei era sul ciglio della strada. Non la solita Alice, ma una signora dismessa e dall'aria smarrita vestita color tortora.
Non so perché mi fermai a parlare con questa donna, sembrava bisognosa di aiuto.
Il mio accompagnatore invece mi metteva fretta. Dovevamo andare a suonare.
Sì, sì. Gli rispondevo. Un attimo...
Allora intanto vado a sbrigare le cose... tienimi questo. Disse lui.
Mi diede il suo strumento in mano e partì di corsa lasciandomi sola.
Aiutami. Disse Alice. La mia piccola Morena...
Sei sola? Domandai.
Lei annuii. Sono abbandonata.
Sentii umido fra le mani e mi guardai i palmi. Erano imbrattati di sangue. Il mio? No, il suo, di lui.
E' andato via. Disse Alice.
Sanguinava. Sapevo che aveva sanguinato dalla gola. Sangue di lui sulle mie mani.
Pensai sgomenta, e mi chiesi se l'avrei mai più rivisto.
Sputa sangue per aiutare me. Fu il mio pensiero.
Non tornerà. Disse Alice. Non puoi più partire.
Non mi è mai venuto in mente di chiederle come e cosa sapesse di noi due.
Eravamo in un cimitero e lei sembrava malinconica. Anch'io ero triste.
Parlami di Morena. Dissi.
Ho avuto una Morena... anzi quattro Morene in due anni. Due coppie di gemelle.
Che bello! Esclamai.
Ma lei era strana... raccontava le cose come quelle cantilene ipnotiche delle bambole dalla voce infantile e cristallina e gli occhi di vetro fissi.
Morena non c'è più. Disse.
E improvvisamente mi accorsi che era diventata una ragazzina bionda dagli occhi celesti e sognanti.
Morena è morta.
Sbattei le palpebre per vederci meglio perché la mia vista mi ingannava. Era tornata ad essere la signora brutta e malinconica.
L'ho uccisa io. Tutte e quattro le Morene. E scoppiò a piangere.
Ero imbarazzata. Disorientata.
Aveva ucciso le sue bambine. Le quattro bambole. Due coppie di gemelle.
Non so perché l'ho fatto. Pianse. Aiutami. La mia Morena mi manca tanto.
L'abbracciai. E le parlai per un po'. Quando ci rialzammo l'avevo convinta a costituirsi e andammo dalla polizia. Persi l'aereo e lui non lo vidi più. Forse spiccò il volo. Ma avevo ancora le mani sporche del suo sangue.
Alice andò in prigione. Ma faticai a capire che quella figura esile e bionda fosse la stessa signora vestita color tortora.
A me rimase il vuoto, che neppure le mille domande e quella fitta al cuore e allo stomaco riuscirono a scaldare. Avevo bisogno di sedarmi.
Non capisco. Non capisco il sangue. Non capisco nulla.
Sento ancora la sua voce che lamentosa e derisoria mi confessa:
Le mie quattro Morene. Ho ucciso la mia Morena.
Perché aveva scelto proprio me?...
(Continua...)
Nessun commento:
Posta un commento