Era un grande palazzo sul lago, uno di quei magnifici specchi tersi e freddi del nord, con il sole del tramonto che brilla sull'acqua e il vento che sussurra fra la generosa vegetazione.
Ricordo le grandi vetrate e l'ambiente spazioso e luminoso. L'aria settembrina di sera, con gli ultimi raggi di sole, che muoveva dolcemente le fini tende bianche. E il parquet. Quel parquet era liscio, chiaro, silenzioso e perfetto.
Sembrava un sogno.
- Sei arrivata - mi disse venendomi incontro con la mano tesa. Un sorriso stampato e gli enormi occhi grigi di vetro, leggermente sporgenti. I riccioli, crespi e biondo cenere, una nuvola gommosa, sembrava una bambola. Indossava una gonna a tubo, grigia, lunga fino le ginocchia e la camicia bianca e candida.
- Ciao Alice - risposi non capendo, presa alla sprovvista. Ma non si chiamava Alice, aveva il nome di un fiore.
- Ma sto andando sai, c'è una festa, un delirio! Vado via, tu stai qui?
Non capii la domanda. Lei se n'era già andata. Non capii se "delirio" era riferito alla festa o al palazzo.
Mi ritrovai sola in quella casa. Un bambino era morto in quella casa. Non so perché lo sapevo, non so che ci facevo lì.
Poi.
Nebbia e ricordi sovrapposti e volati via, un gioco di risatine, bambole graziose, una sfilata. Io. Che cosa successe, fu come un vuoto.
Qualcuno mi disse qualcosa. Io non sapevo reagire, perché tutto mi ruotava attorno vorticosamente e le persone amiche andavano e venivano e io non sapevo se fossero sconosciute.
Poi qualcuno mi parlò e indicò qualcosa ridendo e io osservai il punto sul pavimento. Il parquet, sempre liscio e perfetto. In quel punto, vidi un'ombra di un bambino in bicicletta che passava davanti, all'imbrunire, riflesso, portava calzette. Ma non c'erano umani nella realtà, non c'erano bambini. Allora sobbalzai e tutto mi fu chiaro e io avevo gli occhi sbarrati dal terrore.
- Ma è morto! - gridai.
Il palazzo scomparve. Ero sola al buio, nella mia camera dalle lenzuola scarlatte. Brescia, 5 agosto 2014.
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