lunedì 22 maggio 2017

Lo spettacolo deve continuare 2

Sono nata per gli imprevisti. Ci sono persone che piangono e vanno in crisi quando le cose non rispecchiano un determinato percorso che si sono costruiti in testa, considerano i problemi improvvisi come delle "cose" per cui la giornata è rovinata. Per loro la vita intera diventa un peso e una paura continua di quel che potrebbe succedere, io invece fin da piccola mi annoiavo sempre quando tutto scorreva nella monotonia, e aspettavo in grazia che succedesse qualcosa che ravvivasse la giornata. Avevo voglia di novità e di fantastiche situazioni. Di vita.
Mi divertivo e, soprattutto, trovavo stimolante aguzzare il mio ingegno e la mia fantasia per risolvere al meglio le cose, arrivare ad un risultato anche migliore del previsto. 
Ancora oggi, quando succede un problema, le vie diventano due: se c'è tempo mi arrovello e trovo il modo per tirarmene fuori con una certa gloria, se invece bisogna reagire subito, improvviso al momento, con la faccia di bronzo dello studente che non sa niente, é consapevole di non avere studiato ma é abile a giocare, e durante l'interrogazione regge la parte del secchione che parla e parla, fino ad ingannare il professore... Che entusiasta premia l'alunno studioso e preparato.

Questa caratteristica mi ha sempre molto aiutato nello spettacolo. Anche se avevo una paura folle, ero angosciata o preoccupata, la gente credeva sempre che fossi decisa e tranquilla.

Ricordo l'episodio della birreria, un piccolo locale nel cuore del centro, in una sera di fine primavera.
Avevo poco più di vent'anni ma con una certa esperienza nel campo delle birrerie, pub, locali fumosi con maschi e vecchi non proprio principi galanti. Per esperienza intendo come musicista: facevo swing con diversi chitarristi, ma pure con i gruppi di cover mi era capitato di partecipare a concorsi e gare. Avevo imparato quando era il caso di mandare a quel paese qualche sgradevole cliente o ignorare le battute e le provocazioni, o se era il caso di interagire, parlare con quelli gentili. Sapevo inoltre che atmosfera richiedeva il pubblico: in che momento puntare ai suoni soft e quando farli ballare.

Al tempo, avevo preparato con una pianista un repertorio per una prima uscita con lei in una birreria.
Ricordo che mi sentivo un po' perplessa perché avevamo pochi brani, le dissi che, per prolungare i tempi, doveva continuamente suonare il giro di accordi mentre ci improvvisavo. Le avrei fatto capire io quando dovevamo chiudere, ciò nonostante non superavamo un'ora di esibizione con i soli titoli selezionati e all'ultima prova mi raccomandai che portasse tutte le canzoni, anche quelle non incluse nella scaletta.

Premetto che ero io a provvedere all'acquisto di tutti gli spartiti, a fotocopiare e scrivere, trascrivere assoli e la mia parte. Questa premessa serve a far capire che, quando si lavora in coppia e si percepisce la stessa ricompensa ma uno dei due ci investe più tempo, fatica e denaro, si parte già con uno certo svantaggio che facilmente porta a mal sopportare le lacune di chi sembra investire di meno.

Le dissi di non vestirsi come in un concerto di musica classica sul palco del conservatorio, sarebbe stato fuori luogo, non riuscii a farle capire che non venivamo pagate per l'ora di esecuzione ma per la serata, che se il pubblico richiedeva di più, dovevamo andare avanti a suonare. Lei protestava dicendo che la paga era bassa e quindi avrebbe suonato per quella quantità di tempo, e basta. I soldi erano oggettivamente una buona ricompensa per l'ambiente e tenendo conto che si parla di più di dieci anni fa. Le spiegai che in una piccola birreria con pochi tavoli, era una buona percentuale sui loro incassi, che al ristorante avremmo potuto chiedere di più, che era meglio essere chiamate spesso che una volta all'anno. 
Ero anche una cameriera che si faceva i chilometri e i muscoli ogni giorno per cinque euro all'ora e prenderne venti volte di più, per suonare e fare una cosa che mi piaceva in un paio di ore, era denaro facile ed apprezzato. Inoltre non mi ritenevo una concertista di fama mondiale da chiedere al gestore di una birreria di Brescia, centinaia di soldi per una prima uscita (la sua, non la mia).

Beh, niente. Fu un disastro. Si presentò convinta di fare la concertista, con il pubblico pronto ad applaudire, andò in pallone per qualsiasi battuta. Quando i brani, dopo neanche un'ora, finirono e la gente si era accalcata attorno a noi e voleva sentire ancora, le dissi di attaccare a suonare le canzoni non incluse, mi rispose che aveva lasciato le parti a casa, e non perchè si era dimenticata, aveva ritenuto che non servissero, semplicemente, non le aveva neanche ripassate.
Ma allora io che mi sbattevo e parlavo a fare? Sbottai che le avevo detto di portare tutto. Lei rispose offesa lasciando lo spettacolo e andandosene fuori. Mi ritrovai da sola con la folla in attesa di sentire ancora musica, non avevo neppure le basi per suonare da sola il sax, ma lo spettacolo doveva continuare.

Come un robot molto sciolto e disinvolto, ma invisibilmente non del tutto cosciente delle conseguenze, prontamente mi misi al posto della pianista ed attaccai a suonare tutte le cose che sapevo a memoria: Einaudi, Nyman, Tiersen, mentre la mia socia era occupata ad essere piccata per come le avevo parlato davanti a tutti.
Non avevo previsto di suonare il pianoforte quella sera, ma quella parte improvvisata e quelle melodie minimaliste, le colonne sonore, furono gradite e mi sentii sollevata di essermene tirata fuori. Ci furono delle ragazze così commosse dalla musica, che vollero pagarmi da bere ed offrirmi qualcosa. Una mi disse che ogni volta che sentiva le musiche del "Favoloso mondo di Amelie", piangeva sempre, provava indescrivibili emozioni e mi ringraziava di avergliele fatte ascoltare.
La serata si risolse con successo per il concerto, un po' meno per noi due.

In seguito le nostre strade si divisero ed io proseguii la mia gavetta, da sola e con altri musicisti.

Nella terza storia della serie: "Lo spettacolo deve continuare", vi narrerò una situazione che fu anche più critica e rocambolesca, ma che terminò come sempre con entusiasti applausi e complimenti da parte del pubblico ignaro.

Ah! L'emozionante retroscena della vita d'artista!



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