La finestra stava spalancata tutto il giorno, anche quando faceva freddo. Dalla stanza si potevano vedere le campagne e i nidi dei pettirossi. I vicini circostanti chiudevano le finestre e si preoccupavano di tirare le tende, così verso l'imbrunire si poteva intuire se c'era qualcuno nella stanza grazie alle luci accese.
La finestra spalancata invece non nascondeva nulla della stanza. Era spesso disabitata e buia, ma si potevano intravedere, dal basso, molti libri, alcune bambole, un pianoforte e diversi abiti di merletti e nastri buttati su di una sedia.
Un grande specchio in stile liberty. Una chitarra appoggiata. Un letto.
Un paio di vecchie scarpette da ballerina troppo piccole oramai.
Alcuni, pochi quadri, un giradischi e molta musica impilata.
Un ambiente solitario che nel silenzio avrebbe potuto raccontare di una vita intera stanca di esistere. Ma tutto taceva, e il giradischi non girava mai, il pianoforte era sempre chiuso. Le bambole che ogni cosa sapevano custodivano i segreti. Lo specchio rifletteva altre porte di altre stanze chiuse. La polvere sui quadri e solo le corde della chitarra vibravano, stonate, quando il vento si insinuava e soffiava forte.
C'era un diario su di un tavolo.
Quando il vento della primavera in tempesta invadeva la stanza, sembrava volesse strapparne le pagine e cercare nervosamente qualcosa.
Gocce di pioggia si battevano sullo specchio. La superficie fredda, spiando il diario dalle pagine volteggianti, rifletteva parole in lingua straniera di un posto lontano. Molto lontano.
°°°
Io sono qui, qui dentro. Respiro questo vento con gli occhi chiusi e aspetto.
Non sono in grado di illuminare, non sono in grado di chiudere. Non so raccontare ancora. Percepisco il disagio e so che la gente mi osserva curiosa, ma io non saluto nessuno. Non voglio fare entrare nessuno nella mia stanza. Non ci sono orologi e io non ho idea in che epoca siamo, se sono tornata indietro o sono troppo avanti.
Non sono in grado di illuminare, non sono in grado di chiudere. Non so raccontare ancora. Percepisco il disagio e so che la gente mi osserva curiosa, ma io non saluto nessuno. Non voglio fare entrare nessuno nella mia stanza. Non ci sono orologi e io non ho idea in che epoca siamo, se sono tornata indietro o sono troppo avanti.
Ascolto l'addio.
Ma non so che cosa mi vuole dire.
Aspetto.
Ma non so che cosa perdere.
Sento un lieve, disarmante e in crescendo richiamo.
Tum, tum, tum...
Il vento è sempre più vicino a me, mi penetra negli occhi di vetro. Il freddo è sempre più profondo. Traballa, è troppo forte oramai. Cadrò. Bisogna chiudere la finestra.
Precipito sempre più a fondo, come in un lungo sonno.
°°°
In questa altra dimensione, la finestra è sprangata. Nessun soffio.
Dove sono?
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