sabato 14 marzo 2015

Gli strappi

Il mio bisogno di ricordare, collegare e scrivere, è forse un modo per ricucire i miei strappi. Ne ho avuti tanti, nella mia vita. Ho lasciato tanti posti, tante persone.

Il primo, ad un anno, quando lasciai per sempre il mio paese. Mia madre racconta che mia nonna era innamorata di me, perché sembravo una graziosa bambolina giapponese e perché mi spaventavo facilmente. Nella culla, se qualcuno alzava appena la voce, mi tremava il mento e mi allarmavo. Allora la nonna raccomandava a  mia madre di essere molto delicata con me, diceva che ero molto sensibile. Che sarei stata una persona molto, molto sensibile da adulta. Quando andai via da Saigon, lasciai anche mia nonna e non l'avrei mai più rivista. Era un addio. Può un bambino di meno di un anno ricordare inconsciamente le persone, le sensazioni, la mancanza da un giorno all'altro di un adulto che lo proteggeva? Oggi che osservo le mie nipotine, dico di sì. 

Poi finimmo in Thailandia, a Tha Sala. Il sindaco del villaggio si affezionò a me: ero la più piccola e la più delicata dell'imbarcazione. Ero praticamente morta: mi davano pizzicotti e graffi e neppure reagivo. Può un bambino così piccolo rendersi conto di avere fame, freddo, paura e di non poter soddisfare i suoi bisogni primari di protezione? Ad un certo punto, non piangevo più per sfinimento, mi racconta mia madre. 

E così, mi ero rassegnata a morire. 

Forse, nella mia mente, pensavo che non ci fosse posto e tempo per me al mondo, altrimenti perché appena nata nessuno mi salvava? Mia madre dice che quando vennero i pirati, vollero gettarmi in mare per darmi agli squali, per farsi consegnare tutti gli ori, persino quelli dei denti finti, allora lei volle sacrificarsi al mio posto. A questo punto, mossi a compassione, ci lasciarono vivere tutti. Anche i pirati hanno un cuore davanti ai neonati!

Giunti casualmente e per sbaglio in Thaliandia, il sindaco, viste le mie condizioni, si diede da fare, fece venire medici, mi procurò da mangiare, da bere, le cure, e io, "resuscitai". 

Nacqui la prima volta a Saigon e la seconda a Tha Sala, e il mio nuovo nome fu proprio quello del posto in cui mi venne data un'altra possibilità di vita. Il sindaco disse ai miei che gli sarebbe piaciuto potermi adottare, che si sentiva mio padre, che se un giorno fossi rimasta sola e se avessero avuto problemi, lui era il mio secondo padre, di ricordarsi di lui.

Poi. 
Dovetti abbandonare pure quest'altro adulto che mi voleva bene e pure il mio secondo paese. Non ritornai mai neppure in Thailandia.

Dove sono nata io? 

Vissi qualche mese a Latina, poi a Cremona, e infine in provincia di Brescia. Tutto nel giro di pochissimo tempo. Quanti viaggi e spostamenti. Quante persone mi presero in braccio, cercando di non spaventarmi, persone da cui poi dovetti distaccarmi.

I traslochi dei miei genitori coincisero più o meno con i miei stessi cambiamenti scolastici: asilo in un paese, elementari e medie in un altro. Superiori e casa in città. Finiti gli studi, lavoro, e ci trasferimmo di nuovo. Strano. Perciò, cambiare compagni di classe, significava anche lasciarli per sempre, andare in un nuovo paese, in una nuova casa, cambiare vita, ricominciare da zero veramente.

Da piccola, io credevo invece che le cose durassero per sempre, ci speravo, invece no. Non vi era nessuna certezza.

Non avevo più rivisto Fog City da quando i miei mi portarono via. Non che sia un posto lontano, ma quella casa nascosta in campagna, in una bolla di nebbia, con la statale dai tramonti viola e rossi, i campi e i fossi, non l'ho mai più voluta rivedere. Stava in via San Giovanni, era gialla e ci vivevano quattro famiglie, la mia era la più numerosa.

Strappi.

Ho rivisto le mie scuole medie dopo più di vent'anni, qualche giorno fa. Ho rivisto le stesse strade e il supermercato che ora è chiuso e abbandonato. Mi sembrava più grande il giardino della scuola, invece era normale. Quelle strade: la mia casa distava tre chilometri dal centro. Un fine anno scolastico, era la prima media, i miei compagni organizzarono una cena in pizzeria, io avrei dovuto aspettare che tornassero i miei per farmi accompagnare, siccome ritardarono cinque minuti, mi avviai da sola a piedi. Ho ripercorso quella strada in macchina: era senza marciapiede e col fosso, e le macchine sfrecciano veloci, ora capisco perché mia madre si arrabbiava sempre quando non l'aspettavo (l'avevo fatto più volte) e gli altri mi dessero dell'incosciente. Non avevo paura, o meglio, pensavo che non avesse senso aspettare se potevo arrangiarmi da sola, forse non mi fidavo, forse ho creduto fin da piccola che se avevo fame e paura, se stavo male, dovevo ignorare me stessa per sopravvivere. Alla morte, ai pirati, agli strappi.


Quanti anni ho. Su di una pagina bianca, con il filo delle lettere nere, con una penna, ricucio gli strappi della mia vita. Rammendo il cuore, si fa così. E non ho il coraggio di tornare indietro, sono troppo stanca per cercare la verità. Questa è la mia persona: brandelli di patrie sconosciute e lontane, amici persi e ricordi sopravvissuti alle fotografie sbiadite. Promesse e parole sussurrate negli abbracci, non mantenute. 

Sopravviverò, che vuoi che sia. E' solo un ennesimo strappo.




2 commenti:

  1. si dolce amica ricordi,persone luoghi ..esistono dentro te come fa il tuo cuore.Un abbraccio

    RispondiElimina