giovedì 26 febbraio 2015

Progetti infantili

Quando ero piccola sognavo di scappare di casa. Credo che dipendesse anche molto dal fatto che in quegli anni c'erano tanti cartoni animati, con protagonisti piccoli, che vagabondavano per il mondo, come quello di Marco che cercava la mamma, Sandy Bell che girava col camper e scopriva tanti posti nuovi e interessanti (adesso che ci penso, non capisco come una quattordicenne potesse guidare un camper, e dove li trovasse i soldi per la benzina e per vivere), Remì che con un'arpa in spalle non aveva dimora e l'amico di Tom Saywer, mi pare si chiamasse Huck, che non doveva tornare a casa e viveva libero come il vento dell'est su di una zattera.

Che bella vita! Io sognavo di vivere così: coi cambiamenti, improvvisando ogni giorno, scoprire cose nuove, avere tanti amici, chiacchierare, senza il peso dei doveri, già da bambina mi sentivo soffocare dalla monotonia.

Ma forse i cartoni mi avevano solo risvegliato qualcosa che sentivo già, perché tanti miei coetanei con cui ho parlato, non pensavano fosse normale scappare di casa. Ho nitide quelle sensazioni e quei ricordi di me, piccola, davanti alla finestra, con la voglia, come un fuoco bruciante, di correre e correre fino a non riuscire più, e poi gridare con tutto il fiato in gola. Io soffocavo nel mio essere bambina e di dover chiedere i permessi per qualunque cosa.

Facevo accurati progetti: per esempio, ero abbastanza pratica da pensare che dovevo mangiare, così pensavo di suonare per le strade e di vivere con quei soldi. A me poi mangiare piace, perciò soldi ne avrei dovuti tirare su tanti! Il pianoforte non era comodo da portarsi appresso, ma il sax sì, solo che dovevo ancora averlo, e i miei non me lo volevano prendere, ma forse pure il sax era pesante, meglio il flauto: piccolo e di pochi grammi, però pure per quello dovevo convincere i miei, accipicchia, quanti ostacoli al mio meraviglioso progetto!

L' avventura, il divertimento e le novità erano le uniche cose in grado di smuovere la mia pigrizia, per il resto, non avevo voglia di sforzarmi troppo per nulla, a meno che non mi pagassero, ma da bambini bisognava fare tante fatiche a scuola e nessuno pagava, mondo ingiusto e crudele.

L'altra mia esigenza, che però faceva a pugni col progetto di fare la vagabonda, era che volevo essere sempre profumata e vestita bene, ma i vagabondi puzzavano, almeno quelli che avevo incontrato io, e questo era una cosa che mi bloccava, oltre alla mancanza del sax. Esistevano vagabondi vanitosi e narcisisti? Perché io vanitosa lo ero parecchio.

Forse avrei potuto fare la vagabonda chic: magari suonando per le strade avrei guadagnato così tanto da poter cambiare albergo ogni sera, fare il bagno in vasche piene di bolle profumate e dormire in lenzuola di cotone egiziano! Ma come potevo trascinarmi appresso tutti i vestiti e tutte le scarpe?
Dilemma degli undici anni!

Il mio cuore era un focolare caldo, ma la mia mente scalpitava come un arcobaleno nomade. Ancora oggi sono divisa in due così.
Non riesco a spiccare il volo senza la sicurezza di poter tornare in un nido. Un unica radice, un miliardo di rami verso il cielo.

Oggi, amo viaggiare con pochi bagagli, ho sempre pensato: zaino in spalle e avventura! Autostop, treni, camminate. Zaino leggero per riempirlo di ricordi ed esperienze. Autostop? Che paura, meglio di no. 
Mi piace sentire la pioggia e il vento su di me. Mi piace sdraiarmi direttamente sull'erba, sulla sabbia, giocare fra i sassi. Sento riaffiorare dal passato quell'indole selvatica che fatico a zittire. Ma poi, da sola mi sento troppo sola. Mi mancano i miei sogni a casa, le strade familiari, la musica malinconica, il profumo di muschio bianco, le letture e un letto in cui fantasticare fino le undici del mattino.

Io credevo che, siccome volevo scappare di casa, anche gli altri lo volessero. Chiesi a non meno di dieci amichette e amichetti di scappare con me, ma tutti avevano paura, quelle mezze calzette!

Quanta irrequietezza che avevo in me. Sarei stata abbastanza sventata e incosciente da fare cose in grande, da passare all'azione, fregandomene della morale e dei doveri che, a dire il vero, risvegliavano il mio gusto di fare bastian contrario. Una pazzoide.

Sapete cosa mi trattenne dallo scappare? La sensazione di abbandono, di abbandonare qualcosa, e quell'immagine di mia madre in cucina che preparava la cena. E poi il freddo in inverno!
La mamma.

Forse, in fin dei conti, ero una bambina come tutti gli altri.



1 commento:

  1. Io sto scoprendo le stesse sensazioni solo negli ultimi anni, forse è sempre stata questa la mia vera mentalità: a volte ci vuole qualche condizione materiale che ci assecondi, nel mio caso è stata l'indipendenza economica.

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