sabato 21 febbraio 2015

Libro: "STANCO? Diari di quattro rinascite" di Simona Orioli (recensione).




Il fatto che il destino ce lo creiamo noi, oppure che ci sia già un percorso, è un quesito che mi pongo spesso.
Sono nata con la convinzione che "volere è potere" e, se venisse chiesto a mia madre com'ero da bambina, lei risponderebbe che ero una testa dura. Io quando volevo/voglio qualcosa ho sempre battuto il chiodo, con le buone o con le cattive, dietro le quinte o alla luce del sole, e di solito prima o poi raggiungo l'obiettivo. Essendo una pigra, tendevo a schivare gli scontri e spesso mi limitavo allegramente a fare quello che volevo, evitando la fatica, quando era possibile, di chiedere il permesso o di avvisare. Anche se le persone a volte pensano che ci abbia rinunciato, è solamente perché sto facendo una pausa.

Di solito raggiungevo l'obiettivo. Queste sono le due paroline chiave. Di solito.

Ho raggiunto un'età in cui la vita mi ha insegnato che non tutto dipende da me. Che a volte le cose non arrivano perché è meglio per me un altro percorso, e il non accontentarmi può essere un regalo divino. Ma preferisco pensare che arriverà tutto quello che desidero, solo con i tempi diversi, più dilatati, o con un ordine più creativo.

Per esempio, da piccola volevo tantissimi, bellissimi vestiti. Non potevo, ora posso. Volevo fare il conservatorio. Volevo fare la specializzazione, da sola e senza l'aiuto dei miei. Studiavo e lavoravo. 
Desideravo fare la barista. Poi la commessa e vendere vestiti. Poi di fare la segretaria. Poi di avere una macchina. Poi ho deciso di insegnare a tempo pieno. E dopo desideravo di riuscire ad arrivare ad uno stipendio decente per vivere da sola.
Ho fatto tutto quanto. Solo che quando volevo quelle cose, al momento non mi era dato modo di riuscirci. Non allora, solo dopo.

Nel frattempo, le deviazioni mi hanno permesso di conoscere alcune persone che mi sono rimaste amiche sino ad oggi, ecco perché non potevo raggiungere subito l'obiettivo, è stato un regalo per la mia vita il dover faticare un po'. Le deviazioni erano gli unici posti, gli unici ambienti in cui avrei potuto conoscere e sperimentare alcune situazioni necessarie per il mio bagaglio e per apprezzare e sapere gestire l'obiettivo raggiunto.

Diari di quattro rinascite è un libro che mi è giunto fra le mani con una certa casualità, ma nel momento in cui forse avevo bisogno di leggere alcune parole. Dice che noi siamo responsabili della nostra vita. Ecco.

- Dice il contrario di quello che dici tu - mi viene detto. Ho regalato una copia del libro anche a questa persona, scelta fra le sei a cui avevo pensato a Natale. Perché io oggi vengo vista un po' come una fatalista, una che aspetta, e non serve a nulla dovermi convincere che il destino ce lo creiamo noi, non ne ho bisogno. Io ho fatto il percorso inverso degli altri, non ho paura ad agire e a credere in me, la mia lezione di vita è di allentare la presa e credere di più nel destino, che non può che essere meraviglioso per me. Imparare ad osservare e ad avere più fiducia, anche nelle persone. Pensare con serenità che non tutto dipende da me. Che se a volte lascio fare agli altri, il risultato potrà essere anche migliore.

L'esortazione di dover credere in se stessi e di essere artefici della propria vita, è per quelle persone che hanno paura di lottare, di provare, di affrontare. Io no. 

- Io credo che ci sia un disegno, e in mezzo il libero arbitrio - rispondo. Il mio "creare il mio destino" oggi, non è più lottare fino a sanguinare contro gli eventi, ma cogliere il bello da quello che mi succede. Io scelgo se subire e soffrire, o creare e sorridere con quello che mi viene offerto al momento. E' difficilissimo, più difficile questo per me, che fare qualcosa.

STANCO? Diari di quattro rinascite di Simona Orioli.

Simona Orioli era una mia vicina di casa, nonché compagna dell'asilo. Aveva un anno in più di me, me lo ricordo, perché quando si è piccoli, il bambino più grande di un anno, è molto più grande!
Poi c'era l'altro bambino sempre vicino di casa e che veniva nello stesso asilo, Alessandro.

Io mi trasferii a Fog City verso i cinque anni e frequentai l'ultimo anno di asilo lì. Perciò ci perdemmo di vista molto presto.
Nella mia vita, se oggi mi viene chiesto chi ricordo degli anni all'asilo, rispondo "Milena", una bambina bionda di Fog City, la suora Maria Rosa, perché era quella che mi prendeva più spesso in braccio, Simona e Alessandro, quest'ultimo perché i nostri genitori rimasero in contatto. Ma Simona, non so perché. Ci sono diverse foto di gruppo dell'asilo e c'è lei.

Un giorno mi chiese l'amicizia su Facebook e ci scambiammo qualche saluto. Mi disse che il sax era proprio un bel strumento. Mi comunicò che aveva scritto un libro che sarebbe uscito sotto Natale. 

Ci rivedemmo dopo anni, alla presentazione del suo libro, al Palazzo Novello di Montichiari, una domenica pomeriggio di dicembre per un allegro tè.

- Ognuno può interpretare in maniera diversa quello che legge - mi ricordo che disse.

Comperai sei copie senza averlo ancora letto, perché intuii che poteva essere un libro che avrebbe aiutato alcune persone, che c'erano argomenti che volevo condividere con chi mi sentivo in sintonia, e perché era corto, perciò anche quelli che non amavano leggere, potevano leggerlo in qualche ora.

- Sono quattro diari, consiglio di leggerli proprio nell'ordine - disse, mentre Viola, la sua bambina, correva qua e là.
- Guarda l'immagine di copertina - presentò.

Ho qui il libro mentre scrivo. Guardo la fotografia della copertina. C'è un lago in tempesta. Mi viene da pensare al lago di Garda. L'ho visto rabbioso, l'ho visto cupo, ma anche sereno, tranquillo e accomodante. Non ho mai pensato che il lago o il mare potessero essere sempre tranquilli o sempre agitati. E' facile pensarlo per la natura, è altrettanto semplice applicare questo concetto alla vita? Io non riesco ancora pienamente. E' una cosa teorica che so, ma ho ancora bisogno di aiuto per ricordarlo. 
Così ripenso al quarto diario: Il riflesso di un lago in tempesta, l'ultimo, quello in cui riassume e svela chi sono i tre protagonisti dei precedenti diari. Parla di trasformazione, di gratitudine. Infonde speranza e coraggio di guardare i cambiamenti e di apportarli nella propria vita.

Se sei stanco del lavoro, se stai soffrendo. Hai il potere di non continuare su questa strada. E' il riassunto di Simona. Se lei ce l'ha fatta, vuol dire che tutti possono.

Il diario che mi ha colpita di più, però, è: Come i campi di grano, il terzo. Forse perché da adolescente ho sentito anch'io il desiderio della protagonista, lo stesso dolore, ma la mia vita non proseguì con lo stesso risvolto. Anche se descrive una ragazzina, gli adulti si ritrovano spesso nelle stesse tentazioni e sofferenza. Qual è la vostra scelta? Da dove prendete il coraggio di proseguire verso un'azione o l'altra? Cosa decidete di fare? Di imparare la lezione o di posticiparla in un'altra vita? 

Tu sei la tua casa è il primo diario. Un lungo viaggio onirico e simbolico che porterà il protagonista alla rinascita, ma per arrivarci dovrà cadere, conoscersi, affrontarsi, prima di rialzarsi. Mi fa pensare alle apparenze. 

- Hai fatto il conservatorio per fare la commessa? - mi dicevano i primi tempi, dopo gli studi. Eppure, quello, per un po', fu il periodo più sereno della mia vita. 

Sono stata un'adolescente indisciplinata e spontanea, cresciuta con insegnanti che mi dicevano: "Sei superficiale", squadrata male per i corridoi del conservatorio a causa dei miei vestiti stravaganti, le gonne corte, le calze a rete. Persino il bidello mi disse che io ero lì per sbaglio.

Tutto ciò mi faceva male, avevo sedici anni. Io ci credevo in quello che dicevano. Che ero sciocca e superficiale. Mi impegnavo come potevo, rinunciavo alle vacanze perché avrei disturbato, il sabato e la domenica non andavo mai via tanto per potere esercitarmi tutti i giorni. Ho rinunciato a tante attività dei miei coetanei, chiusa fra quattro mura a suonare, mentre desideravo con tutte le mie forze andare all'aperto e liberarmi dagli obblighi e dai doveri. Amavo suonare, ma ero anche una "frivola socievole", l'apparenza infastidiva i vecchioni accademici e i figli di papà. Ero troppo timida per sbilanciarmi ed essere carina con gli insegnanti. 

Quando finalmente riuscii a diplomarmi, sentii come un grosso peso ruzzolare giù dalle scale: avevo ventidue anni, dopo tanti anni, non avevo più l'obbligo di dover suonare musica che mi faceva schifo, tutti i giorni, non interagendo e parlando con nessuno, da sola nella mia stanza, non dovevo più rispettare un programma ministeriale, gestire la competizione.

Mi piaceva scegliere gli abiti e vestire i manichini nelle vetrine, sotto Natale poi, luccicava tutto. Potevo liberare la fantasia e la femminilità. Parlavo con le clienti. Avevo il mio primo stipendio, durante il lavoro chiacchieravo con le mie colleghe, e quando tornavo, se ero stanca, non dovevo per forza montare lo strumento per studiare musica che odiavo e che non avevo scelto. Potevo uscire con le mie coetanee.

- Non penserai di stare lì per sempre vero? Con tutta la fatica che hai fatto e i soldi spesi.

Io in quel momento ero felice così, era un recuperare la mia adolescenza perduta. Ma avere a che fare con le apparenze e le aspettative era dura. Come il protagonista del primo diario. Non fu facile per me. La gente si aspettava altre cose e il vedermi in un negozio a mettere via i vestiti provati dai camerini, la vedeva come un mio fallimento. Thasala una fallita.

Come la mia amica che ora insegna lettere per fare felici i genitori mentre desiderava fare l'Isef. Perché insegnare lettere per loro era più dignitoso. Ma lei non è felice ogni mattina di svegliarsi e di fare il suo lavoro. Qual è il vero fallimento?
Eppure, siamo noi a farcene un problema, o sono veramente gli altri? Siete voi la vostra gabbia dei giudizi o sono gli altri che vi ingabbiano? Cosa vi impedisce di aprire questa gabbia e di prendere il volo? Avete le capacità di cambiare, di essere più forti dei giudizi e delle aspettative e di amare voi stessi veramente?

Leggete il primo diario.


Il mio nonno è morto da qualche mese. E' andato via nel sonno. In questo periodo affronto spesso il tema della morte, anche un mio vicino è andato via giovane, nel giro di venti giorni, e pure il mio cagnolino che venne qui, piccola come un battufolo.

Cos'è la morte? Tutti moriamo, ma allora cosa è servito vivere e soffrire? Forse la differenza sta in quello che si è fatto e provato in vita, in quello che si ha imparato. Nonostante le sue esperienze negative, in punto di morte, il protagonista del secondo diario, Quello che non ho, è quello che sono, riesce a rivedere nei suoi ultimi istanti la bellezza di quello che la vita gli aveva dato e che non aveva colto. Tuttavia riuscirà a fare pace con se stesso, e la sua vita non sarà sprecata. Ha imparato la lezione d'amore.

Il libro conta novantanove pagine, con un linguaggio fluido e diretto, l'ho letto in circa due ore. L'ho regalato ad alcuni amici importanti e a mia sorella. A mia madre è piaciuto tanto e l'ha finito prima di me. E' come un piccolo seme che in alcuni terreni farà sbocciare un fiore, in altri ci vorrà più tempo, e in altri forse non servirà a nulla. A volte ci vorranno più letture. Nei momenti di stanchezza, potrebbe essere utile rileggere qualche pagina che in passato ci aveva suggerito qualche fantasia.

Non basta un libro a cambiare la vita, non lui da solo, dobbiamo essere noi, il terreno, a sapere cogliere il messaggio.
Ma l'importante è donare quello in cui si crede, e io credo sia un piccolo, importante dono da parte di Simona, l'averlo scritto.

Grazie.


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