lunedì 7 ottobre 2013

I 7 peccati capitali - Ira

Avarizia.
Gola.
Lussuria.
Ira.
Accidia.
Superbia .
Invidia.

Sono una peccatrice. Più della metà dei vizi capitali fanno parte di me. La lussuria, la gola e la superbia li considererei pure delle virtù, e anche l'accidia. Ma l'ira. Proprio non so ancora gestirla. Non del tutto.

Mi piaceva leggere "Piccole donne" di Louise May Alcott, perché ognuna delle sorelle aveva qualcosa di me: la maggiore, Meg, la bella di casa, combatteva contro l'indolenza e il desiderio di cose belle, Jo l'aspirante scrittrice, generosa e ribelle, cercava di domare i suoi stati d'animo impetuosi, Beth la pianista era bloccata nella sua timidezza ed Amy l'artista, era una piccola raffinata e vanitosa, un po' presentuosa, che sperava un giorno di inserirsi nell'alta società.

Ma di tutte, Josephine March mi era d'ispirazione perché mi sentivo esattamente come lei: quando l'ira la travolgeva era capace di dire e fare cose che ferivano gli altri, incapace, nel suo orgoglio, di perdonare, finì quasi per perdere per sempre la sorella Amy nel lago ghiacciato. Rimase paralizzata, terrorizzata, mentre questa rischiava di annegare e morire assiderata. Questo fu l'episodio che la fece piangere e la spinse a lottare contro la sua naturale indole.

Per le persone pacate di natura non è semplice capire cosa si sente quando una fiamma da dentro ti travolge e ti brucia. In quei momenti qualsiasi cosa venga fatta e detta per calmare, è come un secchio di petrolio che viene versato sulla fiamma, che diventa un grande incendio. Tutto viene distrutto, anche la persona accecata dalla collera. E a volte è solo la stanchezza o la disperazione a far cessare questo stato.

Mi ricordo di porte sbattute, vetri rotti, grida e urla, lacrime e tante ore passate in solitudine a girovagare per la città per calmare i bollenti spiriti. Ero un'adolescente e non potevo andarmene via di casa. Stavo sui pulmini ore e ore d'inverno per stare un po' al caldo perché non potevo parcheggiarmi tutto il giorno in un bar, senza soldi in tasca. Avevo l'abbonamento per i mezzi di trasporti pubblici e quando il conducente, dopo vari capolinea cominciava a guardarmi dubbioso, scendevo e cambiavo corsa.

L'ira e l'impulsività rovinarono tante cose nella mia vita. Lavoro, rapporti, amicizie, situazioni. Quando decisi di voler cambiare, passai inevitabilmente al difetto opposto. E divenni una pentola a pressione. Tutto veniva mandato giù e represso. Le esplosioni, quelle poche, rare e inaspettate che ne derivarono, furono ancora più dannose di quando erano frequenti.

Ci vuole coraggio a voler combattere contro se stessi. E non è vero quando dicono che volere è potere, perché non si cambia mai veramente, anche con la più grande forza di volontà. Si può solo prendere coscienza e scegliere di non fare del male agli altri. E provare, riprovare, allenarsi. Quando si è felici e sereni, si è anche più tolleranti e l'ira è un peccato che non si rivela. Ma nei momenti difficili, torna quella sensazione di bruciore che grida da dentro di farsi sentire. E allora è come essere ritornati al punto di partenza.

Ricordo che una volta ero talmente furibonda che scaricai dalla macchina, di notte e sotto la pioggia, due mie amiche con cui stavo litigando. O quando nel mezzo del lavoro, in un locale, gettai lo straccio e annunciai di pagarmi subito le mie ore, perché non volevo rimanere un minuto in più in quel posto. Quelle furono alcune delle mie esplosioni della "pentola a pressione" e, dopo tanto tempo passato a soffocare la rabbia, fu una notevole liberazione, e dopo mi sentii svuotata e incredibilmente stanca. Ma gli altri attorno a me ne rimanevano addolorati e spaventati. Di tutto quanto, alla fine mi rimaneva il ricordo di aver ferito e perso le persone a cui tenevo.

Non sono cambiata, in realtà. Anche se spesso la gente non crede che io provi emozioni di tale portata. Ma io non sono docile. Se la mia stessa madre mi dava del "maschiaccio", aveva le sue ragioni.

Quello che riesce a fermarmi, ora, non è il concetto del giusto e del sbagliato, la maggior parte delle volte è l'amore. E nonostante l'amore, riesco ancora a ferire le persone, quelle che mi stanno più vicine.

L'amore non è solo quello romantico, quello fra un uomo e una donna.

Il primo amore che mi è stato d'aiuto è quello per la vita. Da adolescente, quando era difficile crescere e avevo paura di vivere, sentivo più spesso in me quel fuoco incandescente. Perché ero infelice. Come ho detto più sopra, quando ci si sente sereni ed appagati si è anche più tolleranti.

Il secondo amore è quello più generale. Quello per le persone, ma non tutte, solo quelle a cui tengo. Mi ferisce ripensare ai loro sguardi, alle loro incertezze dopo essermi lasciata andare. Questo mi spinge, ogni volta, a pensare all'amore che come un fiore chiede di essere sbocciato e non distrutto, e la fiamma si ritrae, una pioggerellina scende. L'incendio si vergogna e piano piano viene sconfitta.

E poi c'è l'amore importante, quello per una persona sola. Semplicemente perché è quello di cui hai bisogno. Perché non hai molti contrasti, perché le discussioni non degenerano, perché non ti fanno alzare la voce e non si sa bene il perché.

Ci sono ire che sono come incendi, altre che guizzano per un po', come fiammiferi fregati contro il muro.

Ci sono persone che a contatto con piccole fiamme diventano dei combustibili, e il piccolo male cresce anziché contenersi e si propaga. Ci sono altre invece, che scendono come pioggia e raffreddano tutto quanto. Altre che non ti cambiano del tutto, ma che costruiscono un camino attorno per proteggerti e il fuoco non brucia più per distruggere, ma per scaldare. E forse non è più lo stesso fuoco.

La chimica fra le persone è complessa e non l'ho mai capita del tutto.

E ho imparato un altro metodo per far fronte all'ira: scrivere. Per fortuna è un mezzo di comunicazione che mi riesce facile. 

Scrivo per esprimere la mia rabbia, alla prima stesura. E vomito l'anima, senza preoccuparmi di quello che dico. Se non ho interesse a recuperare i rapporti mando gli scritti così come sono. Se invece non voglio ferire, non voglio perdere la persona, riscrivo la lettera con gli stessi contenuti e magari parole diverse, e alla seconda stesura già mi vengono anche concetti di amore, assieme alla rabbia.

Questo mezzo mi permette di comunicare e di gestire i sentimenti negativi in maniera più pacata. E' un bel mezzo. Quando rivedo la persona che mi ha fatto arrabbiare, dopo averle già scritto, la rabbia è ridotta notevolmente, le idee sono già state ordinate ed espresse, e parlare diviene più facile e non si rischia di dire cose che possono ferire.

Ho scritto queste cose oggi, perché è venuto a trovarmi di nuovo il mio peccato capitale: l'ira.
L'ho detto, che non si cambia mai veramente, e mi fa male lasciarmi andare così con le persone vicine.

Ma non sono cattiva. Non volevo. Ci riprovo.

°°°

La strada era sconnessa e scivolosa, il piede mi è scivolato mandando l'altro piede fuori strada ma mi sono ripreso e mi sono detto: sono scivolato, non sono caduto.

(Abraham Lincoln)

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