giovedì 4 dicembre 2014

Le origini del jazz

Questo è il secondo capitolo della mia tesi, dopo aver parlato della nascita e dello sviluppo del saxofono, scrissi un breve capitolo sulle origini del jazz. Non ne trattai lo sviluppo e l'evoluzione perché un capitolo non sarebbe bastato e non ne avevo le competenze, e anche perché mi sarei allontanata dal tema del mio progetto, che era analizzare la comunicazione multimediale e l'utilizzo del saxofono nei vari canali quali cinema, pubblicità e televisione.
Già dalla nascita il sax fu uno strumento vittima di ostilità e pregiudizi, come visto nel primo capitolo, il destino volle che anche il genere musicale a cui venne associato era mal visto e considerato "degenerato".
Questo secondo capitolo fu necessario per capire l'ottica collettiva associata allo strumento presso il vasto pubblico, ad esempio come in pochi sanno e si ricordino che il sax nacque come strumento classico e il suo creatore lo volle in un ambiente accademico, e il suo conseguente utilizzo in particolari scene di film e persino cartoni animati dedicati ai bambini.


***


In genere, il jazz è sempre stato rappresentato come il tipo d'uomo con cui non vorreste far uscire vostra figlia.
DUKE ELLINGTON


Il jazz è uno dei fenomeni culturali e sociali più importanti del secolo scorso e la forma musicale che, assieme al blues, ha dato maggior spazio al sassofono.
Come il cinema nasce quasi nello stesso periodo, alla fine del XIX secolo. Dal connubio di queste due forme artistiche sono nati numerosi film entrati nella storia del cinema. Storie che parlano di jazz, dei personaggi o semplicemente ne utilizzano la musica come colonna sonora. Biografie di grandi sassofonisti come Charlie Parker (Bird, Clint Eastwood, 1988) e Lester Young (‘Round Midnight, Bertrand Tavernier, 1986).
Il jazz è un “bastardo”, è il prodotto in continua evoluzione di tradizioni e culture differenti fra bianchi e neri, fra Europa e Africa, fra musica classica e musica leggera.
Questo capitolo vuole essere una breve sintesi delle sue complesse origini, a cominciare dal fenomeno della schiavitù che, importando i neri in America, ne portò anche le tradizioni e le concezioni musicali.



La schiavitù

Nel 1619 venne registrata la prima tratta di schiavi neri dall'Africa alle nuove province americane bisognose di mano d'opera, un fenomeno destinato a durare circa duecento anni. In tutto, gli schiavi deportati furono almeno dieci milioni.

Nel 1649 la popolazione della Virginia contava quindicimila bianchi e trecento neri, per un rapporto di uno a cinquanta, ma nella seconda metà del secolo il rapporto si invertì (cinquanta neri per un padrone bianco). I neri erano concentrati nella zona del sud agricolo dove venivano impiegati nell'agricoltura, nella coltivazione del tabacco e del cotone. Mentre al nord prevaleva ancora la popolazione bianca. Nel 1800 gli schiavi neri erano già un milione, e allo scoppio della Guerra Civile erano saliti a quattro milioni e mezzo.

Nel 1865 la schiavitù venne abolita con la guerra di Secessione, ma la condizione del nero peggiorò: finché serviva al bianco per lavorare aveva un luogo dove vivere e mangiare. Con la libertà si ritrovò a dover emigrare verso il nord, oltre il Mississippi verso le grandi città, per cercare un lavoro e condizioni di vita migliori, ma fu vittima del problema sociale del razzismo che sfociò in molti casi in atti di ostilità e violenza da parte del bianco contro il “negro”.

Il nero non poteva frequentare luoghi e servizi pubblici riservati ai bianchi. Nel 1883 la Corte Suprema gli tolse gran parte dei diritti che erano stati loro promessi. Negli anni '90 diversi stati del Sud non consentivano ancora ai neri di votare. La maggior parte di essi decise di rimanere perciò nei luoghi nativi.



Il blues rurale

È una forma musicale. Nacque da schiavi liberi, ma vittime del razzismo, nel tardo ‘800. Fu il prodotto di una comunità, una alta forma lirica musicale forgiata dal popolo afroamericano, che aveva armonie e ritmi sconosciuti per i bianchi.

La vita nei campi era dura e faticosa, ma la musica e il canto collettivo gli faceva sopportare le fatiche e la sofferenza. Cantava sempre in prima persona; anche quando raccontava avvenimenti accaduti altrui, come l'inondazione del Mississippi. Il cantante cieco parlava addirittura di cose che vedeva con i suoi occhi.

I testi, spesso su un solo accordo e senza una forma precisa, descrivevano le vicende del contadino, mai di politica: egli non contestava mai. Ma più spesso parlavano di sesso. Il sesso non aveva tabù, la masturbazione, l’omosessualità e l’impotenza venivano cantati con l’uso di metafore, ma non per pudore, bensì perché non essere in grado di raccontare le cose indirettamente era segno di incapacità intellettuale. Così l’impotenza diveniva: “la mia matita non scriverà più”.

Nonostante si parlasse del proprio dolore, vi era sempre un spiccata nota di ironia, di un particolare senso dell'umorismo che non lo faceva sembrare mai ad un canto di dolore puro. Questo tipo di humor, così come la musica, era di difficile comprensione per un bianco.
Era questo il blues rurale, la vera voce del contadino nero e musicalmente non si evolse mai.

Il blues che invece conosciamo fu una trovata commerciale ben studiata e concepita.


Il nero schiavo delle origini non possiede nulla. Il nero schiavo delle origini canta il suo dolore e non possiede uno strumento per accompagnare il suo canto. Non esiste uno schiavo nero che sorridendo spensierato strimpella il suo banjo seduto su una balla di cotone. Questa è solo una creazione romantica, non è la realtà. Solo col tempo gli strumenti sono entrati nella vita del nero e, anche quando molto più tardi il jazz era solo quasi esclusivamente strumentale, il suono che ne usciva era assai simile alla voce umana.

VILLARI CINZIA, attrice teatrale



Blues commerciale o jazzistico

Verso la fine degli anni ’10 William C. Handy decise di maneggiare il blues rurale, lo inquadrò in dodici o sedici battute, gli diede una forma con delle armonie, apportò alcune modifiche e, poiché da solo non si reggeva, lo inserì nel ragtime e lo lanciò, facendolo così entrare dalla porta di servizio della musica leggera.

A differenza del blues rurale i testi delle canzoni potevano essere anche in terza persona e si alternava fra tonalità maggiore e minore.

Nacque il blues jazzistico che si impose come forma predefinita del blues.



Le altre radici del jazz

Mentre il blues commerciale prendeva vita e veniva lanciato, gli avvenimenti storici e musicali delle altre città confluivano a dar vita al jazz.

A Cuba e in seguito a New Orleans, veniva rappresentata molta musica classica proveniente dall'Europa. In particolare le opere di Giuseppe Verdi. Ma dall’Europa venivano anche le marce militari.

A Broadway nascevano i musical, intanto nasceva la musica a stampa e l'editoria musicale era sparsa oramai in tutto il paese: Philadelphia, Boston, New York.

Le controdanze caraibiche subivano influenze musicali importati dagli schiavi neri del sud, introducendo nuovi elementi ritmici, e al tempo stesso “contaminavano” a loro volta la musica statunitense con lo spostamento verso il nord dei musicisti neri.

Dai primi del '900 il fenomeno dell'immigrazione portò a New Orleans anche inglesi, francesi, spagnoli ed ebrei che si trovarono a convivere con creoli e schiavi neri.



La nascita del jazz

Il confluire di questi avvenimenti diede vita al jazz, che fin dall’inizio subì il destino di crescere e di propagarsi nei luoghi legati al vizio, alle bische, nei bordelli e nei saloon.
Anche il blues commerciale nacque in città più ricche di vita notturna come New Orleans, Kansas City e Memphis.

In queste grandi città, i musicisti neri di musica classica erano esclusi dagli ambienti colti riservati ai bianchi, e non trovando un impiego, avevano come mecenati i padroni dei bordelli. Per sbarcare il lunario proponevano musica leggera, d'intrattenimento. Nei loro biglietti da visita alla voce “musica d'intrattenimento” era indicato il jazz.
Questo creò nel tempo il luogo comune che i neri e i musicisti jazz non sapessero leggere la musica e che suonassero solo ad orecchio.



Il sassofono nel jazz

Il jazz è quasi al giro boa del primo secolo: un’epopea che se dovesse trovare in uno strumento musicale il suo vessillo, questo non potrebbe che essere il saxofono. I saxofonisti hanno dominato la storia della musica sincopata.
LUCA BRAGALINI, musicologo


Il sassofono comparve negli spettacoli vaudeville (genere di spettacolo comico che spopolò negli Stati Uniti tra l’Ottocento e il Novecento) dove si rivelò virtuosistico, con i suoi arpeggi, le scale cromatiche, i fraseggi, le terzine di crome e i tripli staccati. I sassofonisti vibravano più violinisticamente che clarinettisticamente, e alla fine degli anni Venti il sax divenne il simbolo del Jazz.
Dalla seconda metà degli anni Venti, qualsiasi formazione jazzistica ospitava nel suo organico uno o più sassofoni, anche quando non era presente la figura del sassofonista, veniva richiesto al clarinettista di suonarlo. Conquistò anche New Orleans e il Mississippi. Prima di allora, sebbene la “Patrik Gilmore Band” includesse un quartetto di sax già nel 1870 e la “Marine Band” di Sousa ne aveva nel suo organico dal 1880, le orchestrine di teatro non lo inclusero fino, ad almeno, al 1916.










 ***

Leggi il capitolo precedente: Storia del sax
Leggi il capitolo successivo: Tecniche della comunicazione



Nessun commento:

Posta un commento