Questi pensieri, benché nascano dalla mia testa, non sono tutti farina del mio sacco, ricordo che lessi a riguardo un articolo da qualche parte, ma riguardava le persone buone, quali sono, cioè, le caratteristiche tipiche delle persone definibili "buone". Da allora, io che una volta vivevo nel dubbio che le persone cattive non esistano veramente, mi guardo attorno con più consapevolezza e chiarezza.
Da un punto di vista di crescita personale, le persone "cattive" non esistono, nel senso che ci sono persone che non hanno ancora sviluppato alcune caratteristiche come l'empatia o la pietà, e probabilmente non si accorgono del male che fanno, sempre spiritualmente, sarebbero da considerare "più indietro" sulla scala di questa crescita, più "deboli" e quindi da comprendere e perdonare.
Sono però dell'idea, che nella "realtà" e nella vita di tutti i giorni i cattivi esistano eccome, che non bisogna cadere nel buonismo e porgere sempre l'altra guancia, che è da stupidi vivere con le fette di prosciutto sugli occhi, che se si riconosce la cattiveria, bisogna evitarla e/o contrastarla, se non per noi, almeno per chi ci sta attorno.
Le persone cattive esistono?
Hitler lo definireste buono? I killer che ammazzano su commissione, a sangue freddo, i bambini e i disarmati, come li considerereste? Le infermiere e le maestre che negli ospizi o negli asili infieriscono, perché chi dovrebbero accudire non sono in grado di reagire o di difendersi, come li consideriamo? I genitori che ripudiano i figli perché gay, lesbiche, perché non seguono la stessa religione, perché non scelgono il lavoro che loro vorrebbero e li "deludono", li hanno messi al mondo per pura bontà o per avere un riscontro personale?
I cattivi esistono eccome, purtroppo si tende sempre a pensare che ciò che succede agli altri non succederà a noi. Che chi ci sta attorno non può essere cattivo.
State attenti.
Non sempre i cattivi si riconoscono. Alcuni hanno paura della legge, della religione, altri temono i più potenti e si controllano, oppure non hanno il coraggio di esprimere in azioni i loro desideri, altri magari non compiono azioni eclatanti come ammazzare, stuprare, violentare, ma uccidono con le parole.
Sì: le parole possono far ammalare e uccidere lentamente, giorno dopo giorno. Dentro.
Infatti io non sono d'accordo che si possa sempre giustificare quello che viene detto durante i litigi e "scherzando" e lasciare correre tutto con un paio di scuse, come se niente fosse: la maturità umana, se non adulta, comporta anche un certo autocontrollo e non si tratta l'aver detto qualche parola, ma di esprimere pensieri che rivelano cose che non si possono ignorare. Alcuni sbagli più grossi si possono perdonare. Alcune semplici frasi no. Le frasi sono pensieri. Bisogna capire l'origine di tali pensieri.
Dalla parte opposta, anche il silenzio uccide: il silenzio uccide tormentando con il distacco, la freddezza e l'indifferenza, quasi più delle parole. Familiari che non si rivolgono la parola da anni, genitori che non comunicano, verità taciute. Interrogativi senza risposta.
Mi viene in mente l'immagine di un cuore che, senza calore, si raffredda, si congela e si indurisce nel tempo, o di un fiore, che senza sole, senza acqua e cure, muore soffrendo e aridamente. Il silenzio è anche questo.
Cosa bisogna fare allora? Eppure nessuno ci obbliga a subire.
Come si riconosce la cattiveria?
Essere buoni o cattivi è comunque una scelta, che sia questa dettata dall'educazione o dalla convinzione. Nella nostra società ci sono leggi che vietano azioni "cattive" e, poiché la legge vale per tutti, c'è chi non ruba o uccide perché è sbagliato e chi sceglie di non farlo comunque. Qui sta la differenza fra un indole buona e una non buona.
Cosa succederebbe in una società senza leggi?
Io credo che esistano caratteristiche precise ed innate fra una persona "buona" e una "cattiva".
La prima caratteristica che aiuta nelle scelte "buone" è l'empatia.
Preciso: essere solo empatici non fa una persona buona. Non tutte le persone buone sono empatiche e anche le persone cattive possono esserlo. Assieme all'empatia ci vanno altre caratteristiche. Ma cos'è l'empatia?
"L’empatia è la capacità di comprendere a pieno lo stato d'animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Empatia significa sentire dentro [...] significa andare non solo verso l’altro, ma anche portare questi nel proprio mondo. Essa rappresenta, inoltre la capacità di un individuo di comprendere in modo immediato i pensieri e gli stati d'animo di un'altra persona.
L’empatia costituisce un modo di comunicare nel quale il ricevente mette in secondo piano il suo modo di percepire la realtà per cercare di far risaltare in sé stesso le esperienze e le percezioni dell'interlocutore. È una forma molto profonda di comprensione dell'altro perché si tratta d'immedesimazione negli altrui sentimenti".
(Wikipedia)
Scoprii di essere troppo empatica durante la prima psicanalisi: avevo ventitrè anni, ma già durante la mia esistenza, dalla nascita, mi ero accorta di "percepire" cose nell'aria e questa caratteristica mi faceva soffrire tantissimo, io ero spesso malinconica quando guardavo il mondo.
L'episodio che più mi è rimasto in testa fu durante l'adolescenza, quando due miei amici molto vicini si lasciarono e, io in mezzo a loro, mi ritrovai ad ascoltare le confidenze. Una volta sentii portarmi per giorni, il peso e l'immensa tristezza e sconforto che non erano solo miei, li avevo inglobati senza saperlo da loro. Ero io a stare male perché stavo vivendo il loro tradimento, il loro abbandono, il loro fallimento, la loro rabbia e nostalgia. Ma non era la mia storia!
La diagnosi della psicologa, ricordo, mi descrisse come una spugna che assorbiva, senza barriere e senza difese, qualsiasi avvenimento esterno, e il nostro lavoro sarebbe consistito nel costruire una barriera osmotica e una consapevolezza che mi aiutasse a fare passare informazioni non nocive per me. Fu esattamente questa la parola che usò: spugna. Una spugna senza barriere.
L'empatia può essere positiva per certi lavori: per esempio per l'attore, per un artista o anche per uno psicologo, ma senza questa barriera può essere molto nociva. Tante persone arrivano ad ammalarsi o a suicidarsi senza una protezione emotiva, perché non reggono la sofferenza propria e del mondo.
Ho messo l'empatia come prima caratteristica per la scelta di essere buoni, perché capire come si sente l'altra persona quando agiamo in un certo modo, ci da maggiore consapevolezza del male. Ma come ho poi detto, una persona può comunque essere empatica e scegliere di fare male, consapevolmente.
La seconda caratteristica è il senso di gratitudine. Le persone cattive sono spesso anche ingrate.
Perché la gratitudine? Perché ci permette di vedere e ricordare quello che abbiamo ricevuto, anche nei momenti di ostilità e di incomprensione, e questo discorso è rivolto soprattutto alle persone che condividono con noi la famiglia. Ma anche nei rapporti di amicizia.
Ricordarsi di quella volta che quella persona è stata gentile, che ci ha fatto del bene, ci ha cresciuti, aiutati... E' anche questa la differenza fra un figlio che arriva ad odiare un genitore e un altro che, pur avendo subito gli stessi trattamenti di ingiustizia o cattiveria (i genitori possono essere cattivi con i proprio figli? Certo che sì) sceglie solo di allontanarsi, per non soffrire ulteriormente, ma non arriva ad odiarlo.
Non sempre i genitori amano i figli, ma possiamo scegliere di perpetuare l'odio reciproco o solo cercare l'amore da un'altra parte.
Nei rapporti di coppia, spesso ci si lascia e si litiga per soldi, per diritti e priorità che, forse, non sono poi così importanti, ma lo si fa per rivendicazione e per vedere l'altro perdere. Ma tutto quello che c'è stato prima? L'amore finisce, ma il senso di gratitudine di quello che ci è stato dato? E cosa ci è stato dato? Momenti insieme, compagnia, esperienze di vita.
Provare rabbia e delusione è normale per tutti, ma il senso di gratitudine, soprattutto quello spontaneo, permette in un secondo momento di bilanciare gli istanti negativi, di ricordare qualcosa, di scegliere di andare avanti. Le persone ingrate sono spesso infelici e scontente del prossimo, cancellano e danno per scontato che tutto gli sia dovuto, non vedono l'azione di generosità che hanno ricevuto, e l'infelicità, il risentimento che cresce, porta all'odio e alla cattiveria.
La terza caratteristica è il coraggio. La parola deriva dal latino coraticum o anche cor habeo, aggettivo derivante dalla parola composta cor, cordis cuore e dal verbo habere avere: ho cuore.
Per me coraggio significa affrontare le paure, le dicerie, le malelingue, agire anche con la paura. Significa essere coerenti nei confronti degli altri e a volte "sconfiggere" se stessi. Coraggio vuol dire anche cambiare, scegliere la strada difficile per cambiare. Camminare a testa alta, guardare negli occhi. Ci sono persone che passano la vita a giustificarsi: "Io sono fatto così", per concludere in fretta un argomento a loro spinoso, per poi proseguire l'esistenza con le proprie debolezze e continuare a subire. Subire una cattiveria non è essere buoni, ma significa incentivare la cattiveria e permettere che questa si propaghi. Avere coraggio implica in prima persona di rispondere se necessario, di lottare e di fermare la prepotenza.
"Io sono fatto così".
Anch'io sono nata emotiva e impulsiva, anch'io ho subito l'indifferenza, la violenza. Anch'io sono impaziente. Anch'io ho paura. Dicevo sempre di sì. Ero sempre disponibile. Avevo persone che non volevano che cambiassi, che contrastavano la mia voglia di lottare perché così era per loro più comodo. Credete sia semplice? Essere sempre disponibili e gentili era essere buoni?
No.
Sarebbe stato più semplice stare in silenzio, lasciare che quelli più forti ed egoisti di me avessero il sopravvento. Continuare a conservare la pace per evitare contrasti. Stare male e morire dentro, per ritrovarmi un giorno uguale a quelle persone che mi facevano del male. E intanto lasciare che gli altri, con la tacita approvazione e debolezza, proseguissero ad alzare la voce, a pretendere, a umiliare e a schiacciare le personalità accondiscendenti. Ne sarei diventata complice.
Ora dirò una cosa che pare un controsenso: io non sono sicura di essere buona.
Non sono sicura che non farò mai azioni negative e di essere nel giusto.
Non ho messo altre caratteristiche perché non sono in grado di sentirle e di descriverle con mie parole, come la generosità, la pietà, la pazienza. A volte, nonostante tutto, ho il dubbio di fare del male. Specialmente nei momenti difficili, vorrei che anche gli altri sentissero un po' di quello che sto passando, e mi ci vuole tanta forza per soffocare questo aspetto e scegliere di non propagare la sofferenza.
Ho scritto tutto questo per arrivare a questa conclusione. Vivo nel dubbio, in questo dubbio. So di essere empatica e riconosco di essere più coraggiosa della media. Ma se la vita mi portasse a prove ancora più dure e difficili?
Siete così sicuri pure voi di essere buoni? Siete sicuri che chi vi sta accanto sia una persona buona? La cattiveria esiste. Le persone cattive esistono, e se fossimo noi quelle persone?
Forse se ti ponessi la domanda al contrario: Sono una persona cattiva? ;-) Ysse Hai detto molte cose che condivido...Il coraggio e la riconoscenza...A spasso con la bontà di cuore sanno fare buoni passi!
RispondiEliminaChe buffo, qualche giorno fa pensavo: devo rileggere quel post e oggi mi ritrovo questo commento :)
EliminaCi provo, mi pongo questa domanda e vediamo che riflessioni me ne scaturiscono fuori, se saranno sensate ne faccio un post :)