Nota: I racconti qui pubblicati sono inediti ed interamente ideati e scritti da Thasala Phan, a cui appartengono tutti i diritti (vedi nota in fondo alla pagina). Alcuni luoghi citati, i personaggi e le trame sono frutto di sola fantasia. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.
***
Ogni notte, al termine dello spettacolo, se ne va quasi senza salutare nessuno. Qualche volta si ferma per sorseggiare un bicchiere di vino prima di andarsene. Non dice mai una parola, è raro sentirlo parlare o sorridere. Si limita ad arrivare ogni sera né in ritardo né in anticipo, si siede al pianoforte e fa quello che deve fare. In pochi si ricordano il suo nome.
La clientela del locale è varia: vi sono personaggi fissi, affezionati avventori, quelli di passaggio che non tornano più. Quelli di fretta, troppo preoccupati per accorgersi di ciò che succede attorno a loro, o quelli che vengono per rilassarsi ed ascoltare la musica e osservano tutto. Alcuni vengono da soli, altri in coppia, ma capitano anche le combriccole rumorose. Sono voci di tante anime e vite che si incrociano e chissà se per le strade mai si incontreranno di nuovo.
Dal suo pianoforte, come un'ombra, suona e osserva le storie, sente le parole, ascolta le emozioni. La musica si diffonde nel locale mischiandosi col chiacchiericcio, il fumo, i vetri appannati e le luci soffuse, fra un boccale di birra e una coppa di champagne. E’ una colonna sonora suonata nell’oscurità, una dedica senza firma.
Ogni sera verso le undici la sala è gremita.
In una notte come tante, una giovane coppia seduta ad un tavolo sta discutendo. Lei piange, lui si giustifica, non capisce che lei non vuole una spiegazione, vuole solo sentirsi amata.
Al bancone due amiche ridono alzando i calici festeggiando il fidanzamento della più giovane. Parlano di abiti da sposa, si confidano, progettano e ridono. La felicità risplende negli occhi della futura sposa.
In fondo alla sala un uomo solitario chiede un bicchiere di brandy dopo l’altro. Se ne sta nascosto nella zona buia, non ha neppure tolto il paletot, il cappello è appoggiato sul tavolo e la testa arruffata fra le mani.
Due occhi penetranti lo stanno osservando: il pianista conosce quello che sta provando quell’uomo. Le sue dita scorrono sulla tastiera e gli dedicano melodie di struggenti poesie francesi:
“Oh! Vorrei tanto che tu ricordassi
i giorni felici quando eravamo amici.
La vita era più bella.
Il sole più bruciante.
Ti amavo tanto, eri così bella.
Come potrei dimenticarti.
Ma non ho ormai che rimpianti.
Le foglie morte cadono a mucchi…
come i ricordi e i rimpianti
e il vento del nord le porta via
nella fredda notte dell'oblio...”
L’uomo non sa che qualcuno gli sta parlando, e prosegue ad ingurgitare un bicchiere dopo l’altro mandando giù l’amaro e tenendosi la testa fra le mai.
Ad un altro tavolo due ragazzi sono attratti dalle amiche sedute al bancone con gli occhi ridenti, vorrebbero conoscerle, ma sono giovani ed inesperti e non sanno come fare, non hanno il coraggio di farsi avanti e osservano timidamente rimanendo al loro posto.
Una languida platinata con le unghie rosse e le lunghe ciglia finte, in passato una famosa modella, getta nuvole di fumo verso l’alto sorridendo e cercando di attirare l’attenzione del suo stanco accompagnatore: un facoltoso uomo di affari e di successo, oramai indifferente alle avances della ammaliante dama di compagnia.
“La vita separa chi si ama
piano piano
senza far rumore
e il mare cancella sulla sabbia
i passi degli amanti divisi.
Le foglie morte cadono a mucchi
come i ricordi e i rimpianti.”
La ragazza che serve ai tavoli corre avanti e indietro tutte le sere: è una graziosa e gaia studentessa ventenne che alla fine di ogni giornata di lavoro conta e racimola il denaro per pagarsi gli studi e dare da mangiare ai suoi fratellini.
La pioggia batte contro i vetri, la gente va e viene. La luce rassicurante delle candele sfuma le linee dei volti e le voci si perdono nel tempo, nella profonda e nebbiosa notte autunnale.
Il ricco uomo d’affari si sta alzando e la bella dama lo segue; i suoi occhi sono assenti e sofferenti: quegli occhi che un tempo erano stati così gai e felici, come quelli della fanciulla bionda seduta al bancone che, senza ancora illusioni, progetta e sogna il giorno delle sue nozze. E ricorda quando anche lei un giorno si sentiva amata e piena di speranze. Questa notte si addormenterà da sola nel grande letto del suo vuoto e freddo palazzo di lusso, mentre lui non sarà con lei.
Non alza lo sguardo dalla tastiera, non interrompe la sua musica, eppure nell’ombra abbozza uno strano, sarcastico sorriso mentre dedica alla bella dama dal cuore spezzato:
“Tu mi amavi
io ti amavo.
E vivevamo noi due insieme
tu che mi amavi
io che ti amavo.
Oh! Vorrei tanto che tu ricordassi
i giorni felici quando eravamo amici.
La vita era più bella.
Il sole più bruciante.
Ma la vita separa chi si ama
piano piano
senza far rumore
e il mare cancella sulla sabbia
i passi degli amanti divisi.”
E’ notte fonda. Sale la temperatura nella stanza, sale il rumore. La nebbia delle sigarette offusca le menti indebolite ed eccitate dall’alcol, dalla stanchezza e dal sonno.
I due giovani che erano seduti al tavolo stanno parlando con le amiche al bancone. Hanno raccolto il coraggio e si sono presentati. Ma uno è rimasto deluso perché la ragazza dei suoi sogni è promessa sposa, mentre il suo amico, dimentico del mondo attorno a sé, conversa rapito dalla ragazza libera.
La giovane coppia non litiga più, ora i loro toni di voce sono cambiati, lui la abbraccia e lei gli sorride, senza più lacrime. Hanno fatto la pace e se ne vanno via insieme: è tardi.
Forse è vero che se un cuore muore, a volte può perdonare, capire, ricostruire e rinascere.
Perché ad ogni storia che finisce ne nasce sempre una nuova.
Perché ad ogni storia che finisce ne nasce sempre una nuova.
“… non ho dimenticato
la canzone che mi cantavi.
È una canzone che ci somiglia.
Il mio amore silenzioso e fedele
sorride ancora e ringrazia la vita.”
Le fredde strade sono oramai deserte e la gente è tutta rintanata nelle proprie case, addormentata nei caldi giacigli. Il vento soffia forte spazzando via gli ultimi ricordi nella notte.
Se ne sono andati tutti a quest’ora: nella sala sono rimasti solo la cameriera che porta via i bicchieri vuoti e l’uomo con il volto e la testa fra le mani. Stanno chiudendo, la ragazza lo informa che è tardi. Lui si sorprende ad alzare lo sguardo, si guarda attorno attonito. Non scorge nulla. Mormora parole di scuse e con fatica si alza, barcolla, cerca la porta.
Le lampade e le candele ad una ad una si esauriscono e l’insegna luminosa è stata spenta.
Anche l’ultimo cliente se n’è andato. Stancamente, dal pianoforte si alza e si dirige verso il bancone. Ordina qualcosa di forte. Beve. E’ stata solo una lunga serata come tante, ma ora è il momento di dimenticare. Butta giù l’ultimo sorso, apre la porta e la rinchiude dietro di sé. La città l’avvolge nell’oscurità.
Silenzio.
Ora è rimasta solo la graziosa studentessa che ogni sera serve e corre fra i tavoli, senza pause e senza un momento per sé. Sfiora i tasti del pianoforte ripensando al misterioso ragazzo e alla sua musica che tanto l’emoziona. Lei a cui nessuno ancora ha mai dedicato qualcosa, che si accontenta di rubare sprazzi di poesie dalle melodie suonate per i clienti, perché conosce e sa cosa significano quelle parole non dette. Fedele e piccola, invisibile ascoltatrice.
"La canzone che cantavi
sempre, sempre la sentirò.
È una canzone che ci somiglia"
Lei e il pianista non si sono mai parlati.
“Non ho dimenticato
la canzone che mi cantavi.
Come potrei dimenticarti…”
Spegne la luce e abbandona la stanza. Cala finalmente il sipario sul palcoscenico vuoto e spento. Ma qualcosa di vago riecheggia ancora nell’aria.
Quella dedica che ogni sera tanto aspetta. Forse lui questa sera ha suonato anche per lei, forse è solo la paura che impedisce a due anime di guardarsi negli occhi e di cogliere il fiore offerto in dono.
E intanto la musica, ancora sospira:
“Le foglie morte cadono a mucchi
e il vento del nord le porta via
nella fredda notte dell'oblio…”
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