mercoledì 30 luglio 2014

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E' come se non avessi niente da dire, succede così quando la testa scoppia di pensieri. Non so cosa scrivere eppure sono stata quasi un'ora a battere e battere sulla tastiera, per poi decidere di non pubblicare nulla.
E' come se fosse più facile descrivere una stanza vuota che parlare di tante cose che l'arredano.

Come vorrei andare via e chiudere gli occhi contro il cielo. In un posto libero, via da qui.

martedì 29 luglio 2014

Qualcosa

Successe qualcosa in primavera, di remoto o forse no, e io attutii il colpo e mi rialzai. Ma qualcosa si era sfracellato dentro e non me ne accorsi, continuai la mia vita dicendo: "Sono forte. Come sono forte".
Passarono anni e continuai a credermi forte. Ma c'era qualcosa di cui andavo orgogliosa, al di fuori dal mio controllo, che si lasciò andare. All'inizio pensai ad un capriccio, ma quel problema ritornava. Anche se dopo anni e anni. Mi spiegarono: 

"La mente cerca di affrontarlo, quando non ce la fa, è il corpo che ti manda dei messaggi".

Dimmi che cosa cerchi di farmi capire. Mi arrendo.



venerdì 25 luglio 2014

Io e gli altri

Mi piace quella storiella che parla di due cani, uno allegro e fiducioso, l'altro ringhioso e diffidente. Li fanno entrare a turni in una casa degli specchi, il primo cane ne esce felice e contento, l'altro ancora più cupo e torvo. Cosa è successo nella stessa casa?

Entrambi i cani hanno solo visto la loro immagine riflessa, ma il primo ha creduto di trovare tanti altri amici simpatici e contenti di vederlo, mentre il secondo si è sentito attaccare da un branco di cani ringhiosi.

Mi piace anche un'altra storiella che parla di una donna che ogni giorno vede la dirimpettaia stendere i panni, e ogni giorno ne parla al marito, criticando e non capendo perché fossero sempre sporchi. Le sue critiche sono anche derisorie, perché la vicina non è pulita, non sa lavare i panni, non si vergogna ecc... finché un mattino, per la prima volta, vede finalmente dei panni candidi e puliti e lo comunica stupita al marito. Questi le risponde semplicemente di aver pulito i vetri sporchi delle finestre della loro casa. Non erano i panni altrui ad essere sporchi. Erano i vetri della donna che criticava.

Entrambe le storielle riassumono un concetto semplice: noi vediamo negli altri noi stessi.

Il più delle volte i difetti che maggiormente ci danno fastidio negli altri, sono i nostri che non sappiamo gestire. Più facciamo fatica a riconoscerli in noi e ad accettarli, maggiormente ci danno fastidio quando li riconosciamo in un'altra persona. Il mondo attorno a noi, le persone che incontriamo sono il nostro specchio, ed è fastidioso che qualcuno ci ricordi le nostre debolezze.

Questo non accade quando riconosciamo i nostri limiti e ci accettiamo, allora accettiamo anche gli stessi difetti negli altri e li osserviamo con più indulgenza, esattamente come lo siamo con noi stessi.

Ho fatto un esperimento in questi giorni, provando a mettere in pratica il detto che se vuoi ottenere qualcosa dagli altri, devi essere tu per primo a darlo. Ecco, io odio fare le file per uffici e, avendone fatte troppe nell'ultimo periodo ed avendo incontrato anche personale scortese e stressato, ho deciso che per lo meno volevo incontrare tutte persone gentili.

Il primo mattino della settimana mi sono recata presso un ufficio, non sapendo esattamente in quale stanza andare. Riconosco che a volte, quando sono presa dalle mille corse e dai cartelli poco chiari, dalle scadenze burocratiche, dimentico di salutare. Ma sapete che è una parolina che cambia l'approccio? Bisogna essere gentile con tutti, questo lo so. Ma prima era solo una regola, da oggi voglio che sia il mio modo di essere e non di fare, ed esserne più cosciente.

Interrompere le bidelle che stanno chiacchierando non sempre è piacevole per loro, specialmente se vedono una straniera girovagare persa per l'istituto. "Buongiorno, mi scusi, mi sono persa, cerco l'ufficio, sa dirmi, grazie!".

Salii per le scale pensando: "Ma come sono gentili le bidelle di questa scuola!"

All'ufficio la segretaria non mi lasciò molto il tempo di parlare e mi indirizzò immediatamente in un altro ufficio, che mi disse che no, dovevo tornare al primo. 
La prima segretaria mi disse che ero io a non essermi spiegata. Allora decisi di "sfidarla" ed ottenere quello che volevo: la sua gentilezza, e le risposi: "Mi scusi, non sono pratica in queste cose". La signora mutò immediatamente modo di fare e fu paziente e gentilissima nell'ora successiva in cui si occupò delle mie carte.
E così anche la sua collega vicina di tavolo dello stesso ufficio, che intervenne non richiesta più volte, per dare una mano.

Me ne andai pensando stupita: "Sono tutti disponibili in questa scuola?"

Non avevo ancora chiaro che il mio esperimento messo in moto per ammazzare la noia delle file, fosse una precisa tecnica della comunicazione per ottenere esattamente quello che vogliamo, ed era un concetto semplice: "Se volevo che fossero gentili con me e che mi aiutassero con i documenti, dovevo approcciarmi io per prima gentilmente con gli altri e chiederlo come se fosse un favore".

Il giorno dopo di nuovo, "Buongiorno, per cortesia, scusi il disturbo, grazie", più un bel sorriso di comprensione e gratitudine e me ne andai pensierosa: "In questi giorni incontro tutte persone disponibili".

Certo non so se questa regola funzioni sempre, certo sarà che c'è gente gentile a prescindere e non solo con me, sarà anche che mi ero presentata per fare la professoressa. Ma quello che contava è che ad essere educati e ammettendo le proprie incertezze, mi era rimasta la sensazione di benessere a me, prima che agli altri. 

Questi sono solo aneddoti insignificanti. Il discorso è molto più complesso.

Provate a pensare a quello che maggiormente vi urta negli altri. Non è che la cosa vi urta perché non avete la soluzione? Mettiamo che abbiate a che fare con una persona pessimista, che si piange addosso. Se voi foste ottimisti la cosa vi farebbe sorridere e pensereste che magari il vostro ottimismo potrebbe essere fastidioso per quella persona, il che non vi pone in un piano di superiorità e che non c'è motivo per volerla cambiare. Vi sentireste appagati, vi piacereste così e pensereste che avete visioni di vita differenti. Ma alla fine, se l'altra si piange addosso a voi cosa cambia? Fate voi semplicemente quella che l'altra non vuole e migliorate la situazione, se siete coinvolti, oppure prendete le distanze. Nessuno ha il diritto di volere cambiare nessuno.

Ho notato invece, che spesso quelli che si prendono l'incarico di indottrinare e di migliorare la vita altrui, sono loro stessi a non avere la vita serena e vanno alla ricerca di persone con problemi per riordinarle. Invece quelle serene o appagate se ne stanno al loro posto a godersi quello che hanno e sono gli altri a cercarle, a chiedere consiglio e compagnia.

Per questo anche quando riceviamo critiche, e sappiamo più o meno inconsciamente che è vero o temiamo che lo sia, ci sentiamo urtati, perché viene toccata una corda scoperta, mentre quando siamo sicuri delle nostre capacità e dei nostri meriti, le stesse critiche ci scivolano, come se non fossero rivolte a noi ma a qualcun altro. Io per esempio, so di parlare perfettamente l'italiano e non mi urtano quando mi chiedono: "Capisci l'italiano?" o mi apostrofano in malo modo, per il mio nome e il mio aspetto, penso semplicemente che devono ancora conoscermi.

Si sono versati fiumi di inchiostro e spese ore e ore di studio su come ottenere e vincere nella vita, e tutti riportano ad uno stesso, unico concetto: 

Se non credi tu per prima in quello che vuoi e puoi, come puoi pensare che ci credano gli altri.
Se non sei felice tu per primo, come credi di trasmettere felicità agli altri.
Se non ti importa degli altri, come puoi pensare che agli altri importi di te.
Se non dai tu l'esempio per prima, come puoi pretendere che prendano seriamente in conto i tuoi consigli.
Se non ami, come puoi pensare che ti amino.
Se se marcio tu, vedrai negli altri il marcio.
Se sei ricco dentro, vedrai negli altri la ricchezza.
Se sei cattivo, crederai che tutti sono cattivi.
Se sei buono, crederai che tutti sono buoni.
Se sei entusiasta della vita, la vita ti sorprenderà.



Oggi mi sento serena. E questa sarà una giornata serena!


martedì 22 luglio 2014

Uomini e donne

Le bambine hanno i codini e le calzette rosse. I maschietti le ginocchia sbucciate e detestano le femmine.
Crescono e crescono e diventano donne su eleganti tacchi e uomini protettivi, che ora le femmine non detestano più.
Si incontrano, si innamorano e poi si sposano, e vissero felici e contenti.
Lui ogni mattina le porta la colazione, e lei ogni sera lo accoglie bella e con il sorriso, con la casa linda e la cena pronta, quando rincasa dal lavoro.
Ma non sempre funziona così, a volte le cose vanno storto.

Non è sempre vero che le bimbe avevano i codini e cercano il principe azzurro, non è sempre vero che gli uomini vogliono proteggerle. Non ci sono stereotipi, il bello del mondo è che è vario, variegato, variopinto. Ma a volte tutti questi colori e sapori finiscono per confondere le aspettative.

Peccato. 

Io da piccola ero la bimba con i codini e le calzette, ma avevo anche le ginocchia sbucciate ed odiavo le femminucce. Tutte troppo lagnose! Io partivo "all'avventura" in gonnella e nastri di raso che penzolavano allegramente, provati dalle mie scorribande. E mi piaceva stare con i maschietti, che prendevo a calci e strillate quando mi facevano arrabbiare, il che accadeva spesso.

Quando era la festa della donna mi era venuto in mente di scrivere un post sull'uomo e sulla donna, per poter dire che gli spogliarelli maschili sono comici e le tipe che vanno là a sbavare abbastanza ridicole.
Un anno mi ci portarono, e ricordo che rimasi sorpresa a vedere signore di mezza età, apprezzare sul serio muscolosi ventenni che si toglievano i vestiti per una folla femminile che gridava coinvolta. Io credevo che scherzassero, ma loro facevano veramente. Al momento mi misi a ridere, ma poi chiesi di andar via e per un po' pensai con tristezza alla tenerezza del principe che coccola e salva la principessa.

Sono cresciuta in mezzo a due culture opposte, e non mi riferisco a quella del mio paese di origine e quella del paese in cui vivo. Parlo dei miei stessi genitori, che sono agli antipodi delle idee e della visione della vita. E poi dicono: "Mogli e buoi dei paesi tuoi"... a volte vanno più d'accordo due menti di continenti diversi che persone cresciute nella stessa nazione.

Nella famiglia di mia madre, di stampo militare e occidentale, l'uomo è colui che cede il passo alla donna, le apre la portiera, la protegge e la venera come una regina. Mia madre era cresciuta con una cameriera e un autista personale per ogni componente. Le donne erano quelle colte e un po' altezzose, che non alzavano un dito, dovevano essere fini, pulite, vestite raffinate e tenute a conoscere e a praticare le regole del galateo e delle buone maniere.

Nella famiglia di mio padre, di stampo tradizionale e orientale, l'uomo è colui che prende le decisioni e comanda, la donna è il focolaio domestico che serve il marito e gli cede il passo, che ubbidisce docilmente. Dev'essere anche un po' meno colta per non correre il rischio di rispondergli, ed è tenuta a imparare i lavori domestici per fare bene la casalinga, la moglie e la madre. In casa di mio padre, gli uomini prendevano tutte le decisioni e studiavano. Le donne invece, non era necessario neppure che andassero a scuola: non serviva.

Questo è solo un esempio di pensieri opposti dei miei. Le loro teste si scontrano praticamente in tutti in campi, a parte la politica. Come mia madre e mio padre siano riusciti a sposarsi e a creare una famiglia è un gioco un po' sadico del destino. Noi figli avevamo due possibilità: soccombere nel nulla o sopravvivere nel tutto. In una prima fase della mia vita scelsi la prima possibilità, comportandomi nei fatti come un uomo che non ha bisogno di un altro uomo, ma fragile e insicura come una donna che non può essere donna, poi resuscitai e divenni il tutto, quando accettai la mia femminilità e intuii che anche se sembravano visioni opposte, potevano completarsi anzichè scontrarsi.

Se si prende il meglio da entrambe le culture e si scartano le cose peggiori, ne escono due immagini di un uomo e di una donna migliori. 

Io credo che se due persone si amano o almeno si piacciono, le cose vengono da se, non è che l'uomo serve una donna perché è il suo ruolo, ma perché le vuole bene e cerca di fare le cose per cui il suo fisico e la sua posizione possono fare per coccolarla e prendersi cura di lei. E non è che la donna serve l'uomo perché è il suo padrone e lei una schiava, ma perché gli vuole bene, e si prende cura di lui nelle attività femminili che le vengono spontanee, per ricambiarlo delle sue premure.

Chi comanda chi? Nessuno. Lo scopo di una relazione non è delimitare il potere, ma stare bene entrambi. Se una donna vuole ottenere qualcosa può ottenerlo facendo la donna, con la dolcezza che le è innata, più che mettendosi a fare l'uomo, e se l'uomo vuole ottenere qualcosa da una donna, lo può ottenere facendola sentire compresa e amata, anzichè esercitare il proprio potere.

Ed ecco le due culture andare a braccetto, con lui che apre la portiera e accudisce la donna, fine e femminile, e lei che si sente bene e fa riferimento a lui per le decisioni importanti, perché per lei è importante e forte.

Sono fermamente convinta di questo, è per questo che quando un chichessia pretende di darmi ordini e di fare il prepotente con me, senza che io gli abbia dato il permesso, e per lo più neppure fa il galante e si sbatte un po' per me, prendo il lato peggiore di entrambe le culture e devo rispondergli per le rime e prenderlo a calci. Ora che sono consapevole di aver elaborato in conflitti, conoscere le regole del bon ton e della dolce donna e fare tutto il contrario è assai divertente. Mi sembra di essere tornata bambina, quando maschi e femmine si detestavano e io strillavo e prendevo a calci tutti, salvo poi annoiarmi con le femmine e volere stare con i maschi.

Maschilista o femminista? Maschiaccio o femminuccia? 

Che bello oggi, a distanza di anni, non dover rinunciare a nulla: prendo tutto, sono tutto, decido io quando, come e con chi essere cosa. A volte mi sento libera e menefreghista come una gatta selvatica, a volte ho voglia di essere mite e di ubbidire le regole come un cucciolo in attesa del suo migliore amico.

Come cane e gatto. Come mamma e papà. Comincio a pensare che, nonostante tutto, dovrei ringraziarli per avermi cresciuta così confusa.


venerdì 11 luglio 2014

Poesia

Quando il fuoco brucia ed è in fiamme. Distrugge, io ora aspetto. Ho già distrutto. Credevo che aspettando però, si limitassero i danni. Ma mi accorgo che incendia dentro.
Fa male lo stesso.
Non ho idea. Vorrei essere acqua, ma allora la potenza del mio essere distruggerebbe gli argini e prenderebbe con se le persone per affogarle. Non volevo.
Vorrei essere aria, ed allora sarei un ciclone irato che spazza e solleva le case per scaraventarle contro il muro. Alberi e strade sradicate.
Vorrei essere terra, ma mi agiterei fino a sposatare le zolle ed inghiottire paesi e storie, e alla fine del terremoto, morte e disperazione, solo terra desolata da ricostruire.
Ti prego vieni a me piccola e dolce nenia. Prendimi per mano e aiutami, insegnami a dormire. Cullami in te e aspetta il mio sonno. Dimmi quelle parole. Non lasciarmi questa sera.
Rimani qui. Non ho paura quando ci sei.
Ora il fuoco è una gaia fiamma di candela che rischiara e crea ombre nella stanza, l'acqua il tintinnare della pioggia estiva che rinfresca l'aria.
La terra il nutrimento di quel vaso che da vita al fiorellino. L'aria, il tuo dolce canto, l'alito lieve che sento sulle mie gote.
Non andare via, rimani qui per sempre.


giovedì 10 luglio 2014

La felicità cos'è?

La vita è un concetto strano: si nasce e poi si muore. L’uomo ha da sempre cercato il senso in tutto ciò. Ha cercato di capire da dove proveniamo, dove finiremo quando moriremo, e perché alcuni nascono più fortunati e altri disgraziati. Sono nate le religioni nel tentativo di spiegare. C’è la scienza che ci riesce fino ad un certo punto. Ognuno di noi ha una vita, un dna genetico e un percorso che non sarà mai uguale a quello di nessun altro.
Siamo talmente unici e diversi che nessuno potrebbe insegnare nulla a nessuno, perché le esperienze di una persona non saranno mai identiche a quelle di qualcun altro, ma proprio perché diverse, possiamo arricchirci cogliendone le diversità, questo sì.
Ma c’è una cosa che ci accomuna tutti quanti: neonati, anziani, donne, uomini, bianchi o neri… noi cerchiamo la felicità.

Vorremmo stare bene, vorremmo stare meglio. Vorremmo essere sereni, vorremmo poter chiamare vita quella cosa che ci passa accanto giorno dopo giorno.

Ma la felicità cos’è? Tanti la cercano senza sapere cos’è.

Io non so cosa sia la felicità, non lo so. Di solito si pensa che se le cose andassero come vorremmo noi, allora saremo felici. Perciò se stiamo bene di salute, se siamo belli, ricchi, se abbiamo successo, amore, allora saremo felici. Se tutto gira per il verso giusto. Se non ci affatichiamo, se vinciamo. Allora saremo felici.
Però, c’è gente che ha tutte queste cose e non è felice, e chi non ha nulla e invece lo è.

Ma allora cos’è? Sono felice io? Non lo so. E’ una domanda difficile.

Da piccola non ero felice, non saprei dire esattamente il perché. Mi sembrava di guardare la vita e di non essere quella bambina che stava in quella casa, in quella famiglia. Io ero come un qualche adulto che precedentemente si era suicidato sotto un cielo nebuloso, in un giorno di disperazione, di solitudine e di pazzia, e che aveva poi scelto di tornare in quella specifica famiglia, con quelle persone, per apprendere le lezioni che mi ero rifiutato di affrontare ed imparare nel percorso precedente.

Dovevo apprendere il significato dell’essere diversi, il razzismo e l’emarginazione in prima persona. Dovevo convivere con persone disabili fisicamente e mentalmente, e superarne la vergogna. Dovevo capire, amare anche le loro difficoltà. Vivere con loro significava anche rinunciare a tante cose, dall’affetto ai beni materiali, al tempo. Dovevo imparare a cavarmela da sola presto.

Mi hanno raccontato delle ferite di guerra, dei bombardamenti e dei morti, dei cari persi e più visti. Dei cari dispersi senza averne più notizie. Delle malattie, dei coprifuoco. Sentivo queste storie come fossero vicende di un libro di storia inventato. Le sentivo mentre vivevo in questo paese ricco e civile. E le sentivo solo in famiglia, non c’era la maestra a scuola che mi confermasse e desse una realtà storica a quelle leggende.
E non so perché, nonostante i molti documentari, i molti film sull’argomento, non ho mai voluto guardare niente che ne parlasse. Non ho mai visto un film sul mio paese.

Lingua diversa, religione diversa, storia diversa. Faccia diversa. Cittadinanza diversa. Diritti diversi. Ecco.
Beh, non ero felice.

Ho sempre sentito come un vuoto da colmare. Con il cibo, con le mille cose da fare, con la presenza di persone, perché quando tutti andavano via e le luci si spegnevano su di me, ero al buio, ero dentro quel vuoto. Sentivo il vuoto così forte, come una sensazione di ansia, che qualunque stanza o spazio occupassi, dovevo riempirla di oggetti, e le pareti di quadri.

Quand’ero piccola non ero come ora. Ora cerco le luci e spalanco le finestre, ora sto bene anche con una parete bianca, ma ricordo chiaramente della mia antica fobia di serrare le ante, di assicurarmi che le porte fossero chiuse a chiave e che “gli altri” non potessero entrare. Avevo forse otto anni e temevo che entrasse qualcuno in casa. La mamma mi chiedeva sempre perché chiudessi tutte le ante, quando lei le voleva aperte.

Per anni il mio incubo era di scappare da qualcuno e di chiudermi in qualche stanza, per proteggermi. Io cercavo di girare la chiave nella toppa, poi tiravo giù la maniglia della porta per assicurarmi che fosse chiusa, e invece era aperta, e rimaneva ostinatamente aperta anche se continuavo a girare la chiave. E il pericolo si avvicinava, sempre di più. Dovevo proteggermi. Ma non ce la facevo. Nel sonno gridavo dalla paura.

Quando mi svegliavo, ero sola e sudata nella stanza buia. A volte scendevo per controllare che avessero chiuso bene la porta dell’entrata. Qualche volta osservavo il cielo di notte e mi rendevo conto di essere nel mondo reale, questo mi calmava. Da grande imparai a chiudermi a chiave in camera per andare a dormire.

Da piccola credevo che i legami e gli affetti, le amicizie fossero per sempre. Ma non era così. Non volevo che mi abbandonassero, ma fui quasi sempre io ad interrompere le amicizie. Io ho abbandonato i posti di lavoro, io ho abbandonato le amicizie, io sono quella che comincia qualcosa e poi l’abbandona. Io faccio agli altri quello che da piccola maggiormente mi feriva e non volevo che facessero a me.

Ho cercato tanto di capire che cos’è la felicità, del perché sono io, con quest’anima, in questo corpo, in questa famiglia, in questa provincia, in questa nazione, in questa storia.
Ho capito una cosa. Io sono felice quando posso essere me stessa.

La felicità è poter essere se stessi.

Sono me stessa quando amo una persona e posso dirglielo ed abbracciarla forte. Sono me stessa quando posso piangere o ridere senza dover spiegare cose che non mi vanno, quando non devo giustificarmi.
Sono me stessa quando non mi importa di quello che la gente pensa di me, quando mi vesto come piace a me, quando le cose che dico sono le stesse che penso. Quando non devo dire bugie, quando non devo soffocare le emozioni e i desideri. Quando le persone che amo mi amano. 
Quando la parete della stanza ha solo appesa quella vecchia chitarra che mio padre acquistò col suo primo stipendio in Italia, perché gli mancava tanto di suonare. E mia madre non disse nulla, anche se impiegò quasi tutti i soldi per l’acquisto ed eravamo in cinque, noi fratelli tutti piccolini, con tutto un mese davanti, con solo il suo stipendio e con tutto ancora da ricostruire.

Sono me stessa quando faccio quello che mi piace, quando suono e quando posso chiamare “casa” l’ambiente in cui ritorno ogni sera. Che sia grande o piccola, semplice o sfarzosa. In città o in paese. Non importa. La casa è quel posto che deve permetterti di essere te stesso quando torni, perché fuori non sempre la vita te lo permette. Ma dentro le tue mura sì. Quando torni puoi essere triste, puoi essere bambino, puoi gridare o fare le cose che ti piacciono, e c’è qualcuno che ti ascolta e che ti capisce. Perché ti ama. E’ l’amore che vuole che tu sia te stesso e nessun altro.

La felicità sarà questa?

Sono passati tanti anni dalle mie paure. A volte mi sembra che non passino mai, che il tempo sia solo una scusa e che oggi come allora, quelli che mi inseguivano tornino a cercarmi a quella porta che non riesco a chiudere. A volte ho come la sensazione che fuori ci sia lei, la piccola Thasala. Oggi è lei che bussa, ed io disperata, continuo a girare la chiave nella toppa, non la voglio fare entrare nella mia vita. Piccola, scura, insolente e sgraziata. Cattiva e brutta come quelli del popolo straniero.

Poi sento il vento freddo alla mia destra e il rumore della pioggia. Guardo la finestra spalancata che mi inonda di luce, osservo le pareti bianche e seminude di questa stanza, non ho fretta di riempirle, o forse non le riempirò.


Non so niente, e non conosco le risposte, sono troppo piccola in questa immensa vita che mi chiama, ma prometto che questa volta rimarrò, imparerò, lotterò, amerò. Non me ne andrò prima del tempo.



mercoledì 9 luglio 2014

Luna rossa, Fiume di ghiaccio

Ho sempre avuto un debole per i numeri. Mia madre diceva invece che lei era portata per le materie umanistiche, ma negata per quelle matematiche, ed io essendo sua figlia e portata per le materie umanistiche, come lei, secondo la logica dell'ereditarietà, dovevo essere anch'io negata in matematica.
Attenzione a quello che inculcate ad un bambino non ancora formato, perché finisce per crederci.

Invece io ho chiaro dei momenti legati alle elementari, ricordo che mi piaceva, che riuscivo a risolvere dei problemi di matematica ragionandoci su, ancora prima che la maestra arrivasse a spiegare come fare. Ci arrivavo anche prima di tutti gli altri compagni di classe riconosciuti come "secchioni" (io invece ero definita "lazzarona").

Non credo di essere negata per i numeri come dice lei, dopotutto sono anche figlia di mio padre, e lui con i numeri e la matematica ci lavora. Riconosco invece che tendevo un po' a sognare ad occhi aperti e che faticavo a concentrarmi a lungo termine, ragione per cui spesso sbagliavo i calcoli a causa delle molte distrazioni. Per esempio, scordavo di ricopiare dei zeri, quando erano tanti ne tralasciavo qualcuno, spostavo le virgole, non vedevo i numeri riportati, confondevo il 6 con il 9 e viceversa, perché alla fine sono la stessa cifra, solo scritti capovolti... ma i concetti li capivo.

Preferisco inventare e creare, però i numeri mi piacciono. La musica si basa sui numeri. I miei giochi preferiti richiedono calcoli, previsioni e collocazioni di cifre e numeri e adoro i quiz di logica con le successioni numeriche da completare.

Ricordo le date di compleanno come ordine di numeri. Per esempio, mi è più facile ricordare una data pensandola come 09/07, che 9 luglio, e ho sempre memorizzato facilmente i numeri di telefono.

Perciò quando scrissi Luna di ghiaccio, non scelsi delle date a caso. Volevo il 9 luglio e il 26 novembre. Ma doveva essere un gioco di scatole cinesi, una presa in giro, un numero di prestigio da spiegare al momento giusto.

Decisi per Mistral, la ragazzina del regno di notte, dove il sole e la gioia non arrivano mai, il 7 novembre, e per Sophie Flare, il paese di fuoco, senza buio e senza mai sogni,  il 26 settembre. Mi piacciono questi nomi perché Mistral é il vento maestrale che proviene da nord-ovest, e Flare un'abitante del regno dei ghiacci in una storia della mia infanzia.

Novembre è il mese numero 11 dell'anno, e contiene nella parola il numero scritto nove. Settembre è invece il nono mese dell'anno, e contiene nella parola il numero scritto sette

Nella prima data ho invertito il mese e il giorno, perché 9 doveva essere il giorno e 7 il mese, ma ho mantenuto palese novembre, nella seconda data ho mantenuto il giorno 26, ma ho nascosto le cifre 9 e 7 nel mese di settembre, in una sorta di gioco labirintico a specchi, come Mistral, intrappolata nel sogno di Flare, che non aspetta una stella qualsiasi, percepisce che nel suo regno manca una stella specifica, manca il sole del regno di Flare: "Sono qui sui gradini della scuola e aspetto La stella. Ma sono ancora le stesse stelle blu lontane e non trovo lei. Nessuno sembra accorgersi che manca una stella nel cielo (...) Sento il vento... qui non è normale. Non sono sicura che questa sia la realtà, forse sto ancora dormendo. Sono ancora intrappolata." 

Come Flare, intrappolata nella palla di fuoco nell'isola del Fiume Rosso che vede riflesso nelle acque Mistral, e la sente soffiare, chiamare da lontano: "Credevo, sentivo il vento del nord provenire da ovest, al di là di questi confini come in un sonno". Come in un sonno, in un sogno di Mistral.

Ora è tutto chiaramente labirintico e voi credete di aver capito tutto, ma io da questa parte sto sorridendo perché ci ho piazzato altri segni nascosti e non li rivelo, anzi concludo perché, come scriveva Michael Ende, che nel suo cognome conteneva la parola End: "Questa è un'altra storia", e lui finì scrivendo: "La storia infinita".





Ingranaggio

Ninna nanna ninna ninna oh.
Luna d'argento bimba di seta, stretta morsa aria respiro ossigeno.

Freddo tuffo rigenera testa spegne.
Ciclico ciclico cerca soluzione bimba. Via da tutti.
...

E Ora?



martedì 8 luglio 2014

Stellina

Il sogno, vola, è di polveri lucenti e profumate. Tintinnano ridenti e si spargono su nel cielo. Mi piacciono perché hanno voci di bimbi monelli e di storie floreali. E sono tanti granelli dorati che vanno su e ancora su. Li seguo con lo sguardo fino a quando si fissano sullo sfondo blu e mi salutano dal cielo.

Non riesco più a toccarle. Sono diventate stelle.

Mi batte forte il cuore. Granelli di luce sul mio corpo, fra i capelli, dentro di me, vorrei stringere ciò che non si può stringere. Mi inginocchio ad un volere più grande di me. Una fitta, un crampo, e scivola via, non l'ho mai potuto trattenere.

Ventre di vita.
E' un senso unico. Come faccio.

E' buio se metto le mani sulle orecchie. E' vuoto se mi stringo e ascolto. E' silenzio se trattengo il respiro. Chiudo gli occhi e fluttuo nel vuoto. 

Ero polvere monella di granella che scherzava lucente, poi mi chiamarono e scesi qui. Ma prima di andar via mi scordai di dirti, che vorrei rivederti. 
Non scordarti di me. Ti aspetto, piccolina.






lunedì 30 giugno 2014

Obiettivo




La vita, alla fin fine, è una serie di obiettivi. Tutto si basa su questo.
Quando nella vita non ce ne sono più, quando una persona non ha più scopi da raggiungere o pensa di avere già tutto quello che cercava, ne consegue una specie di morte. Se non si muore visibilmente con il corpo, si muore dentro.
Quando si è piccoli, da neonati, l'obiettivo è di imparare a camminare, a parlare, poi ad andare in bagno da soli. Poi ad allacciarsi le scarpe, o andare in bicicletta, e si impara a leggere e a scrivere. I genitori mandano i figli al nido, quando finisce, si va all'asilo, poi alle elementari, poi alle superiori e infine all'università. A diciotto anni si fa la patente. Dopo l'università si trova un lavoro, poi ci si sposa, poi si fanno i figli, e si riversano su di loro gli stessi obiettivi.
Poi si diventa nonni. Poi si muore, e questo è il ciclo della vita.
In un matrimonio o in un qualsiasi rapporto di coppia, la sopravvivenza dipende dagli obiettivi in comune, che potrebbe essere comprare un mobile o traslocare, o semplicemente scegliere una vacanza, un viaggio o come passare insieme il tempo, per esempio mangiando insieme un panino, o passeggiando, o parlando, o come disporre le cose in casa e come educare i figli. O anche come condividere il rapporto di coppia a letto. Quando gli obiettivi sono troppo divergenti o quando non ce ne sono in comune, l'unione muore di morte propria.
Uno studente, se non ha l'obiettivo di un giorno fare un certo tipo di lavoro, se non vuole lui stesso arrivare a prendere la maturità o la laurea, che sia per sè stesso o per dimostrare qualcosa agli altri, non gliene fregherebbe niente di stare sui libri e di andare a scuola.
Sono gli obiettivi il motore della vita.
Senza obiettivi nella vita, si muore.
Ma gli obiettivi sono sempre gli stessi per tutti?
E se qualcuno volesse invertire questo ordine di cose o avesse altri obiettivi?
Beh, questo sconvolgerebbe l'ordine delle cose e la società inizierebbe a confabulare e a domandarsi se c'è qualcosa che non va.
Per esempio, c'è chi inizia a lavorare prima, poi da adulto si pente e decide di riprendere a studiare. Perché no?
C'é chi si sposa, e dopo decide di prendere la maturità o la patente, o chi prima fa i figli e dopo si sposa, oppure non si sposa mai ma vive serenamente. Perché no?
C'è che preferisce viaggiare e girare il mondo. Perché no?
O chi scopre a cinquant'anni e di più, una passione che tutti consigliano di iniziare a coltivare da piccoli, o da giovani. Che fa? Ci rinuncia? E se vivesse fino ad ottanta o cent'anni, che vita é? Passa "gli ultimi" trenta, quaranta, cinquanta anni dei suoi giorni a rimpiangere di non averci provato?
Io dico sempre: buttati, perché no? Perché non ci si può sposare a sessant'anni, perché non si può iniziare a suonare uno strumento musicale o uno sport quando si è già nonni. Perché no?
Ho pensato a questo post ricordando di una persona che mi ha detto che quando raggiungerà tutti i suoi obiettivi non avrà più ragione di vivere. E che per questo morirà presto.
Mi ricordo che il mio primo pensiero, che ho espresso, è stato: perché non crearne altri di obiettivi? Fondamentalmente penso abbia abbastanza ragione. Quello che non capisco è come sia possibile avere così pochi obiettivi.
Io quando arrivo ad un traguardo, festeggio, magari mi godo un po' i premi e mi riposo, ma poi penso subito ad altro e riparto. Perché io morirei a vivere giorno dopo giorno senza dover raggiungere nulla, senza avere un progetto.
Ho imparato che esistono due tipi di obiettivi nella vita: quelli che dipendono solo da noi, e quelli che dipendono anche dagli altri. Ho imparato anche che è meglio concentrare la maggior parte del tempo e delle energie su quelli che dipendono solo da noi, perché è più facile raggiungere lo scopo.
Per esempio, io non posso decidere da sola di sposarmi, perchè è un obiettivo che dipende anche da un'altra persona, ma posso decidere di diventare brava in qualcosa e concentrarmi sulla disciplina e l'allenamento per arrivarci, e in questo non devo dipendere da nessuno. Perciò è più semplice raggiungere lo scopo.
Gli obiettivi poi si dividono in grandi e piccoli, ma gli obiettivi grandi dipendono sempre da quelli piccoli, esattamente come quando bisogna viaggiare e correre per grandi distanze. Io non posso fare cento kilometri, se prima non percorro dei centimetri, dei metri, poi dieci metri, e metro dopo metro compio un kilometro, e kilometro dopo kilometro, arriverò a fare più kilometri.
Ci sono persone che guardano troppo avanti, pensano: "Mio Dio cento kilometri! Non ce la farò mai!" e così non iniziano neanche a rischiare il primo passo. Non raggiungono la prima tappa. Non riusciranno mai neppure a fare il primo kilometro.
Ma quando andavamo a scuola, non miravamo, anno dopo anno, a finire l'anno scolastico e ad essere promossi? Poi c'era la sosta estiva e si ripartiva. Ma se ci pensate gli anni di studio sono tanti, si va dai tredici anni ad anche ventitrè se non di più, a seconda del percorso scelto.
Ma si riesce, si arriva dappertutto, basta cominciare. Non bisogna avere fretta di arrivare, piuttosto, bisogna imparare a godersi il viaggio e a prendersi delle piccole pause. Bisogna avere voglia di disegnare un progetto.
Il miei obiettivi di questa estate? Quello principale, da sempre, è di migliorare a suonare, che penso sia un obiettivo che non porta mai veramente ad una destinazione definitiva. Perché quando arrivo ad una tappa, sposto il traguardo un po' più in là.
La tappa estiva di quest'anno, è di imparare a memoria un intero repertorio jazz al saxofono, temi e assoli; studiare almeno cinque brani classici di Bach e iniziare un nuovo libro di capricci al clarinetto, oltre che esercitarmi un po' tutti i giorni al pianoforte. I piccoli passi all'interno di queste tappe sono: un brano a memoria ogni due giorni circa, mezza pagina di studio eseguita lentamente ma bene al clarinetto ogni giorno, prima di farla tutta e poi velocizzarla.
A supporto della tecnica, altri obiettivi sono di portare a velocità più elevata tutte le scale, i modi, gli arpeggi.
Non ho fretta, sono felice ad ogni battuta che imparo e ad ogni fraseggio che riesco a suonare ad occhi chiusi sulle basi, senza guardare le parti. Se avessi fretta, sarei stressata e non godrei dei piccoli miglioramenti.
Ho notato che i meno agiati, spesso hanno più obiettivi. Sono più motivati. Ho notato invece che tanti ricchi trovano difficile fare cose anche semplici. Perché non sono abituati a faticare e nemmeno a porsi traguardi e scopi. Spesso sono troppo concentrati sulle loro infelicità perché non hanno altro di cui preoccuparsi.
Ho osservato che l'infelicità dei più agiati, paradossalmente, dipenda dalla facilità di conquistare i beni materiali che i soldi danno, e questa facilità porta alla mancanza di obiettivi. I ricchi hanno facilmente "tutto".
Mi ricordo quando da piccola risparmiavo per comprarmi il mio primo walkman. Ero felice ad ogni traguardo raggiunto, che erano ogni cinquemila lire. Ancora più felice quando riuscii ad acquistarlo. Se lo avessi avuto subito senza sforzo, non credo che l'avrei apprezzato così tanto. Invece mi ricordo ancora il giorno in cui lo portai a casa e ammirai la scatola, la confezione. Avevo raggiunto un obiettivo e avevo progettato per raggiungerlo.
Diversi miei strumenti musicali li comperai pagandomeli a rate facendo la cameriera, quando i miei coetanei uscivano. Fu faticoso, ma anche tanto bello, quando arrivò il sax, aprire ogni volta la custodia ed ammirarlo e trattarlo come la cosa più preziosa.
E quando finalmente potei abbandonare il lavoro di barista e cameriera ed uscire la sera "come tutti gli altri", mi sentivo fortunata, perché vedevo i ragazzi e le ragazze che lavoravano al mio posto, e sapevo come si sentivano. Sapevo che in cucina faceva caldo ed odorava di cibo, di fritto, di vapore, sapevo che magari avevano un "capo" che li esortava a velocizzare il lavoro. Sapevo che probabilmente avevano passato la settimana sui libri e che sarebbero arrivati a casa con le gambe stanche ed il mal di schiena. Sapevo che le più carine subivano commenti e battute.
Ma sapevo anche che erano orgogliosi di non chiedere un euro ai genitori, per comprare un paio di scarpe firmate o per pagarsi i libri e le tasse universitarie. Sapevo come si sarebbero sentiti ad andare in vacanza in Spagna o in Irlanda con gli amici o il ragazzo, con i soldi propri. Sapevo che quello che li reggeva, che dava un senso al lavorare dopo una settimana di studio, erano uno o più obiettivi. Era l'avere uno scopo.
Io invece ero libera e felice di godermi la vita. Che bello. Ma la cosa bella, non era in sè, l'essere libera e non lavorare, ma il rendermi conto che avevo questa fortuna.
Mentre scrivevo qui, sono andata a prendere le mie nipotine all'asilo nido.
Mi viene in  mente che il traguardo da raggiungere è veramente una motivazione potente, anche per convincere i bambini.
Quando non vogliono mangiare o fare qualcosa, non è che spiego a loro che fa bene, che la mamma ci rimane male o che è ora o bisogna farlo. So che a loro non gliene frega niente, perché a me stessa non me ne importerebbe nulla. Chiedo a loro se vogliono diventare grandi, brave, forti, o belle. O se vogliono giocare dopo avere però finito il pasto. Quasi sempre avere un obiettivo da raggiungere, che rientra nella loro sfera di interesse, funziona a spronarle. Funzionerebbe anche con un adulto! Quante fatiche si fanno per arricchirsi o avere un riconoscimento?
Oppure, quando le voglio distogliere da qualcosa, anzichè impedirglielo esplicitamente, metto sotto i loro occhi qualche altra attività o obiettivo interessante. Perché l'unico modo per distogliere le energie da un obiettivo che l'interessato reputa di vitale importanza, è sostituirlo con un altro altrettanto o più importante.
Avete anche voi scopi nella vita o qualcosa che vi piacerebbe fare e raggiungere?
Cosa ve lo impedisce? E' questo che vi rende vivi, cominciate! Solo il mettersi in viaggio è una bellissima avventura.
La vita è una serie di avventure dopo l'altra. Non vi piace questo viaggio affascinante e pieno di sorprese?



sabato 28 giugno 2014

Primo anno

Wow!

Ma che anno intenso, quest'anno.
Il mio blog ha compiuto il primo anno di vita il 17 giugno, ma ero talmente in alto mare, di corsa e di qua e là, che non ho avuto tempo di festeggiarlo!

Adesso, sono più o meno in vacanza, le scuole sono finite e la stagione "live" concentrata di maggio e di giugno si è calmata e posso "perdere" un po' di tempo qui.

Avevo in mente tanti articoli da scrivere, per la festa della donna, per la festa della musica... tante riflessioni... ce la farò? Mah! Io spero di passare tante giornate di sole all'aria aperta!

Ecco cosa pensavo di scrivere per il compleanno del blog: non pensavo di fare grandi cose, volevo semplicemente dare una "passata veloce" al suo evolversi e ricordarmi i miei post preferiti, un po' per la storia che vi è dietro ogni racconto, un po' per l'ispirazione del momento.

Non scriverò il significato, preferisco che rimangano miei segreti e che ognuno interpreti liberamente.



Io so che d'inverno la cicala ballò, cantò ed allietò la calda ma quieta casa della formica che finalmente imparò a cantare l'amore, e che per ricambiarla la ospitò in casa sua, e che la libellula chiuse le sue trasparenti ali in lungo sonno di sogni magici cullata dolcemente dall'amante, per poi librarsi di nuovo in volo con la bella stagione. 

Le cose andarono così, per me.
Perché ognuno può scrivere e riscrivere il suo finale.

Le fiabe finiscono bene.
L'estate non finisce mai.

(Chiacchiere estive)




Volavano in alto, variopinti, ed erano tanti, di tutte le forme e di tutti i colori.
Volavano su nel cielo, nei giorni sereni e con il vento fresco e blu. Con il mare lucente e la sabbia fine.
Anch'io volevo volare su. Con tutto il mio cuore, con tutto il mio corpo, con tutta la mia anima.

(Gli acquiloni)






Le cose che mi rendono felice:
11- Sentirsi tristi ed avere qualcuno con cui parlarne.
12- Sentirsi felici ed avere qualcuno a cui raccontarlo.
13- Sentirsi preoccupati ed avere qualcuno con cui condividere le preoccupazioni.
14- Avere delle persone a cui voler bene.
15- Avere delle persone che mi vogliono bene. 

(Morgan cammina sulle nuvole)








I primi venti autunnali erano freddi e vuoti. Il senso di abbandono era una morsa insita, profonda. Il vento sollevava in aria le foglie gialle.
A casa non c'era nulla per cui tornare. Una casa fredda e abbandonata a se stessa, come quelli che ci abitavano. C'era un pianoforte. Suonava solo musiche strazianti. 

(Puzzle)







Parole d'amore in una notte di malinconia e tempesta, il sole e le belle cose estive erano oramai lontani...

Il poeta che scrive nella notte cerca di fare alla svelta, perché quella è la sua ultima candela e poi non gli rimarrà più altra luce. Intinge la penna nel calamaio mentre la pioggia batte sui vetri e la città dorme.
Il poeta spera un giorno di essere letto e capito da tante persone e di diventare un qualcuno, per poter offrire il suo cuore alla sua amata. 
E intanto brucia la fiamma della candela.
Sono i sogni che lo sorreggono nella sua vita. Sogni di un futuro migliore, con tante candele per poter scrivere tutta la notte, una vita in cui carta e inchiostro non mancano mai, con l'arcobaleno al termine di ogni pioggia, con il sole al termine di ogni notte. Con l'amore al suo fianco che gli dice che è tardi ed è il momento di coricarsi, dolcemente, serenamente, con lei.

E intanto si scioglie la cera.

(Piove)







I profili delle colline, che man mano diventano case e tutto si illumina e si allarga all'ingresso in città.
Rimanere in macchina sotto casa, senza voglia di scendere.
Emozioni. 
La chiave che gira nella toppa, la casa buia. Le stanze buie, le stanze che dividono. Le scale al buio, mi sfilo di dosso i vestiti. Pensieri.
Sorseggiare qualcosa di caldo prima di mettersi a letto.
Ma la voglia di dormire non c'è. Il sonno, invece sì.

A volte, ho paura della notte.

(Disegni senza contorni)







Ed ecco la ricetta di oggi: 
Nel mio calderone, ci metto un pizzico di fatalità, della fantasia e un cucchiaino di fiducia per togliere il sapore della paura, qualche grammo di incoscienza... non troppa, altrimenti poi diventa molto piccante e può bruciare. Ci vuole della speranza per rendere soffice l'impasto, degli obiettivi, dell'impegno e per non esagerare un po' di leggerezza. 
E' importante che nell'impasto lo zucchero sia uniforme, perché se finisce solo in superficie, i primi morsi satureranno, mentre il resto risulterà amaro e difficile da mandare giù, e impreparati sarà difficile affrontare le difficoltà.





.


Nessuna danza tribale può durare per sempre. Anche i tamburi si acquietano e le donne con i bambini del villaggio vanno a dormire. Provaci. Ora stendi il capo e abbi fiducia, credi in te, ascolta le tue paure, scrivile, leggile, vivile, è tutto un tumulto. Ma nessuna tempesta dura per sempre.






Oggi mi sono svegliata e c'era ancora buio, come ieri, come l'altro ieri. Così non sono sicura di essermi davvero svegliata. Sono qui sui gradini della scuola e aspetto La stella. Ma sono ancora le stesse stelle blu lontane e non trovo lei. Nessuno sembra accorgersi che manca una stella nel cielo. Si appartano a coppie, si baciano e si accarezzano, io sono sola mentre scrivo la data di oggi. E' tutto così strano, mi gira la testa. Sento il vento... qui non è normale. Non sono sicura che questa sia la realtà, forse sto ancora dormendo. Sono ancora intrappolata.
Mistral



Credevo, sentivo il vento del nord provenire da ovest, al di là di questi confini come in un sonno. C'era un disco d'argento alto nel cielo che potevo guardare senza accecarmi. C'erano delle braccia attorno a me. E invece è ancora quest'ora che è la stessa ora di mezzogiorno di prima. Non può essere sempre una palla di fuoco, devo uscire di qui.
Sophie Flare





Un altro scatto, un altro ricordo. 
Storie piccole e grandi di emozioni ed immagini. 
Storie mie. Insignificanti per il mondo, preziose per me.
Mi si gonfierà il cuore di tutti questi ricordi e un giorno non ce la farò e scoppierò.

Ciao, rosellina.








Partirò senza nulla, sono solo io. Sono qui, Thasala. Sabbie e mare dall'altra parte del mondo.
E il mio cuore.
Quante cose. Come un bagaglio pieno di fotografie e vestiti antichi.
Apro la porta e il vento è caldo.
Mi guardo, ora non sono piú nuda.







martedì 24 giugno 2014

Dialoghi




- Piove da te?
- Qui diluvia, bellissimo.
- Qui solo arietta fresca, voglio l'acqua! E sto guardando un film inquietante.
- Che hai...
- La solita... lasciamo perdere.

- Ho visto un'ombra camminare sotto la pioggia senza ombrello. Eri tu?
- Chissà? 
- Ero alla finestra. Hai i capelli bagnati.
- Sí. Passami il phon.
- Ti cola il mascara, hai pianto?
- No, ho camminato sotto la pioggia, senza ombrello. Il cielo ha pianto forte.
- Prendi freddo... ti ammali!
- Sono già malata.

- Con questo tempo, poveri alberi, si spezzeranno tutti.
- Non preoccuparti dei giunchi, si piegano solamente.
- L'albero maestro non cede mai. É forte e maestoso.
- Già... i giunchi cedono, sí. Ma si rialzano. L'albero maestro non si piega, invece...
- Chi non cede...

- Chi non cede, un giorno si spezza.
- Che tuoni e lampi!
- Fantastico!

Mi diceva, mi ricordo, quelle sue parole.
"L'importante non é perdere una battaglia, ma vincere la guerra".

Che tuoni e lampi stasera, qui diluvia, bellissimo, altro che venticello. Sussurri e fantasmi. Il cielo si frantuma in mille pezzi e dalle crepe miliardi di gocce d'acqua gelide si riversano allegramente, come rovente danza infernale, sui giunchi e sulle ragazze senza ombrello.
Tutto viene spazzato via.
Tutto viene spazzato.

Tutto via.



venerdì 20 giugno 2014

domenica 15 giugno 2014

Il significato del laboratorio


É che sento di essere scissa in due, da una parte il corpo fisico, dall'altra la mia anima.
Il mio involucro, lo vedo difettato. Se avessi una faccia diversa e un corpo diverso, pur con la stessa anima la mia vita sarebbe diversa.

La mia vita é una conseguenza delle due cose.
Quando morirò il mio corpo diventerà una cosa ripugnante, lo stesso corpo che in vita gli uomini desiderano toccare.
Ma anche l'animo non rimane lo stesso, cambia e invecchia ma al contrario del corpo con la morte, non puzza e non si deteriora, invece diventa piú luminoso e aereo. E a volte c'é, a volte no, anche se fisicamente la gente pensa che io sia lí.
Sono un esperimento di Dio. Come un esperimento chimico, quando combinano gli elementi.
Prendiamo questa anima e la mettiamo in questo contenitore, poi la mettiamo sulla terra e ne seguiamo le conseguenze e le reazioni.

A giudicare dal prodotto finale, non capisco le scelte di Dio con me.
Io mi sento come in sospeso, un inconcluso, come un esperimento a cui le domande ed ipotesi non trovano un perché.

Sono qui sgangherata uscita dal Laboratorio, come una cosa sintetica.
E mi domando, non so per quale motivo, perplessa. Che ci faccio io qui.



Cambieresti?


Se tu sapessi di morire oggi
e vedessi il volto di Dio e dell'amore
cambieresti? cambieresti?

Se sapessi che l'amore può spezzarti il cuore fino a
farti arrivare così in basso che non puoi cadere
cambieresti? cambieresti?


Volevo imparare a suonare la chitarra, solo per poter cantare quella sua canzone, e non sapevo neppure il significato, a parte il titolo “Change”, ma mi piaceva anche così, nella mia ignoranza, perché sapevo che parlava di cambiamento.
Mi immaginavo in una stanza, in solitudine e ascoltata da nessuno, a sussurrare malinconica quel testo, anche se lei ha una voce da nera. Ho sempre pensato che se avessi suonato la chitarra, non avrei saputo suonarne una elettrica, perché mi sembrava per persone decise e rockettare, io invece mi sentivo più a mio agio a sussurrare le mie emozioni che a gridarle.


Quanto male o bene hai bisogno di ottenere?
quante perdite? quanti rimpianti?


C’è una canzone, mi pare di Niccolò Fabi, che parla di come si immagina il giorno del suo funerale, e ne è sconvolto perché vede arrivare lei, felice e beata, vestita di rosso. E tutti quelli che credeva amici erano indifferenti alla sua morte.

Mio padre mi raccontò che prima che suo padre morisse d’infarto, litigò con lui, e l’ultimo sentimento che calò fra loro due fu di rabbia e di astio. Lui era piccolo e credo che questo avvenimento lo sconvolse e lo segnò per sempre.

Mia sorella, che di morti in ospedale ne conosce parecchie, mi dice che non è per stupidità che a volte perdona torti subiti e cattiverie, ma perché si ricorda di come una persona con cui ci parli il giorno prima, non la puoi più ritrovare il giorno dopo. Mai più. E allora, rancori, risentimenti, non hanno alcun più senso e lasciano posto a rimpianti e parole che avresti voluto dire e che non puoi più. Azioni che avresti voluto fare e che dopo non puoi più.


Kim dice che quando ami una persona, glielo devi dire, glielo devi gridare forte. Perché poi, il tempo… perché poi, il tempo passa.
(Il matrimonio del mio migliore amico)



Se sapessi di avere poco tempo per vivere, forse sarei più coraggiosa, forse riuscirei a dichiararmi, forse saprei amare anche senza pretendere nulla in cambio. Forse riuscirei ad abbracciare più spesso e spenderei tutto il mio tempo e i miei risparmi per dedicarmi alle persone. Scelte che non so fare ora, forse mi butterei e le farei, e viaggerei, ascolterei, parlerei, chiederei scusa. Perdonerei.


Ma bisogna arrivare a questo per avere il coraggio di cambiare?


E se sapessi che una persona a me cara stesse per morire, che la sto per perdere per sempre, non sprecherei  un attimo della mia vita per passare gli ultimi istanti con lei.


Ma bisogna arrivare a questo per avere il coraggio di cambiare?


Se sapessi di poter trovare quella verità che
porta un dolore impossibile da lenire
cambieresti? cambieresti?

Se sapessi di poter trovare quella verità che
porta un dolore impossibile da lenire
cambieresti? cambieresti?



Così tante domande e così tanti suoni. Quando mi addormento la notte, sento il mio cuore pulsare. Ma non so nulla, non ho risposte. Sono un puntino anonimo in miliardi di puntini nell’universo. A volte mi sento così piccola e lasciata a me stessa, come se alle mie richieste, nessuno rispondesse.


Kim dice che quando ami una persona, glielo devi dire, glielo devi gridare forte. Perché poi, il tempo… perché poi, il tempo passa...


Se tu sapessi di morire oggi
e vedessi il volto di Dio e dell'amore
cambieresti? cambieresti?

Se sapessi che l'amore può spezzarti il cuore fino a
farti arrivare così in basso che non puoi cadere
cambieresti? cambieresti?








sabato 14 giugno 2014

Morelli

Voi sapete che leggere è la mia abituale compagnia e che ogni tanto parlo qui di qualcosa che ho letto.

Ieri notte non riuscivo a prendere sonno, così ho pensato di iniziare un nuovo libro, uno di quelli che erano nella biblioteca di mia sorella e che ha lasciato in deposito a casa dei miei durante il trasloco.
Ho cominciato: “Come amare ed essere amati” di Raffaele Morelli, ma dopo qualche riga, qualche paragrafo qua e là del libro l’ho messo giù.

Mi ha lasciata un po’ turbata.

Ho provato a cercare qualcosa in rete per capirlo e sapere cosa ne pensa il pubblico, così ho avuto modo di conoscere suoi ulteriori insegnamenti sull’amore.

Morelli dice che in una coppia non bisogna dirsi tutto, perché la troppa apertura potrebbe nuocere e togliere il mistero, e fin qui potrei pure essere d’accordo, ma poi cita come esempio un suo paziente che ha confessato alla compagna di averla tradita, per sentirsi a posto con la coscienza, e questa non è riuscita, nonostante il perdono, ad andare avanti e alla fine la coppia è scoppiata. 
Perciò lui sconsiglia la confessione. Ma non condanna la scappatella, anzi questa potrebbe far pure bene alla coppia se vissuta in un certo modo.

Io credevo di leggere un libro sull’amore. E per me non vi è amore nell’ingannare una persona che si fida e si affida ad un’altra. Se c’è tradimento è perché non si ama e non si sta bene, ed è questa la causa della rottura, non l’essere stati “sgamati”.

Comunque in generale Morelli dice proprio che nella coppia è bene parlarsi il meno possibile. Io non potrei mai seguire questa sua teoria, credo invece che sia molto bello riuscire a comunicare e a capirsi, conoscersi, discutere e venirsi incontro. Invecchiare insieme con il dialogo e l’amicizia, l’affetto, la condivisione.

Mi sembra di vedere nei suoi insegnamenti l’idea di coppia di un uomo e una donna che si parlano poco per conservare l’attrazione iniziale, ma poi la vita sessuale è ravvivata grazie ad una terza presenza. Ma la coppia qual è? Quella ufficiosa o quella ufficiale? E il cuore cosa dice? E chi ama chi? Sono tutti felici? C’è qualcuno che soffre?

Boh! Sono perplessa, forse non sono una tipa moderna.

Così ho invece ho iniziato a leggere: “Spegni il fuoco della rabbia”, scritto da un monaco vietnamita che ha vissuto la guerra ed è stato candidato al premio Nobel per la pace da Martin Luther King. Già le prime pagine mi mettono una sensazione di pace e di speranza. Ho pianto alla prima storia vera.

Questi sono i libri dagli insegnamenti “vecchi” che non passano mai di moda e che vorrei sempre leggere.


Alla prossima lettura!


martedì 10 giugno 2014

Laboratorio

Non fanno piú nulla di me, sono un corpo artificiale sintetico difettato.
Neppure questo involucro mi appartiene.
Peso massimo invisibile.
Ma che ci faccio qui.
 
 
 

lunedì 9 giugno 2014

Rosellina

Non sapevo che esistessero rose senza spine. Il detto che “non c’è rosa senza spine”, voleva dire che quando si vuole una cosa bella, bisogna aspettarsi anche dei risvolti negativi, insomma che nella vita non è possibile avere il meglio del meglio o quello che si desidera senza doversi pungere.

Io, che pure sostengo che bisogna sapersi un po’ adattare, non sono del tutto d’accordo con questa visione, penso invece che se si desidera fortemente qualcosa la si può ottenere, che è solo questione di tempo. E la si può ottenere ed esserne felici senza pungere nessuno e senza esserne punti.

Quando avevo circa undici anni desiderai fortemente che i miei mi comprassero il sax, ci impiegai quasi quattro anni per ottenerlo. Ovviamente non passai quattro anni a rompere le scatole ai miei genitori. A volte insistevo, poi mi calmavo, o meglio li lasciavo in pace, poi andavo con le buone, poi promisi di non chiedere più regali per ogni festa per anni e anni. Alla fine mi accontentarono. Perché ci credevo e lo capirono. Questo solo per dire che non ci sono impedimenti al raggiungimento della felicità, a parte noi stessi. La penso così.

Le rose senza spine esistono!

Ne ho tenuta una per giorni nel collo di una bottiglietta di plastica riempita d’acqua ed era pure un po’ sbocciata. Oltre a me che sono sola da poco, era l’unico altro essere vivente a condividere i miei sogni, i miei pensieri e i miei risvegli al mattino, nel mio monolocale in affitto.

Ho solo un tavolo qui, e qui mangio, faccio colazione, scrivo, progetto, suono e studio. La rosellina stava qui con me. Mi osservava fare i mestieri e bere la camomilla da sola o in compagnia. E io ogni giorno controllavo per vedere come stava.

Non ho mai avuto fiori veramente miei, quando vivevo in famiglia, tutti quelli che mi regalavano finivano in un vaso in sala a discrezione di mia madre, non potevo portarli in camera. E la sala non l’ho mai sentita veramente il mio ambiente, era solo la stanza di passaggio, la stanza per gli ospiti. Credevo pure che non mi piacessero i fiori, perché erano regali che non sentivo miei.

Ma ora che sono sola, ero felice di prendermi cura di qualcosa o di qualcuno.
Anche adesso che è sfiorita e sono di nuovo l’unico abitante qui, non la voglio lasciare andar via, non la butterò nello sporco, voglio tenere i suoi petali secchi con me, il mio primo fiorellino.



Un altro scatto, un altro ricordo. 

Storie piccole e grandi di emozioni ed immagini. 
Storie mie. Insignificanti per il mondo, preziose per me.

Mi si gonfierà il cuore di tutti questi ricordi e un giorno non ce la farò e scoppierò.



Ciao, rosellina.




martedì 3 giugno 2014

La stagione bella

Sta arrivando, la stagione dei vestitini fluttuanti e i capelli al vento. Della pelle dorata baciata dal sole e i sogni, le speranze. Di nuovo.
I tacchi e i piedi scalzi, nudi sulla spiaggia con le onde che vengono a salutarti. Le stoffe colorate e gaie.
Le finestre aperte e le giornate terse.
E le giornate che non finiscono.
La vita che rinasce e le nuove avventure.
Io ci sono.
Gli altri? Chi lo sa?




sabato 31 maggio 2014

Tempo relativo

Tutto ruota attorno ai numeri, le ore, i giorni, i calcoli. Speranza, gioia e delusione vivono nel conteggio. A ritroso, o avanzando. Una cifra alta, un tempo molto remoto, o tanto ancora da attendere.
Lentamente scalfisce, goccia dopo goccia risucchia la terra arida. Anche la rosa muore.
Io conto con le dita, e se supera il dieci ricomincio.
Chi lo sa, nessuno sa, neppure chi crede di sapere. Tranne me.
Io so, perché riesco a vedere tanto, tanto in là. Una cifra che ancora posso contare con due mani.

martedì 20 maggio 2014

Gli occhi belli

Gli occhi belli sono quelli espressivi, che parlano. Non dipende dal colore o dalla forma. Gli occhi, per essere belli, devono dire cose belle, ma essi non sono in grado di mentire, perciò possono parlare di bellezza se anche i pensieri lo sono.
Le persone invecchiano, la pelle diventa ruvida, i capelli sbiancano, la schiena si ricurva. Gli occhi che guardano il mondo, che guardano i tuoi e portano la propria storia, sono due gemme che diventano ancora piú preziose nel tempo.
Di mia nonna mi ricordo, impressi nella mente, i suoi occhi nerissimi. Non ho mai visto in vita mia degli occhi cosí scuri, anche sotto la luce non distinguevo l'iride dalla pupilla. Diceva poco, lei, ma il suo sguardo era carico di lucente malinconia e di emozioni, di un'intera vita di sacrifici e sofferenze.
Mi ricordo anche di occhi freddi e duri. Mi trafissero da una parte all'altra come una lama, a diciannove anni. Ed erano azzurri, come piacciono a me, ma in quel momento non li trovavo belli.
Mi ricordo sguardi dolci o tristi, o vivaci, oppure ridenti, stanchi, maliziosi.
Ho visto pupille indifferenti e altre preoccupate.
Ho visto occhi azzurri, grigi, marroni, blu, verdi, neri. I miei sono marroni.
Da adolescente mi sentivo dire spesso: "Guardami quando ti parlo". Ma io non volevo che mi leggessero dentro.
Ora non ho problemi a puntare dritto negli occhi. Come si può cambiare! Eppure sono sempre le mie stesse pupille, molto miopi e un po' astigmatiche.
Quando la mattina appena sveglia faccio colazione, non mi metto le lenti apposta per vedere il mondo sfocato ed indefinito, pure la mia faccia è nebulosa allo specchio.
Vivo in un mondo avvolto dalla nebbia, come in un incanto. E mi distraggo, non vedo, inciampo, sogno e dormo in piedi ancora un po'.
Poi mi metto le lenti e le cose si delineano e hanno un senso di esistere. Questi sono i miei occhi, marroni e miopi.
Gli occhi belli, so quali sono, ce li ho impressi nella mente e fanno sussultare, sognare. Bastano loro a renderti felici o a farti sprofondare: sono quelli di chi ami e che, sorpresa, se ci guardi dentro, nel suo sguardo trovi le tue stesse emozioni, i tuoi stessi sentimenti, i tuoi stessi desideri. Anche se sono di un altro colore, anche se sono di un'altra nazionalità.
Sono gli occhi che specchiano il tuo animo, incastonati nel suo viso. Sono gli occhi che ti amano.
Sono questi gli occhi belli.


lunedì 19 maggio 2014

La mia canzone preferita

 

Through the storm we reach the shore
You give it all but I want more
And I'm waiting for you

With or without you
I can't live
 
With or without you.


Ascoltavo queste parole, nella stanza buia o con le cuffie che alte sparavano nelle orecchie, vagando assente attraverso le strane giornate della mia strana vita.
Che piccola che ero, non avevo in mano nulla. Solo il mio cuore colmo e scassato.
 
Credevo fosse una di quelle follie, quelle canzoni che passate un periodo mi sarebbero piaciute di meno. Ma no.
Mi piace oggi come allora, come tanti anni fa, quando ero inesperta ed innocente.
 
L'ho ascoltata e riascoltata oggi in auto ed ogni battito, ogni ricordo mi è tornato a galla. Tutto quello che sembrava non avere un senso, tutto quello che non capivo.
 
Ancora oggi, non ho risposte, ancora oggi no so. Non capisco.
Ma la vita.
La mia vita di emozioni e di ricordi che ogni giorno mi alimentano il cuore e forse un giorno scoppierà. La mia testa aggrovigliata e le mie vene di sangue liquido, pulsa impaziente di innocente lussuria.
E io non so niente del mio futuro, che arriverà allo stesso modo di chi lo progetta e ci vuole continuamente pensare.
 
Avrò meno paura degli altri di saltare e di rischiare, perché io non ho nulla da perdere. Perché sono una sciocca testa vacua. Con le mani legate. Con il corpo sfregiato.
 
E quando le parole finiscono, c'è la musica.